Le riforme e i costi della Sanità in Italia

Francesca Zanusso e Mattia Pancin

Un excursus storico-giuridico ed economico sulle fasi di sviluppo del servizio sanitario italiano: dalle prime riforme di fine ‘800 sino alla situazione attuale del Servizio Sanitario Nazionale.

Il sistema sanitario è l’insieme delle istituzioni, delle persone, delle risorse umane e materiali e delle loro relazioni (personali, sociali, economiche) che concorrono alla promozione, al recupero ed al mantenimento della salute. Creare salute è il fine ultimo di ogni sistema sanitario e ciò significa, in primis, prevenire la morte, guarire le malattie, alleviare la sofferenza ed impedire la cronicità.
Il sistema sanitario italiano si compone oggi di una rete complessa di sottosistemi che interagiscono tra di loro e nei quali figurano diversi attori, ciascuno con logiche ed interessi particolari. Essi fondano il loro operato sulla tutela alla salute quale diritto fondamentale dell’individuo così come sancito dall’art. 32 della Costituzione.
L’Italia è stata la prima Nazione al mondo a compiere la scelta del diritto alla salute per ogni individuo presente: la positivizzazione avvenuta con la nascita della Costituzione è stata figlia di un processo partito agli albori dello Stato sociale e che ha trovato affermazione grazie a diversi fattori determinanti, a partire dai primi interventi di assistenza sanitaria. Il Regno d’Italia promulgò il primo intervento sul tema con la legge n° 2248/1865, rivisitata con la legge n° 5849, nota come legge Crispi-Pagliani. La legge in questione costituì il primo nucleo di norme organiche in materia sanitaria, riuscendo a condurre ad uniformità tutto il territorio del regno. Favorì, inoltre, diverse evoluzioni: dispose la costituzione dei primi uffici sanitari provinciali coordinati dal medico provinciale, si istituirono i primi uffici sanitari comunali e le condotte mediche e ostetriche tramite le quali i Comuni assicuravano i servizi di assistenza sanitaria obbligatoria gratuita ai poveri. La figura del medico condotto che compiva visite a domicilio e garantiva la sua presenza continuativa 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana, rimase per quasi un secolo nell’immaginario collettivo e fu soppresso soltanto con la riforma del 1978. A seguito della legge Crispi ci furono successivi interventi che riguardarono prettamente l’assistenza ospedaliera: gli ospedali vennero, all’epoca, inquadrati come Istituzioni Pubbliche di Assistenza o Beneficenza, IPAB, e rimasero in vigore fino al 1968. Riconoscendo progressivamente che la salute dell’individuo rappresentava un patrimonio per la collettività, lo Stato iniziò ad introdurre un nuovo mezzo per tutelarla: le casse di mutua. Nel 1898 vennero introdotte le prime forme sperimentali di assicurazione obbligatoria per gli operai e venne istituita l’INAIL, l’Istituto Nazionale Assicurazione per gli Infortuni sul Lavoro. Si trattava di un istituto di mutua a carattere volontario ed i lavoratori, soprattutto, contribuirono alla costituzione di un fondo comune da utilizzare per la copertura dei costi derivanti da cure mediche. Le mutue volontarie erogavano, tuttavia, un’assistenza insufficiente anche per gli esigui contribuiti dei rispettivi soci e lavoratori. Solo grazie all’approvazione di numerose leggi venne superata la limitatezza della copertura della mutualità volontaria. Le leggi in questione riguardavano l’istituzione di enti mutualistici che garantissero agli iscritti ed ai familiari a loro carico un risarcimento per infortuni e malattie. Grazie a tali enti, il sistema mutualistico si consolidò durante gli anni ‘30 e rimase la base del sistema assistenzialistico sanitario fino al 1978, anno della riforma del Servizio Sanitario Nazionale. In quegli anni, nonostante l’introduzione degli enti mutualistici, milioni di cittadini rimanevano ancora fuori da qualsiasi sistema di copertura sanitaria e quelli che godevano di una copertura mutuale ricevano prestazioni talvolta fortemente differenziate e secondo criteri più o meno restrittivi. Per quanto riguarda le disposizioni in materia sanitaria, va sottolineata l’importanza assunta dal Regio Decreto 1934 “Testo Unico delle leggi sanitarie” che completò e perfezionò tutta la preesistente normativa, e dal Regio Decreto 1938 “Norme generali per l’ordinamento dei servizi sanitari e del personale degli ospedali” che definì l’organizzazione interna degli ospedali. Il R.D. del 1938 fu solo un anticipo della riforma ospedaliera che avvenne vent’anni dopo. Fu il primo grande intervento legislativo in materia sanitaria dopo lo scatenarsi dei tragici eventi che portarono alla stesura della Carta Costituzionale, con i suoi principi generali innovativi che ancora oggi ispirano la materia sanitaria. Ad esempio: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” (art. 32, comma 1,2). Viene così sancita la piena affermazione del diritto alla salute come diritto inviolabile dell’uomo, indipendentemente da ogni discriminazione, e il definitivo riconoscimento del diritto alla sua tutela. La riforma ospedaliera n° 132 del 1968 “Enti ospedalieri ed assistenza ospedaliera” (legge Mariotti) dava parziale attuazione all’art. 32 della Costituzione, elevando l’attività ospedaliera a servizio pubblico rivolto alla cura ed al recupero dello stato di salute dei ricoverati. L’ospedale, inoltre, acquisendo piena autonomia, veniva configurato quale struttura fondamentale per la tutela della salute singola e collettiva, di cui si faceva garante lo Stato. La legge Mariotti permise la regionalizzazione degli enti ospedalieri, attribuendo a ciascuna Regione il compito di emanare norme legislative nella materia “assistenza sanitaria ed ospedaliera”, comunque nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. Paradossalmente, la riforma ospedaliera deluse tutte le aspettative e da più parti si risolse in un fallimento: il decentramento dei compiti e delle funzioni sanitarie alle Regioni era ancora prematuro in quanto quest’ultime cominciarono a funzionare solo nel 1972. Ciò impedì loro di farsi carico di tutte le funzioni attribuite dalla legge del ‘68. Gli enti ospedalieri erano, poi, ancora inseriti nel sistema mutualistico. Questo conobbe proprio in quei due decenni una prima fase di massima espansione, seguita da una profonda crisi per le incongruenze create dalla legge Mariotti. Sebbene l’assistenza mutualistica si fosse ormai progressivamente estesa a tutti i lavoratori, e più del 90% della popolazione italiana risultasse, di fatto, assicurata, le mutue accumularono ingenti debiti nei confronti degli ospedali ed entrarono in crisi. Questi fattori determinarono la lenta trasformazione del sistema mutualistico verso un sistema sanitario nazionale. L’istituzione del Ministero della Sanità già nel 1958, la crisi delle mutue e la loro soppressione, assieme al completo trasferimento delle funzioni amministrative sanitarie dallo Stato alle Regioni (1977), diedero la spinta a realizzare il nuovo sistema che comportò la sostituzione di tutte le mutue di categoria con un’unica assicurazione nazionale estesa a tutti i cittadini. L’istituzione del S.S.N. esaudì i precetti costituzionali basandosi sui concetti di universalità della prestazione, gratuità, assistenza secondo il bisogno e finanziamento diretto da parte dell’erario.

LA PRIMA RIFORMA SANITARIA (1978)
La prima legge di riforma sanitaria è la L. 833 del 1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.). Rappresenta una delle espressioni normative più rilevanti dall’avvento della Repubblica e, nonostante abbia subito numerose integrazioni e cambiamenti, contiene dei principi validi ancora oggi.
Si prefiggeva di apportare sostanziali miglioramenti ad un vasto insieme di prestazioni sanitarie (medico-generali ed infermieristiche, domiciliari ed ambulatoriali, specialistiche ed ospedaliere, farmaceutiche ed integrative) operando un salto di qualità decisivo nei confronti del sistema mutualistico preesistente. Il S.S.N. si basa su tre principi fondamentali:
–  il principio di universalità, secondo il quale vengono garantite prestazioni sanitarie a tutti senza distinzione di condizioni individuali, sociali e di reddito;
–  il principio di uguaglianza, ovvero garantire a tutti il diritto alle medesime prestazioni a parità di bisogno;
–  il principio di globalità, per cui non viene presa in considerazione la malattia, ma, in generale, la persona. Ciò implica, inevitabilmente, un collegamento di tutti i servizi sanitari di prevenzione, cura e riabilitazione.

I D. LGS. N. 502/92 E 517/93: LA SECONDA RIFORMA SANITARIA
Il processo di riordino del S.S.N. trovò il suo definitivo punto di svolta nel 1992, attraverso la legge n. 421, con la decisione di razionalizzare e revisionare le discipline riguardanti non solo la materia sanitaria, ma anche quelle relative a pubblico impiego, previdenza e finanza territoriale.
Per quanto riguarda l’ambito sanitario, i fini possono essere riassunti nell’utilizzazione razionale delle risorse del S.S.N., nell’equità distributiva, nel contenimento della spesa sanitaria e in una migliore efficienza del sistema.
A questa legge si aggiunsero, successivamente, disposizioni correttive ed integrative che portarono al varo del Decreto Legislativo n. 517 del 1993.
Gli elementi essenziali riguardavano:
–  la centralità del Piano sanitario nazionale;
–  l’attribuzione alle Regioni della titolarità delle funzioni legislative ed amministrative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera;
–  l’istituzione delle Aziende sanitarie (Aziende U.S.L. e Aziende ospedaliere) dotate di personalità giuridica pubblica e di completa e totale autonomia. Ne conseguiva, quindi, una nuova disciplina sul funzionamento delle U.S.L. e sui nuovi organi dell’azienda U.S.L. e dell’azienda ospedaliera (vennero, infatti, istituite nuove figure, quali il Direttore generale ed il Collegio dei revisori, il Direttore sanitario aziendale ed il Direttore amministrativo);
–  la disciplina delle erogazioni delle prestazioni assistenziali, ovvero la separazione delle responsabilità tra erogatori ed “assicuratori” (cioè l’U.S.L.). Si introduceva, così, una sorta di competizione nell’ambito della gestione delle prestazioni, dal momento che queste potevano essere prestate tanto dal presidio pubblico (AUSL o Azienda Ospedaliera) quanto dai presidi privati (case di cura private, ecc.). Il finanziamento derivava dal pagamento delle prestazioni erogate, sulla base di tariffe stabilite dalle singole Regioni tenuto conto del costo delle prestazioni stesse (prima, il pagamento avveniva con il metodo cosiddetto a “piè di lista”, ossia tutto ciò che era stato speso veniva rifuso). Venne poi tutelata la libera scelta del cittadino, il quale poté scegliere dove andare a curarsi proprio grazie al fatto che la prestazione veniva pagata secondo un tariffario nazionale individuato dal Ministero ed integrato dalle Regioni.
In cinque anni, però, venne data attuazione solo ad una parte della seconda riforma sanitaria.

IL D.LGS. N. 229/99: LA TERZA RIFORMA SANITARIA
Il D. Lgs. n. 229 del 1999 (riforma Bindi), a norma di legge 419/98, si trovò in netta controtendenza rispetto alla normativa precedente. Il fine di questa riforma era quello di garantire a tutti i cittadini uguali opportunità di accesso ai servizi sanitari ed assicurare livelli uniformi ed adeguati di assistenza su tutto il territorio nazionale. Con questa riforma si completò il processo di regionalizzazione ed aziendalizzazione del S.S.N. Basato su norme più efficaci, si ampliarono le responsabilità delle Regioni e si svilupparono le autonomie locali, si resero più trasparenti i rapporti fra soggetti, pubblici e privati, si sviluppò la partecipazione dei cittadini, si valorizzò la professionalità degli operatori e si attribuì ai medici un ruolo di primo piano all’interno dell’azienda sanitaria. Si promosse, infine, l’integrazione fra assistenza sanitaria e sociale.

Francesca Zanusso e Mattia Pancin
Università di Padova – Facoltà di Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Diritti Umani

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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