Verso un neo-umanesimo laburista

Stefano Fassina

Le condizioni delle persone che lavorano continuano a peggiorare. Non vedono vie d’uscita gli ultracinquantenni che il lavoro l’hanno perso. Troppi giovani, troppe donne non ci credono più. Siamo lontani anni luce dagli obiettivi di Lisbona in materia.

Per il lavoro, le cose non andavano così male da vent’anni. Nel novembre scorso, il tasso di disoccupazione giovanile ha superato il 37%, l’esercito complessivo dei senza occupazione sfiora i 3 milioni di individui e sono sempre più numerosi coloro i quali il lavoro non lo cercano neppure più: hanno perso anche la speranza.
È passato un anno da quando, grazie al Governo Monti ed al senso di responsabilità del PD e delle forze economiche e sociali, l’Italia ha faticosamente riconquistato credibilità in Europa. Una credibilità alimentata soprattutto dai sacrifici delle donne e degli uomini, colpiti dagli interventi sulle pensioni, dai tagli ai servizi sociali, dagli aumenti delle tasse, spesso realizzati senza la dovuta attenzione all’equità. Un complesso di provvedimenti, dunque, considerevole, ma nel quale il ruolo di “cenerentola” è stato affidato al lavoro.
Se, da una parte, il Governo Monti ha ricevuto l’eredità pesantissima dell’irrealistico impegno assunto dal Governo Berlusconi, unico in Europa, al pareggio di bilancio nel 2013, dall’altra l’esecutivo ha manifestato una cultura economica inadeguata alla nuova fase che il Paese sta affrontando. In particolare, ha sottovalutato l’effetto recessivo dell’austerità, sminuendo l’efficacia delle riforme strutturali e trascurando la necessità di politiche di sostegno che guidino alla riconversione ecologica dell’economia e della società, e della redistribuzione del reddito, come perno decisivo per lo sviluppo.
Oggi, l’Italia deve intraprendere un sentiero di sviluppo diverso, una linea politica alternativa al liberismo mercantilista fondato sulla svalutazione del lavoro. La svolta è una visione – all’interno di un convinto sentire europeista – basata sulla centralità del lavoratore, sul rispetto della dignità del lavoro. Un neo-umanesimo laburista, sintesi originale della dottrina sociale della Chiesa e dell’attenzione all’asimmetria di potere nella dimensione della produzione propria dei movimenti progressisti.
Le condizioni delle persone che lavorano continuano a peggiorare. Non vedono vie d’uscita gli ultracinquantenni che il lavoro l’hanno perso, mentre troppi giovani e troppe donne non ci credono più. Siamo lontani anni luce dagli obiettivi di Lisbona in materia.
Per affrontare questi problemi, è tempo che la politica ridefinisca gli obiettivi, e che i tecnici si adoperino a trovare le soluzioni più efficaci per raggiungerli. Nella crisi attuale, è in gioco la civiltà del lavoro, la Democrazia fondata sul lavoro, secondo la formula insuperabile dell’art. 1 della nostra Costituzione.
Per lo sviluppo sostenibile e per la buona e piena occupazione, a livello europeo, non bisognava focalizzarsi sull’austerità autodistruttiva, poiché – come si è poi potuto verificare – gli irrealistici ed insostenibili obiettivi di finanza pubblica generano una spirale recessiva, sociale e democratica, ed un’instabilità di finanza pubblica. Né si sono dimostrati utili gli interventi sulle regole del mercato del lavoro (come la cancellazione dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori) che hanno indebolito il potere contrattuale dei lavoratori e delle lavoratrici ed hanno favorito la riduzione delle retribuzioni e del costo del lavoro. Questa svalutazione del lavoro, in alternativa all’ormai impossibile svalutazione della moneta, ha rappresentato un tentativo illusorio di recupero della competitività che ha ristretto i diritti dei lavoratori senza incidere sulla produttività del sistema.
Per la ripresa, è necessario definire – insieme alla Commissione europea – un allentamento del percorso di riduzione del deficit che consenta sia una revisione selettiva del Patto di Stabilità Interno per investimenti qualificati degli Enti Territoriali (in particolare dei Comuni), sia l’utilizzo delle risorse rinvenute dalla spending review per il pensionamento degli esodati, il finanziamento della scuola pubblica e del “Fondo per le politiche sociali” dei Comuni. L’innalzamento del deficit verrebbe compensato dall’ampliamento del Pil. Si potrebbero così rispettare gli obiettivi di bilancio supportando le imprese e riducendo la disoccupazione.
L’intera agenda domestica del Partito Democratico è centrata su due driver sistemici e complementari che devono guidare gli investimenti sulla conoscenza, gli interventi di politica industriale e fiscale, le politiche territoriali per lo sviluppo, le riforme strutturali, gli investimenti per la logistica:
l’innalzamento del tasso di occupazione femminile fino a raggiungere, nel 2020, il 60% (ossia circa 3 milioni di donne occupate in più rispetto a oggi);
l’innalzamento della specializzazione produttiva dell’Italia.
Nel mercato del lavoro, il Governo Monti è riuscito ad implementare alcune misure positive, come la centralità prevista per il contratto di apprendistato, la reintroduzione del contrasto alle dimissioni in bianco, l’identificazione dei voucher nel settore agricolo, i filtri inseriti all’utilizzo dei contratti a progetto e dei rapporti a partita Iva (come l’introduzione del compenso minimo legato ai minimi dei contratti nazionali di lavoro). Vi sono, però, ancora molti problemi irrisolti. In materia di contrasto ai vantaggi di costo dei contratti precari, invece di puntare a ridurre gli oneri sociali del contratto di lavoro a tempo indeterminato, il Governo ha aumentato il costo del lavoro delle forme contrattuali “flessibili”, soprattutto per i co.co.pro. e per il popolo delle partite Iva iscritte alla gestione separata Inps.
Altri nodi riguardano gli oneri sociali sui contratti di lavoro, per evitare che l’aumento delle aliquote contributive per i lavoratori a progetto e con partita Iva si traduca in una riduzione del loro reddito netto, la ridefinita indennità di disoccupazione (“Assicurazione sociale per l’impiego”, Aspi) per coprire l’insieme dei lavoratori, compresi i parasubordinati, il buco di copertura reddituale per i lavoratori e le lavoratrici 60enni dopo l’eliminazione dell’indennità di mobilità, data la durata massima dell’Aspi di 18 mesi, la cancellazione delle pensioni di anzianità e l’innalzamento dell’età di pensionamento, la contribuzione figurativa dei contratti stagionali, la durata del contratto a tempo determinato senza causali e le politiche attive del lavoro, dei servizi per l’impiego e della formazione.
Il Partito Democratico si impegna anche a correggere gli errori compiuti nell’intervento sul sistema pensionistico: si tratta di scelte inopportune e decisioni adottate senza il necessario, preliminare confronto con i lavoratori. Occorre correggere le insostenibili condizioni degli “esodati”, restituendo certezza della tutela dei diritti per migliaia di lavoratori e lavoratrici rimasti senza stipendio e senza pensione.
Nella prossima legislatura andrà anche affrontata la differenziazione dei requisiti di accesso al pensionamento per lavoratori e lavoratrici impegnati in attività usuranti. Chi ha svolto per 40 anni lavoro d’ufficio non può essere trattato come chi è stato per un lungo periodo alla catena di montaggio. Decisiva sarà l’approvazione di uno Statuto del Lavoro autonomo e professionale, rivolto alla promozione, alla valorizzazione ed all’estensione delle tutele sociali di una realtà di grande rilievo per il sistema economico e l’occupazione. È sotto gli occhi di tutti l’urgenza di un Piano nazionale per il lavoro giovanile e femminile, che avvii progetti di lavoro, realizzati da soggetti, locali o nazionali, pubblici o dell’area del volontariato e del terzo settore, per la tutela ambientale, la cura del territorio, la promozione di altre attività di pubblico interesse. I progetti, finanziati da fondi strutturali europei, impiegherebbero giovani inoccupati e disoccupati per periodi limitati, a rotazione, per un compenso mensile analogo al trattamento di disoccupazione.
Per quanto riguarda le relazioni industriali, rimane aperta la questione della misurazione della rappresentatività delle organizzazioni, dei criteri della rappresentanza e dell’esercizio della democrazia sindacale. Il documento unitario di Cgil, Cisl e Uil del maggio 2008 può ancora costituire la base per un’intesa di carattere generale fondata sull’equilibrio tra la responsabilità negoziale dell’organizzazione sindacale e la partecipazione degli iscritti e di tutti i lavoratori e lavoratrici alla validazione degli accordi e dei contratti. Anche sul tema della democrazia economica occorre progredire in un concreto coinvolgimento dei lavoratori e delle lavoratrici nelle scelte strategiche delle imprese.
In uno scenario politico europeo e nazionale in evoluzione, bisogna ritrovare la capacità di rispondere efficacemente alle domande di benessere sociale dei cittadini. Al centro dell’agenda ci deve essere il lavoro subordinato in tutte le sue forme, esplicite o coperte da contratto a progetto o partita Iva. Assieme a questo, il lavoro autonomo, il lavoro professionale, il lavoro dell’imprenditore datore di lavoro: insieme costituiscono un blocco sociale eterogeneo e dinamico, una soggettività politica del lavoro. Non bisogna rassegnarsi al declino del lavoro, ma costruire un’alleanza tra lavoratori, quali portatori di idee e istanze comuni. Perché, come affermava Keynes, “Presto o tardi sono le idee, non gli interessi costituiti, che sono pericolose, sia nel bene, sia nel male”.

Stefano Fassina
Economista, Responsabile Economia e Lavoro del Partito Democratico

Rispondi