Una questione di educazione

Antonio Palmieri

Un processo di educazione efficace dev’essere trasversale e in questo caso dovrebbe poter coinvolgere il Garante, le scuole e i media stessi, dai giornali cartacei alla televisione, con lo scopo non di porre vincoli, ma condizioni in cui una persona possa muoversi con coscienza.

La privacy rappresenta, senza ombra di dubbio, uno dei temi più delicati tra quelli che possono assurgere ad oggetto di dibattito politico e sociale. Gli stimoli sono molteplici e provengono da ambiti diversi come, per esempio, l’avanzamento delle nuove tecnologie e dei new media ed eventi di attualità.
La normativa vigente è quella racchiusa nel Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, intitolato “Codice in materia di protezione dei dati personali” e comunemente noto come “Testo Unico sulla privacy”. Nonostante questo provvedimento legislativo abbia ormai quasi dieci anni, non è attualmente in corso un dibattito in Parlamento su un’eventuale modifica del testo. L’attenzione è posta, piuttosto, sull’implementazione della normativa vigente e sulla figura da essa confermata del Garante per la protezione dei dati personali.
L’aspetto più problematico, proprio perché sviluppatosi successivamente all’entrata in vigore del TU, è quello che riguarda il rapporto tra la protezione della privacy e l’utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione, internet ed i social network in particolare. L’assunto fondamentale posto alla base di quella che dovrebbe essere l’azione in questo ambito è la ricerca della consapevolezza nel cittadino. I media digitali non sono un semplice prolungamento del proprio spazio casalingo, ma un luogo di incontro esterno in cui tutto ciò che viene pubblicato è, a tutti gli effetti, esposto on-line. Gli utenti vi si approcciano ancora adesso con leggerezza, non valutando con la dovuta attenzione quali possano essere le conseguenze della pubblicazione di dati o fotografie e dimostrando, così, una certa imprudenza. L’esposizione al rischio di violazioni o abusi è, quindi, praticamente quotidiana.
Questa consapevolezza ancora assente deve costituire l’obiettivo finale di diverse tipologie di azioni. Un processo di educazione efficace dev’essere trasversale e in questo caso dovrebbe poter coinvolgere il Garante, le scuole e i media stessi, dai giornali cartacei alla televisione, con lo scopo non di porre vincoli, ma condizioni in cui una persona possa muoversi con coscienza. Come ogni luogo, anche il web ha bisogno di utenti che tengano un comportamento consono alla situazione.
A mio avviso, lo Stato, in questo processo, può assumere un ruolo successivamente e tutto l’ambiente politico può esercitare una funzione primariamente esortativa. Chi si occupa di politica, a tutti i livelli, può utilizzare la sua visibilità per porre il problema; può utilizzare i mezzi di comunicazione in tutte le forme possibili per vivacizzare il dibattito in modo che raggiunga sempre più persone; può stimolare il governo dei media affinché essi non trascurino l’aspetto educativo; può, infine, incentivare ed incoraggiare l’azione del Garante che dispone dei mezzi normativi per garantire una tutela effettiva ed efficace dei diritti dei cittadini in questo settore.
Inoltre, è proprio riguardo alla figura del Garante che è possibile compiere un ulteriore passo in avanti. Potrebbe essere interessante, infatti, implementare una funzione preventiva atta alla diffusione di questa forma di consapevolezza del ruolo e del posto di ciascuno all’interno del web. Ciò potrebbe condurre ad una riduzione del rischio di incorrere in violazioni ed abusi permettendo, di conseguenza, una più efficace tutela della privacy di ogni cittadino.

Dichiarazioni raccolte da Angela Caporale

Antonio Palmieri
Deputato e responsabile nazionale della comunicazione elettorale e Internet del Popolo delle Libertà

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