Le camerette dei bambini che non ci sono più

Mauro Pagnano

Ho contattato le mamme che avevano perso i propri piccoli figli per cancro e leucemia. Le ho conosciute. Sono stato con loro per diverso tempo, ascoltando le loro storie, guardando le foto e i video dei loro angeli prima di tirare fuori la macchina fotografica. Non è stato facile ascoltare. Oggi credo di sentire la presenza di quei bambini come se li avessi conosciuti da sempre.

le mamme delle cartolineSono passati quasi tre anni da quando ho cominciato a lavorare al progetto fotografico sul fenomeno della cosiddetta “Terra dei Fuochi”. “Terra dei Fuochi” è oggi un modo mediatico per definire la striscia di terra compresa tra la parte settentrionale della provincia di Napoli e quella meridionale della provincia di Caserta. Una terra che, in alcune sue zone, è stata devastata dagli interramenti o dall’abbruciamento di rifiuti tossici. Ormai è noto a tutti (e non c’era certo bisogno delle dichiarazioni di un ex camorrista) che questo scempio è il frutto di un disegno costruito a tavolino tra mafia, politica corrotta e imprenditoria deviata.
Per risparmiare sui costi legali di smaltimento dei rifiuti industriali, quest’ultima ha pensato di utilizzare ogni spazio possibile (terreni, cave, discariche di rifiuti urbani legali) per eleggerlo a deposito di liquami tossici senza pensare alle conseguenze per la popolazione, che da tempo comincia a fare i conti con un dramma di proporzioni enormi.
Tutti sanno che qui, ormai, si muore di cancro più che in altre parti d’Italia, ma lo Stato continua a negare il nesso di causalità tra inquinamento ambientale ed aumento vertiginoso delle patologie tumorali.
Io abito a Caivano, uno dei centri più colpiti da questo fenomeno, ma per un periodo della mia vita, dopo essermi laureato, ho vissuto fuori Regione. Per motivi economici e personali sono stato costretto a ritornare e confesso che per me è stato un trauma.
Queste periferie sono posti ai quali non riesci più ad adattarti quando hai vissuto altrove. Sembrano dei non-luoghi.
Difficilmente trovi parchi pubblici, spazi verdi, centri di aggregazione culturali. Non sembrano affatto adatti alla dimensione umana. Ho pensato di riprendere la mia passione per la fotografia quasi come una terapia. Ho seguito un corso di fotogiornalismo con uno dei più bravi fotoreporter di Napoli. Sono stato spinto subito dal mio maestro a raccontare una storia che mi facesse male, anzi, che mi terrorizzasse. Tra tutte le cose che non mi piacevano delle mie periferie c’erano queste discariche a cielo aperto nelle strade di campagna, sotto i cavalcavia e nelle strade periferiche più desolate. Ci passi davanti e, se hai ancora un occhio che riesce a vedere, invece di guardare soltanto, non puoi fare a meno di chiederti continuamente: Com’è possibile? Com’è possibile che quasi ogni giorno queste discariche vengano bruciate sprigionando veleni su tutte le campagne circostanti e nei polmoni delle persone che abitano in zona?
Com’è possibile che, percorrendo le strade statali, come la Statale 7 bis, ad esempio, (meglio conosciuta come Nola-Villa Literno) in certi periodi dell’anno non c’è giorno in cui non si vedano colonne di fumo nero alzarsi come ombre di morte dietro le case all’orizzonte?
Io quelle colonne di fumo le vedevo (e, a volte, le vedo ancora) quasi ogni giorno anche dal terrazzo. Una delle foto alle quali sono più legato, infatti, è quella scattata proprio dal terrazzo di casa mia, situata in un quartiere popolare di Caivano. Era l’ora del tramonto e da li sembrava di essere in Siria o in uno di quei posti del Medio Oriente nei quali ho sempre sognato di andare a scattare foto. Quando mi capita di partecipare a convegni o ad incontri nei quali si parla di questo problema, e mi chiedono come mai io abbia cominciato a fotografare senza più fermarmi, rispondo sempre facendo vedere questa foto. Il motivo principale è perché quella puzza di bruciato la sento io per primo quasi tutte le sere.
Ma ritorniamo al mio progetto. Inizialmente non credevo di dover realizzare un reportage quasi infinito. Cominciai a contattare tutti i comitati e le associazioni che si battevano da anni sul territorio per denunciare e sensibilizzare sul problema dei roghi tossici e dell’inquinamento perpetuato dalla camorra con la complicità delle istituzioni in un territorio così vasto. Con loro giravo per le discariche più pericolose. Per intere settimane ho girovagato, nei momenti di luce migliore, sulle statali in cerca delle colonne di fumo.
Spesso riuscivo ad individuarne l’origine ed ero io stesso a chiamare i vigili del fuoco prima di recarmi a fotografare.
L’amicizia con i vari membri dei comitati e con padre Maurizio Patriciello, il sacerdote che ha fatto di questa battaglia una missione di vita, continuava a saldarsi sempre più. Così, quasi due anni fa, proprio nella chiesa di padre Maurizio, con molti ambientalisti provenienti da diversi Comuni delle province di Napoli e Caserta, decidemmo di unirci sotto un unico coordinamento, il Coordinamento Comitati Fuochi. Da quel momento è cominciato il mio impegno assiduo come attivista, insieme a dei compagni di viaggio straordinari che spendono le proprie giornate e tutto il loro impegno per una causa che sembra molto più grande di noi. E mentre giravo per denunciare, continuavo a fotografare.
Tutti qui hanno pianto morti di tumore in famiglia o tra gli amici. Anch’io, ma preferisco non parlarne. Qui si vive costantemente con la paura atroce che un giorno o l’altro possa capitare anche a te o alle persone a te più care. Ecco perché, ad un certo punto, abbiamo cominciato ad organizzare marce e manifestazioni in favore delle persone morte di cancro. Ci siamo accorti che erano davvero tante ed abbiamo invitato le persone a scendere in strada con le foto dei propri familiari morti di tumore, trattandoli come fossero vittime innocenti della mafia e dello Stato.
Ho cominciato ad estendere il mio sguardo sulle vittime, in particolare sui bambini. Ho contattato le mamme che avevano perso i propri piccoli figli per cancro e leucemia. Le ho conosciute. Sono stato con loro per diverso tempo, ascoltando le loro storie, guardando le foto e i video dei loro angeli prima di tirare fuori la macchina fotografica. Non è stato facile ascoltare. Oggi credo di sentire la presenza di quei bambini come se li avessi conosciuti da sempre. Con molte di loro è nato un rapporto di amicizia. È la ricompensa più grande che si possa ricevere facendo un mestiere del genere. Mi è davvero difficile riuscire a descrivere le sensazioni che mi accompagnano pensando a queste donne: oggi parlano con una dignità straordinaria all’Italia intera, se non all’Europa intera. Non interpretano solo la fotografia perfetta di quanto possa essere atroce ed innaturale la perdita di un figlio a causa di un tumore. Rappresentano anche l’immagine spietata dei danni irreparabili a cui ci sta conducendo questo assurdo sistema economico e produttivo, basato solo sul massimo profitto. Quando mi accoglievano in casa, lo facevano perché mi conoscevano come attivista che si batte contro questo problema. Mi hanno aperto le porte delle loro case e quelle delle camerette dei propri figli che non c’erano più. Lo hanno fatto con coraggio. Alcune hanno guardato direttamente la telecamera, con sguardi di sfida e da guerriere, altre hanno preferito abbassare il capo, ma solo nella foto, mai contro coloro che potrebbero aver causato tale scempio. Tutte, ma proprio tutte mi dicevano che i medici sostenevano che la maggior parte dei bambini provenivano dalla province di Napoli e Caserta. Ma i dottori lo dicono solo in privato, in pubblico non se la sentono. Ciò che maggiormente mi colpiva quando entravo in queste case erano proprio le camere da letto dei bambini morti. Molte erano esattamente come quando erano ancora in vita. Luoghi sacri, intoccabili. A tutte queste madri ho scattato una foto in quelle camere.
Un giorno, padre Maurizio Patriciello mi chiese se desiderassi utilizzare alcune mie foto per una campagna di sensibilizzazione a favore della lotta. L’idea era quella di stampare delle foto che diventassero migliaia di cartoline che i cittadini avrebbero mandato al Presidente della Repubblica e al Papa. Credo che padre Maurizio intendesse foto di discariche o roghi tossici, ma a me venne in mente un’idea ancora più forte. Gli proposi di utilizzare le foto che avevo scattato alle mamme nelle camerette dei loro figli. Nutrivo dubbi enormi di carattere etico, ma mi feci forza e chiesi loro l’autorizzazione. Intuivo che la forte pressione mediatica in ascesa sul problema ed il carisma di padre Maurizio nel promuovere l’iniziativa avrebbero determinato una svolta. Temevo solo per l’invasione dei media sulle mamme.
Ho spiegato loro tutto questo. Le risposte sono state sempre ferme e decise. Cresceva la convinzione che questo potesse essere il modo migliore per rendere giustizia ai propri angeli (ormai non riesco più a non definirli così, proprio come fanno loro ogni volta in cui ne parlano con me) e per assicurare un futuro migliore ai bambini di oggi. Così, undici scatti di mamme sono diventati 150.000 cartoline postali. Altrettante persone le hanno spedite ai due destinatari simbolici della campagna. Credo che, da quel momento, l’attenzione sul problema abbia registrato un picco. A quelle Mamme va tutta la mia gratitudine. Oggi, tutti le definiscono “le Mamme delle cartoline”. Hanno fondato un’associazione, “Noi Genitori di Tutti”, avente quale finalità principale quella di mettere in atto varie iniziative per la tutela dell’infanzia. L’associazione ha aderito al Coordinamento Comitati Fuochi diventandone un punto di riferimento.
A queste mie amiche, e ai loro angeli Tonia, Dalia, Alessia, Alice, Francesco, Riccardo, Antonio, Francesco, Antonio, Mesia, Francesco, sono dedicati tutto il mio impegnoin questo percorso e tutte le f oto scattate in questa terra negli ultimi tre anni.

Mauro Pagnano
Fotografo e fotoreporter

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