Quanto costa la “fuga dei cervelli”?

Angela Caporale

Quantificare la perdita per l’Italia in termini economici costituisce, indubbiamente, un’operazione suggestiva. Tuttavia, risultati di ricerca eccellenti non dipendono soltanto dal talento dei ricercatori, ma anche da fattori contingenti, come il sostegno di team strutturati, finanziati, inseriti in quadri di formazione universitaria curati ed eccellenti o in centri di ricerca di valore.

Scorrendo la classifica dei 50 migliori scienziati italiani al 2012, elaborata da Via-Academy, secondo un indice riferito a produttività ed impatto dell’opera culturale o scientifica in base alle citazioni ricevute, emerge chiaramente come le località nelle quali questi ricercatori operino siano spesso diverse dall’Italia.
È lecito chiedersi, quindi, se questa produttività delocalizzata, che rappresenterebbe un’importante risorsa per il Paese, comporti perdite culturali ed economiche significative. L’Icom, Istituto per la competitività, in un’indagine commissionata dalla Fondazione Lilly, che promuove la ricerca medica, e dalla Fondazione Cariplo, ha provato, nel 2010, a quantificare economicamente il fenomeno della “fuga dei cervelli”.
Il risultato è estremamente significativo: negli ultimi vent’anni, l’Italia ha perso quasi 4 miliardi di euro. L’importo viene quantificato sommando il ricavato dal deposito di 155 domande di brevetto, proposte da uno dei ricercatori italiani della Top 20 di Via-Academy, e altri 301 brevetti nelle cui equipe di ricerca comparivano scienziati emigrati.
Per arrivare ai 4 miliardi di perdite calcolati, spiegano gli autori della ricerca, si fa riferimento al database dell’Organizzazione Mondiale per la proprietà Intellettuale, che associa ad ogni scienziato il numero di domande internazionali presentate in base all’anno di pubblicazione. Se il ‘top scientist’ (autore principale) è italiano, emergono 11 brevetti nel settore chimico, 5 nell’ITC, e 139 nel settore farmaceutico, che comprende anche la medicina. Lo studio sottolinea, inoltre, come, tra i 100 migliori scienziati italiani, la metà si sia allontanata dal Paese trovando successo e riconoscimento all’estero.
Quelli che restano in Italia, pur dovendo far fronte a costanti difficoltà, di tipo economico e legate allo scarso numero complessivo di scienziati, raggiungono comunque un indice di produttività intellettuale eccellente, pari al 2,28% delle produzioni scientifiche, valore che colloca i ricercatori della Penisola al terzo posto nella classifica di questo particolare indice, guidata dalla Gran Bretagna (3,27%) e dal Canada (2,44%).
Quantificare la perdita per l’Italia in termini economici costituisce, indubbiamente, un’operazione suggestiva. Tuttavia, risultati di ricerca eccellenti non dipendono soltanto dal talento dei ricercatori, ma anche da fattori contingenti, come il sostegno di team strutturati, finanziati, inseriti in quadri di formazione universitaria curati ed eccellenti o in centri di ricerca di valore. “La ricerca non è solo in teoria uno dei motori dello sviluppo di ogni sistema Paese, ma è anche in pratica un grande investimento. Il difetto vero è che mancano le risorse per i ricercatori” afferma in proposito il presidente del Consiglio Universitario Nazionale, Andrea Lenzi. Se i ricercatori fossero tutti rimasti, avrebbero portato un guadagno per l’Italia, ma l’Italia avrebbe dovuto dimostrare di saperli sostenere e di saperli porre nelle condizioni adeguate per poter sperimentare.

Angela Caporale
collaboratrice di SocialNews

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