L’inverno arabo

di Claudio Torbinio

Il 10 dicembre 1948 ci siamo impegnati, insieme a molti altri Stati del mondo, al rispetto ed alla tutela di molti diritti riconosciuti alla persona in quanto tale. Diritti umani, inalienabili, imprescrittibili, indivisibili. Sono passati quasi 65 anni, un età matura. Eppure, situazioni come quella che sta martoriando la Siria negli ultimi tre anni ci fanno dubitare dell’effettiva tutela di questi diritti.
Molto si è detto e molto si è scritto su come, da una “Primavera Araba”,la rivolta siriana si sia trasformata in una guerra civile dominata da faide con una sola vittima: la popolazione civile. Le indagini Onu sulla carneficina provocata dall’utilizzo di gas nervino sulla popolazione si sono concluse il 16 settembre. È il risultato del lavoro compiuto tra il 26 ed il 29 agosto dagli ispettori guidati dallo scienziato svedese Åke Sellström. Sono stati analizzati campioni di sangue, urina e capelli e residui balistici. Il gas usato è stato il Sarin; 1.400 cadaveri positivi al test; proiettili di artiglieria usati per lanciare il gas progettati apposta per le armi chimiche; la traiettoria delle armi suggerisce il lancio da un’area controllata dall’esercito siriano; i campioni analizzati contenevano anche sostanze chimiche “come gli stabilizzatori” di difficile reperimento ed utilizzo; nei pezzi di artiglieria le scritte erano in cirillico.
Sempre più frequenti, intanto, i combattimenti tra i gruppi che compongono l’opposizione armata al regime di Damasco. Ad aggravare le divergenze sono sia la competizione per il controllo del territorio e delle risorse, sia le differenze ideologiche. Gli scontri maggiori avvengono tra le forze di Isis e quelle dell’Esl nel nord del Paese. Il principale gruppo politico dell’opposizione, la Coalizione nazionale siriana, vicina all’Esercito siriano libero, ha criticato i gruppi estremisti islamici, accusati di operare contro i principi della rivoluzione. Il 24 settembre, una decina di fazioni ribelli islamiste – tra cui il Fronte al Nusra – ha rifiutato l’autorità del Governo di transizione in esilio formato dalla Coalizione nazionale siriana delle forze dell’opposizione e della rivoluzione (sostenuta
dall’Occidente).
Infine, il dramma umanitario: i dati pubblicati dalle principali agenzie ONU che si occupano della zona mostrano come la popolazione si stia spostando verso i Paesi limitrofi (Turchia, Giordania, Libano, Iraq) portando al collasso i campi di accoglienza, non sufficientemente attrezzati per far fronte ad una tale emergenza. La sopravvivenza stessa diventa un percorso ad ostacoli, dentro e fuori dal confine siriano. I campi così sovraffollati sono terreno fertile per varie forme di criminalità. Il tasso di sfruttamento minorile, prostituzione coatta e traffico di esseri umani appare in preoccupante aumento, mentre il programma delle Nazioni Unite a sostegno dei Paesi dell’area fatica a trovare i finanziamenti necessari. Su una situazione già piuttosto fragile pesa poi sempre la spada di Damocle del potenziale intervento militare occidentale. L’accordo raggiunto all’interno del Consiglio di Sicurezza ONU rinvia l’operazione militare statunitense. Secondo molti analisti, questa bozza di risoluzione rappresenta una vittoria della diplomazia russa, guidata dal premier Putin edal Ministro degli Esteri Lavrov, fedele  alleata del regime di Damasco. La Siria aderirà alla convenzione sul divieto delle armi chimiche. Spetterà ai Siriani garantire agli esperti stranieri l’accesso ai siti per le ispezioni. Le armi chimiche verranno trasportate in Russia. Ma con la postilla “Se ciò sarà possibile”. Il controllo continuerà, quindi, ad essere esercitato da Damasco e potrebbero comunque nascere nuovi elementi di contrasto. Se, da un lato, non può che essere valutato in modo positivo il successo della mediazione sull’intervento militare, dall’altro risulta difficile immaginare che a breve termine possano venire ripristinate le condizioni ideali affinché la popolazione si riappropri di una vita normale.
Quasi tre anni di conflitto hanno distrutto strade, scuole, ospedali. Hanno allontanato dai propri villaggi oltre due milioni di persone ed hanno provocato ferite e traumi psicologici difficili da lenire. La macchina istituzionale non è sufficiente: è necessario sentirsi tutti responsabili, umanamente responsabili, del futuro di Damasco e della sua gente. Il futuro della Siria è parte del futuro dell’umanità intera, della quale noi stessi siamo parte. La diplomazia internazionale è quindi chiamata ad operare un’attenta riflessione anche perché i cambiamenti nella geografia del Mediterraneo influenzano le tensioni nei Territori occupati da Israele, le mire espansionistiche di Teheran e la popolazione di Paesi come Egitto e Libia, ancora alla ricerca di una stabilità e, soprattutto, di una Democrazia.

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