Le facce del precariato

Luca Filippi

Collaboratori sottopagati o stagisti con scarsissime, se non assenti, possibilità di tramutare il sogno in lavoro concreto.

Giornalismo, che passione! Per molti, un’aspirazione destinata a rimanere tale. Un semplice hobby. Alle prese con le precarie condizioni economiche del Paese e la nota selettività dell’ambiente, un giovane, pur armato di talento, entusiasmo, pazienza, umiltà e spirito di sacrificio, è praticamente impossibilitato a “sfondare” nel contesto locale. Forse un’utopia, un sogno irrealizzabile, arrivare ad ottenere uno stipendio che permetta di vivere. Giornali, televisioni ed uffici stampa non assumono, e se lo fanno, offrono contratti per quattro spiccioli. Drammatico pensare al futuro. Prendete il caso di Gian Marco, 22 anni, diplomato, che collabora da due anni per un quotidiano della sua città. Sarà costretto a virare su un’altra occupazione perché il giornale lo paga a pezzo, cifre che si aggirano attualmente sui 2,50 euro o al massimo 4 in caso di apertura. «La mia esperienza in questo settore è iniziata nel 2009, poi le cose si sono evolute e sono arrivato a scrivere quotidianamente, dedicandoci parecchie ore. Ovviamente, la domenica (scrive per lo sport ndr), se devo intraprendere una trasferta per seguire una partita, sono impegnato quasi tutta la giornata. Mi ricordo che la scorsa estate andavo in redazione cinque – sei ore al giorno e, in concomitanza con il “successo” che stavo pensando di ottenere, assieme ad altri motivi, ho deciso persino di abbandonare l’Università».
Poi, la svolta in negativo. «Qualche mese fa hanno convocato i collaboratori e ci hanno comunicato un ridimensionamento nei pagamenti di tutto il personale. Dunque, le condizioni per un futuro incentrato sulla scrittura, che per me è diventata un’aspirazione, sono crollate. In estate, finiti i vari campionati, lavorerò tre mesi alle poste e mi dedicherò al giornalismo solo saltuariamente. Purtroppo, percependo queste cifre, non si può fare diversamente».
Un rammarico cocente accentuato dalla presenza dei cosiddetti “privilegiati”. «All’inizio sono rimasto deluso per quello che mi è successo, ora persiste soprattutto la rabbia perché penso di valere più di certi “raccomandati” che lavorano nell’ambiente e non sanno nemmeno loro come fanno a stare lì dentro. Diventare giornalista oggi è un’utopia: da una parte c’è la casta, dall’altra il precariato».
Non cambia la situazione quando si parla di piccolo schermo. Giulia, 26enne, laureata, dopo sei mesi di collaborazioni su un quotidiano, è passata al giornalismo televisivo. Prima si occupava di sport, seguiva partite ed organizzava la trasmissione che andava in onda settimanalmente. Ora, visto che il programma ha chiuso anzitempo i battenti, è passata ad una redazione web, nella quale gestisce il sito scrivendo ed inserendo gli articoli in rete. «Ho un contratto a progetto da 300 euro al mese. All’inizio mi avevano promesso aumenti in base alle “visite” degli utenti. Il sito funziona alla grande e sono aumentati i click, ma, attualmente, ci sono ritardi e faccio fatica a vedere persino il minimo pattuito. Eppure, lavoro tutti i giorni dalle 9 alle 18, sabato compreso. È una vergogna».
Con uno scenario simile, è impossibile costruirsi un futuro. «Per me che sono una ragazza è diverso, ma in generale è difficile pensare di mettere in piedi una famiglia, pagare il mutuo, ecc. Per esperienza personale, se conto soltanto i soldi che se ne vanno in benzina, guadagnerò 50 euro. Cosa spinge a svolgere questo mestiere? La passione. Ma gli anni passano e cresciamo. Non possiamo lavorare gratis».
Linda (nome di fantasia), 29enne, è quella che arranca di più. Laureata con lode, dopo tre mesi in una redazione giornalistica è passata ad uno stage di otto mesi in un ufficio stampa nel quale lavorava 6 ore al giorno. Ora, come prima, continua a farsi in quattro in un’altra struttura senza percepire nemmeno un euro di rimborso spese. Spontaneo domandarle chi glielo faccia fare. «La mia famiglia ha pazienza e mi aiuta, gli scorsi anni facevo la commessa durante la stagione estiva per contenere i costi, visto che abito fuori dalla città natale da diversi anni. Il fatto è che mi piace questo lavoro, ho tanta passione e, quando vado a dormire, la notte la speranza è di trovare un’occupazione attinente a quello che ho studiato. Purtroppo, non ho le conoscenze per inserirmi, ma sto cercando di allargare gli orizzonti».
Anche a Linda i conti non tornano. «Le scuole di giornalismo non servono a niente, l’esperienza si costruisce sul campo. Sono un po’ delusa perché, probabilmente, qualche anno fa una serie di stage come nel mio caso sarebbe bastata per ottenere un contratto. La crisi non riguarda solo il mio settore, ma secondo me c’è un problema generazionale. Nel futuro mi vedo ancora in giro a scrivere gratis. Per il momento non mi sono data una scadenza, speriamo si sblocchi la situazione».

Luca Filippi
Scienze della Comunicazione Pubblica e Sociale – Università Alma Mater Studiorum di Bologna

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