I collegi uninominali

Maurizio Paniz

Questa legge elettorale ha fatto e fa piacere a tutti i vertici dei partiti, perché scelgono chi vogliono e così si sentono più protetti, più sicuri e, apparentemente, più garantiti.

Avrei voluto, come tanti, un cambiamento della legge elettorale; avrei voluto che i cittadini della mia terra (bellunese e veneta) avessero potuto scegliermi; avrei voluto che essermi impegnato per molti anni, a livello locale e nazionale, avesse trovato una risposta, se del caso anche negativa, con il nome scritto sulla scheda. Così potevo esattamente testare se avevo fatto bene, come credo, o male. Ma così non è stato. Ho subito gli effetti di un voto nazionale e di un collegio elettorale che, alla Camera, è addirittura unico per tutta l’Italia, nemmeno regionale, come, invece, per il Senato.
Di chi la colpa? Secondo il PDL, è tutta del PD, che a sua volta ribalta le accuse. Analogamente hanno fatto tutti gli altri partiti. Ma la realtà, alla fine, è semplice: questa legge elettorale ha fatto e fa piacere a tutti i vertici dei partiti, perché scelgono chi vogliono e così si sentono più protetti, più sicuri e, apparentemente, più garantiti. Non è successo, per il vero, nelle elezioni del 2008, come conferma l’esperienza della scorsa legislatura: l’IDV è il partito che ha avuto la diaspora di parlamentari più consistente, ma anche gli altri partiti, poco o tanto, ne hanno sofferto, tanto che il PDL, prima delle ultime elezioni, ha fatto sottoscrivere ai suoi candidati un “patto” che li impegnava in varie direzioni, tra le quali proprio quella di “non cambiare casacca”.
Al di là, peraltro, delle speranze e degli auspici dei singoli parlamentari che hanno veramente lavorato nei loro territori, o al di là di coloro che, comunque, hanno un vero rapporto con l’area di provenienza – e che davvero avrebbero già voluto una modifica della legge Calderoli (dal nome di chi se ne è dichiarato padre) o del “porcellum”, come egli stesso l’ha definita – resta il fatto che vi erano comunque obiezioni significative ad un suo cambiamento. Questa legge elettorale, infatti, ha comunque evitato elezioni ravvicinate ed ha assicurato una stabilità di Governo mentre prima, per circa cinquant’anni – forse ce lo siamo dimenticati! – i Governi cambiavano mediamente ogni anno, con tutte le conseguenze in termini di iniziative legislative e prebende preelettorali, magari con interventi dai riflessi economici rilevantissimi, dei quali soffre quel gigantesco debito pubblico che proprio da ciò ha maturato la sua crescita più consistente (si pensi, ad esempio, alla sistematica facilità di introdurre occasioni per le baby-pensioni, oggi ineliminabili per l’indubbia protezione che la magistratura riconosce ai cosiddetti “diritti quesiti”). Eppure, in quei circa cinquant’anni, in Italia come in tanti altri Paesi, i sistemi elettorali erano stati cambiati di continuo, ma mai si era raggiunta quella perfezione idonea ad evitare un nuovo dialogo sul tema, una nuova aspettativa di miglioramento e nuovi cambiamenti della legge elettorale, senza, cioè, che mai si raggiungesse un modello ideale ed indiscutibile, gradito a tutti o stabilmente almeno ai più. Tutti i sistemi elettorali introdotti hanno finito per rendere insoddisfatti i cittadini o la maggior parte di essi e suggerire, quindi, sistematiche modifiche.
Qualcuno auspicava l’introduzione delle preferenze, ma restano ferme ed incontestabili alcune forti controindicazioni:
a) proprio il popolo italiano ha bocciato, una ventina d’anni fa, il sistema elettorale basato sulle preferenze, votando a larghissima maggioranza un referendum che ne chiedeva l’abolizione;
b) le preferenze non hanno certo impedito di eleggere persone apparentemente indegne del loro ruolo istituzionale perché significativamente inquisite: basta pensare ai recenti casi Fiorito, Maruccio o Penati, ovvero ricordare i consiglieri regionali IDV messi sotto inchiesta in Liguria, tutti eletti proprio con le preferenze;
c) è ormai incontestabile che, in talune parti del territorio italiano, le preferenze… si pagano un tot a voto: realtà indegna di un Paese civile, oltreché vero e proprio reato!
d) la campagna elettorale, soprattutto se i collegi elettorali sono molto ampi, come inevitabilmente succede vieppiù se viene ridotto il numero dei parlamentari, appare costosissima. Chi la paga? Il candidato, se ha possibilità economiche. Ma sono pochi quelli che se lo possono permettere. Non più i partiti, perché il finanziamento pubblico ai partiti deve – a mio avviso – essere totalmente eliminato. Ed allora, la politica la possono fare solo i benestanti o anche altri? E, se non hanno i mezzi, a qualcuno li debbono chiedere. E, se li chiedono, debbono poi restituire in qualche modo quanto hanno ricevuto in denaro. Ma così si inquina il sistema, che forse rimane ancora trasparente, ma certo non dà l’immagine di esserlo.
Obiezioni non banali, insomma.
Dunque? Vanno forse bene i collegi uninominali? Agli stessi io sono legato perché mi hanno consentito di entrare in Parlamento nel 2001, ma debbo riconoscere che funzionano solo se vi sono coalizioni equilibrate. Altrimenti, il voto è aprioristicamente segnato, salvo qualche rara eccezione nel caso in cui vengano proposte persone davvero impresentabili. Ma l’esperienza ha dimostrato, anche nel 2001, che sono stati eletti molti “catapultati”, seppure sconosciuti, perché la forza della coalizione ha avuto il sopravvento sul valore del singolo candidato proposto.
Quale soluzione, conclusivamente, scegliere? I più optano, nonostante tutte le obiezioni sopra ricordate, per il sistema delle preferenze, ma senza una forte riduzione dei collegi elettorali perché, altrimenti, il costo della campagna elettorale diventa davvero insostenibile. Qualcuno dirà subito che si tratta di una scelta incompatibile proprio con l’auspicata riduzione del numero dei parlamentari. L’obiezione è vera, ma, come sopra si è ricordato, non esiste il sistema elettorale perfetto, per cui si deve scegliere quello che si ritiene il male minore. Allora, meglio un parlamentare in più, ma scelto proprio dai cittadini! Altrimenti… accontentiamoci di ciò che passa il convento, una legge elettorale che tutti giudicano pessima, ma che, forse, se i partiti avranno la forza di scegliere bene chi mettere in lista, magari attraverso un vero e ben regolamentato sistema delle “primarie”, che poi venga totalmente rispettato e non appaia un mero simulacro esterno di Democrazia, non dà luogo al peggiore dei sistemi elettorali!

Maurizio Paniz
Già Componente della Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati,
Avvocato

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