Esigenze investigative

Anna Rossomando

Nonostante alcuni importanti risultati ottenuti a seguito del lavoro svolto allora quale opposizione nelle Commissioni parlamentari ed in Aula nel testo che, di volta in volta, si “minaccia” di riesumare, permangono una serie di gravi criticità.

In tempi di gravi difficoltà economiche e sociali per il nostro Paese, intervenire sulla disciplina delle intercettazioni telefoniche non costituisce davvero una priorità. E non appare superfluo sottolineare, ancora una volta, quanto l’efficienza del servizio Giustizia incida sui costi del sistema Paese, sulle sue capacità di competere e, in definitiva, sullo sviluppo e la modernità dello stesso. Altri sono, pertanto, i provvedimenti urgenti in tema di Giustizia e tra questi non possiamo certo tacere sul sovraffollamento delle carceri, assurto a drammatica emergenza.
Questo non significa che non si possa discutere in assoluto di intercettazioni, con una premessa, però, non superabile: il terreno del confronto non può essere rappresentato dal testo oggi giacente (non a caso) sul cosiddetto “binario morto”. Tale provvedimento è giunto a conclusione di una dura battaglia parlamentare, la quale ha prodotto un testo che non presenta soluzioni coerenti con la discussione apertasi nelle passate legislature. Il punto era come garantire l’effettivo contemperamento delle esigenze investigative, e quindi il diritto dovere dello Stato di reprimere ed accertare i reati, con il più volte citato diritto alla riservatezza e, correlativamente, con il diritto dei cittadini ad essere informati su fatti rilevanti e di interesse pubblico. Questo costituiva e costituisce il tema al centro del confronto sull’attuale regime delle intercettazioni, ovvero sulla pubblicabilità del loro contenuto. Del tutto inadeguato è stato l’approccio che la passata maggioranza del Governo Berlusconi ha avuto con le diverse susseguenti proposte di modifica dell’attuale regime. In tutti i testi ed in tutte le versioni succedutesi a partire dal 2008, infatti, l’obiettivo perseguito, così come emergeva dai testi proposti, era una limitazione dello strumento investigativo, più che un reale sforzo per disciplinare la pubblicazione delle conversazioni cosiddette irrilevanti in quanto estranee all’oggetto dell’indagine.
Tutti gli interventi susseguitisi erano diretti a depotenziare lo strumento di indagine e di ricerca della prova più che ad affrontare davvero la questione della pubblicabilità di ciò che viene considerato irrilevante ed estraneo alle indagini e come evitare fughe di notizie.
Paradossalmente, questo avveniva mentre si approvavano roboanti “pacchetti sicurezza”.
Nonostante alcuni importanti risultati ottenuti a seguito del lavoro svolto allora quale opposizione nelle Commissioni parlamentari ed in Aula nel testo che, di volta in volta, si “minaccia” di riesumare, permangono una serie di gravi criticità.
Ne cito alcune tra le più rilevanti:
1) La previsione della competenza del tribunale del distretto in composizione collegiale quale giudice che deve autorizzare le intercettazioni è assolutamente irragionevole ed avrà un impatto organizzativo disastroso sul sistema Giustizia. Significa che, per ogni intercettazione telefonica, ogni utenza, ogni proroga, ogni captazione ambientale, ogni convalida di atto urgente adottato dal Pm, sarà necessario riunire un collegio di tre persone nella sede del distretto di Corte d’Appello. Se si considera che un solo giudice ha per legge il potere di disporre non solo custodie cautelari in carcere e altre limitazioni della libertà personale, ma anche di irrogare pene detentive, compreso l’ergastolo, nella sede del giudizio abbreviato, si comprende l’assurdità della proposta. Sul piano organizzativo, inoltre, si pone il problema della disponibilità di risorse umane (giacché saranno necessari più magistrati); le operazioni risulteranno maggiormente complicate, visto che la competenza ricadrà sul tribunale nella sede della Corte d’Appello, verosimilmente lontano dalla sede delle indagini; senza parlare della possibilità di incorrere in incompatibilità.
2) E’ stata abrogato l’articolo 13 della “legge Falcone” (l. n. 203 del 1991). Questa abrogazione modifica la possibilità di effettuare operazioni di intercettazione per reati gravi di criminalità organizzata. Infatti, i requisiti meno severi (sufficienti anziché gravi) che questa legge richiede oggi per intercettare le reti del crimine organizzato saranno previsti domani solo per delitti commessi con finalità di terrorismo, delitti di associazione mafiosa e talune ipotesi di associazione per delinquere. Resta fuori da questo elenco, rispetto alla “legge Falcone”, il reato di costituzione di organizzazioni criminose stabili (articolo 416 cp) volte a perpetrare gravi reati comuni tra cui usura, bancarotta, truffa, aggravata e non, corruzione, concussione, peculato, abuso d’ufficio, sfruttamento della prostituzione e della manodopera agricola e, in genere, tutti i reati commessi dalla criminalità organizzata.
Sarà più difficile per magistrati e forze dell’ordine perseguire questi reati. Proprio grazie a questa legge, anche di recente, nelle inchieste sulle cosiddette “cricche degli appalti”, sono stati ottenuti risultati investigativi importanti.
3) Le intercettazioni ambientali. Il testo – pur lievemente migliorato – resta confuso e gravemente limitativo dei poteri investigativi. Si prevede, infatti, che per disporle occorre che nel luogo sottoposto a controllo debba essere in corso l’attività criminosa. Si richiede, in sostanza, la flagranza del reato, la quale da sola consentirebbe l’arresto. È pur vero che è stata introdotta la possibilità di svolgere le intercettazioni ambientali anche in carenza di flagranza, ma solo se dalle indagini già esperite emerga che la captazione potrebbe consentire l’acquisizione di elementi fondamentali per l’accertamento del reato. Tale possibilità vale, però, solo per gli ambienti diversi dalla privata dimora, per la quale resta valida la regola della flagranza. Si tratta, nel complesso, di un ostacolo irragionevole e talora determinante sul risultato delle indagini. Conseguentemente, l’intercettazione ambientale non potrà costituire il primo mezzo di ricerca della prova, ma dovrà scalare ad elemento di conferma.
4) I tabulati telefonici vengono irragionevolmente accomunati alle intercettazioni. Si tratta di un grave errore logico e giuridico. Il tabulato è solo l’elenco dei contatti telefonici stabiliti tra due utenze. Rivela una frequenza di contatti, ma non il contenuto delle conversazioni. È dunque meno di un’agenda, spesso usato dagli inquirenti per svolgere le prime verifiche e scartare le piste più improbabili.
Sottoporre questo strumento agli stessi requisiti gravosi delle intercettazioni significa lasciare brancolare nel buio gli investigatori. Con il testo approvato nell’ottobre del 2011, risulterà possibile utilizzarli quando lo stato delle indagini è già in fase avviata. Ad esempio, per il reato di truffa, non sarà possibile estrarre il tabulato dell’indagato per dimostrare il legame con la vittima. Dal punto di vista giuridico, poi, sottoporre i tabulati allo stesso regime delle intercettazioni potrebbe addirittura far venire la tentazione di mutuarne il medesimo valore probatorio. Ciò sarebbe assurdo, in quanto il tabulato restituisce meno informazioni dell’intercettazione.
5) Relativamente agli strumenti investigativi diversi dalle intercettazioni, in particolare ispezioni, perquisizioni e sequestri – i tipici mezzi a sorpresa di ricerca della prova – è stato, infine, introdotto un ulteriore, incredibile limite alle indagini.
Viene, infatti, previsto che, per l’atto di ispezione o perquisizione o sequestro, disposto in seguito a notizie apprese da intercettazioni, che possono essere anche in corso, il pm deve provvedere al deposito delle intercettazioni rilevanti nella cancelleria del giudice collegiale nella sede del distretto, con contestuale trascrizione e informazione alla parte.
In pratica, se da un’intercettazione emerge che la persona sequestrata è tenuta presso un certo luogo, il pm dovrà prima depositare le intercettazioni e poi andare a svolgere la perquisizione per liberare il sequestrato, mettendo in guardia i rapitori. È ovvio che una simile procedura può adattarsi alle inchieste semplici, nelle quali il decreto di perquisizione o sequestro è emesso ed eseguito alla fine dell’indagine; ma appare veramente contro ogni ragionevolezza e mette a serio rischio l’efficacia dell’investigazione nelle indagini complesse, nelle quali la perquisizione o l’ispezione vengono svolte in costanza di intercettazioni telefoniche che proseguono, e devono proseguire, nella segretezza, a meno di non comprometterne il risultato.
In sostanza, le proposte contenute nel testo licenziato dalla passata maggioranza porterebbero ad una limitazione delle indagini, burocratizzando inutilmente le autorizzazioni ed aumentando in concreto la fuga di notizie.
Quindi, mentre rimane insoddisfacente la risposta all’esigenza di maggiore tutela della riservatezza laddove vi siano contenuti penalmente irrilevanti ed estranei alle indagini, si pongono seriamente a rischio importanti strumenti investigativi e la trasparenza ed il controllo democratico garantiti dalla funzione dell’informazione. Sotto quest’ultimo aspetto, infatti, l’approccio “punitivo” nei confronti della stampa non può essere accettato, nonostante sia stato introdotto qualche temperamento rispetto al testo iniziale.
Personalmente, ritengo positivo l’accoglimento di una delle nostre proposte, ovvero l’individuazione della cosiddetta udienza filtro come spartiacque per la pubblicabilità del contenuto delle intercettazioni ritenute rilevanti dal giudice in tale udienza. Così come ritengo che si potrebbe ragionare su una maggiore vincolabilità e specificità di motivazione del provvedimento autorizzativo dell’intercettazione da parte del giudice. Per ottenere ciò e riaprire la discussione deve cambiare completamente l’impostazione del provvedimento, che non può essere di tipo “punitivo” nei confronti delle indagini o dell’informazione e, tanto meno, essere di volta in volta brandito sul tavolo di una “trattativa” politica sul tema del controllo di legalità; trattativa che non può in alcun modo essere accettata e non sarà mai aperta. Il controllo di legalità non è “trattabile”. Si può discutere, quindi, di intercettazioni? Certo, ma occorre riportare il dibattito sulla rotta giusta, partendo da un nuovo testo; questo proprio per porre al centro l’esigenza di tutela della riservatezza, dei diritti personali del cittadino che godono di copertura costituzionale e, per ultimo, ma non meno importante, una più puntuale disciplina sulla fuga di notizie.

Anna Rossomando
Avvocato – Onorevole alla Camera dei Deputati
Commissione Giustizia – Giunta per le Autorizzazioni

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