La visione olistica

Antonella Ronchi

Il concetto di salute è differente nel modello olistico, secondo il quale la salute non è l’assenza di malattia o infermità, ma la capacità di un sistema di rispondere adattativamente a un ampio spettro disollecitazioni esterne.

Mai come in questi anni la medicina è stata in grado di offrire tanto ai pazienti: strumenti diagnostici, terapeutici, un insieme di conoscenze che hanno permesso di sconfiggere moltissime malattie e di portare la vita media a un’età impensabile solo 50 anni fa. Eppure mai come adesso i pazienti hanno avvertito insoddisfazione, insofferenza, rifiuto per la medicina e per i medici.
Non si tratta solo della frustrazione di aspettative miracolistiche da parte dei pazienti, ma di una critica precisa a una medicina sempre più spersonalizzata, meccanica, dove il paziente si sente un ingranaggio di una macchina da riparare.
Dalla metà del secolo scorso abbiamo assistito all’affermarsi prepotente del modello biomedico nel campo della salute: la malattia è vista come un difetto in processi biologici e chimici che vanno riparati e riportati alla normalità. La malattia è definita empiricamente e determinata da esami di laboratorio ed altri test biologici o fisici. La guarigione dipende dal rigore nell’applicazione di tecniche diagnostiche e terapeutiche appropriate. Negli ultimi venti anni poi, la prepotente affermazione dell’evidence based medicine, la medicina basata sulle prove di efficacia, ha ulteriormente contribuito a questo processo di spersonalizzazione, affidando a protocolli statisticamente validati la responsabilità di curare singoli pazienti.
In questo contesto la soggettività del medico e del paziente sono viste come un ostacolo alla pratica terapeutica così configurata. Il paziente ha un ruolo passivo, come fosse una macchina da riparare. La pratica medica e la ricerca sono oggettive, neutrali e scientifiche. L’atteggiamento in generale è interventista.
E d’altra parte la stessa preparazione universitaria dei futuri medici, orientata sullo studio dei più sottili meccanismi biochimici che stanno alla base delle alterazioni patologiche, spezzettata nello studio di singoli apparati, all’inseguimento di una sempre più sofisticata specializzazione, ha sempre di più compromesso la capacità di guardare al malato come un essere umano nella sua interezza.
Come sempre avviene quando si raggiunge un livello critico si mette in moto un processo di reazione, e questo si è verificato sia tra i medici che tra i pazienti. E se da parte della classe medica si è sviluppata negli ultimi anni un’ ampia riflessione su questi temi e si è messo in evidenza il bisogno di umanizzazione della medicina, da parte dei pazienti una delle risposte è stato il ricorso sempre più convinto alle Medicine Non Convenzionali, e all’omeopatia in particolare.
Questo ovviamente non è l’unico motivo di un simile orientamento: di fronte alla crescita di patologie croniche che richiedono cure prolungate per decenni, bombardati da allarmi sulla tossicità dei farmaci convenzionali, molti pazienti si sono orientati verso la ricerca di sistemi di cura più naturali, meno tossici.
Ma che cosa accomuna le Medicine Non Convenzionali, un insieme eterogeneo di discipline e pratiche, che affondano le loro radici nella cultura europea, come l’omeopatia o l’antroposofia, ma anche in culture lontane, come l’agopuntura o la medicina ayurvedica?
Certamente il modello olistico, che vede l’individuo come un’unità psico-biologica, all’interno di uno specifico ambiente fisico e sociale. Un sistema vivente composto da sottosistemi in parte riconducibili a meccanismi semplici, ma anche parte di un ordine di gerarchia più alta, non riconducibile a modelli meccanici, che ha a che fare invece con l’uomo inteso come persona.
Anche il concetto di salute è differente nel modello olistico, secondo il quale la salute non è l’assenza di malattia o infermità, ma la capacità di un sistema (cellula, organismo, famiglia, società) di rispondere adattativamente a un ampio spettro di sollecitazioni esterne (fisiche, infettive, psicologiche ecc).
Il paziente che si rivolge al medico omeopata trova un professionista che prende in considerazione non solo la sintomatologia specifica della patologia di cui soffre, ma tutto il quadro generale: storia clinica, ma anche concomitanze, relazioni con l’ambiente, carattere ecc. E a questo quadro farà corrispondere la prescrizione di un medicinale che stimoli la capacità di reazione di quello specifico organismo. Il sintomo per cui il paziente si rivolge al medico sostanzialmente dovrà essere solo la tesserina di un puzzle che dovrà restituire l’immagine completa della persona, del suo contesto, della sua storia. Ecco perché si parla di medicina centrata sulla persona.
Questo tipo di approccio non si realizza semplicemente adottando un atteggiamento più accogliente o amabile, l’umanizzazione della medicina non è una paternalistica concessione alle richieste del paziente, anche se ovviamente attenzione ed ascolto devono far parte del bagaglio minimo del medico. Quello che deve caratterizzare l’approccio del medico è una reale capacità di entrare in relazione col malato e di accogliere gli argomenti con cui egli orienta la cura di sé; si deve ricercare una consensualità che poggi su una capacità di entrare in risonanza con il paziente che abbiamo davanti, perché ogni paziente cerca la sua strada e il compito del medico è accompagnarlo in questo percorso. La medicina omeopatica ha nel medicinale individualizzato lo strumento terapeutico che può realizzare questo ideale, e quando questa sorta di alchimia si verifica, la guarigione è qualcosa di più della sparizione di un sintomo, va oltre la normalizzazione di una funzione.
La migliore esposizione di questo processo è riassunta nelle parole di una paziente in cura per un ipertiroidismo, che ha cercato nella medicina omeopatica una soluzione diversa da quella che poteva offrirle la terapia convenzionale. Queste le parole con cui la paziente descrive la reazione alla terapia omeopatica: “ Sto decisamente meglio, i battiti cardiaci sono scesi a circa 80 al minuto anche se ci sono stati giorni in cui sono stati più alti e un giorno in cui erano 75, penso che questo rientri nella normalità. Più in generale questo rimedio è stato portentoso, mi sento piena di energia e propositività come credo di non essere mai stata, inoltre ho una sensazione di equilibrio psico/emotivo che mi fa stare particolarmente bene”.
Se l’essere umano è un tutt’ uno, la medicina umanizzata deve prendersi cura di questa totalità.

Antonella Ronchi
Presidente Federazione Italiana delle Associazioni e dei Medici Omeopati (FIAMO)
Coordinatrice del Comitato Permanente di Consenso e Coordinamento per le Medicine Non Convenzionali in Italia

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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