A tutela del cittadino

Concetta Giunta

Anche la dottrina, in maniera concorde, individua il fondamento costituzionale del diritto alla privacy nell’art. 2 Cost., nel quale “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.

“Tutti si interessano ai fatti miei come fossero miei parenti”, scriveva Manzoni all’amico Fauriel. La tentazione, diffusa in ogni tempo, di varcare la soglia della sfera privata altrui è ancor più temibile in contesti sociali nei quali proliferano strumenti in grado di rendere sbiadito il confine tra ciò che si desidera condividere con terzi e ciò che si intende mantenere nella propria sfera privata.

Cercare, nella Costituzione italiana, un argine a tali ingerenze può apparire esercizio sterile sin dalle premesse, dal momento che, come è noto, nessuna disposizione costituzionale tutela in maniera diretta ed immediata il diritto alla privacy.

Ciononostante, i contrasti che quotidianamente oppongono l’esigenza di riservatezza ad interessi diversi possono trovare, nel testo costituzionale, una composizione meno partigiana – e giuridicamente più convincente – rispetto allo schierarsi aprioristicamente dalla parte del Grande Fratello di orwelliana memoria o degli ipergarantisti intransigenti.

Una lettura sistematica delle norme fondamentali mostra, infatti, come, nonostante l’assenza di una specifica disciplina, la Costituzione riconosca “un particolare pregio all’intangibilità della sfera privata negli aspetti più significativi e più legati alla vita intima della persona umana” (Corte cost., sent. n. 366/1991).

Il fondamento di tale pregio è stato rinvenuto, nella prima sentenza del Giudice costituzionale che ha affrontato la questione, negli artt. 2, 3, secondo comma, e 13, primo comma i quali, riconoscendo e garantendo i diritti inviolabili dell’uomo, tutelerebbero, indirettamente “quello del proprio decoro, del proprio onore, della propria rispettabilità, riservatezza, intimità e reputazione, sanciti espressamente negli artt. 8 e 10 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo” (Corte cost., sent. n. 38/1973).

Anche la dottrina, in maniera concorde (seppur attraverso percorsi argomentativi diversi), individua il fondamento costituzionale del diritto alla privacy nell’art. 2 Cost., a norma del quale “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.

Secondo la lettura che sembra più convincente, l’art. 2 fonda il diritto alla riservatezza nella misura in cui accoglie il primato della persona (principio personalistico) ed estende la tutela dei suoi diritti anche contro i rischi e le ingerenze che dalle formazioni sociali di cui si è parte possono derivare. In altri termini, la Costituzione riconosce e garantisce che la personalità si formi, si nutra e si svolga nella società, ma anche al riparo da essa.

Analogamente, l’art. 3, primo comma, Cost., riconoscendo la pari dignità sociale e, fondando così il diritto all’onore, non è indifferente rispetto alle violazioni dello stesso che possono derivare da un’indebita invasione dell’intimità dei cittadini (si pensi, ad esempio, alla diffusione tendenziosa dei dati che il “Codice in materia di protezione dei dati personali” definisce “sensibili”).

Una più penetrante protezione della sfera privata emerge, poi, proseguendo nella lettura della Costituzione, dalla disciplina delle tre libertà che la Costituzione definisce in maniera espressa “inviolabili”: libertà personale, inviolabilità del domicilio, libertà e segretezza delle comunicazioni. Gli articoli 13, 14 e 15 Cost., dedicati a tali diritti, confermano la centralità che assume nella Costituzione italiana la persona, tanto nel suo essere fisico, quanto nella sua proiezione spaziale e nel suo comunicare con altri. L’intromissione in tali ambiti materiali è, in via generale, preclusa ad ogni altro soggetto, pubblico o privato.

A ciò si aggiunga che l’art. 21 Cost., nel disciplinare la libertà di manifestazione del pensiero, fornisce pari tutela alla forma di godimento negativa della stessa: il c.d. diritto al silenzio, ovvero la facoltà di non diffondere fatti o pensieri giuridicamente qualificabili come “propri” dal titolare del diritto medesimo.

La considerazione sinottica dei diritti appena citati concorre a delineare quello che, significativamente, la dottrina nordamericana ha definito “right to be let alone”. Anzi, rispetto al diritto alla riservatezza – definito dalla Corte costituzionale come il potere del soggetto “di controllare le informazioni che lo riguardano e le modalità con cui viene effettuato il loro trattamento” (sent. n. 271/2005) – si rinviene nella Costituzione, in determinati casi, un più penetrante divieto di acquisizione di dati e notizie ricadenti nella sfera intima della persona.

In tale ultima prospettiva si considerino, ad esempio, i citati artt. 14 e 15 Cost., i quali configurano diritti ad escludere terzi (iura ecxcludendi alios) dall’accesso, rispettivamente, nella dimensione spaziale privata (inviolabilità del domicilio) e dalla cognizione di comunicazioni interpersonali (segretezza delle comunicazioni). Non si tratta, dunque, di un mero obbligo di riservatezza nel trattamento di dati acquisiti, quanto, piuttosto, del divieto di acquisirli. Attenta dottrina ha distinto, in tal senso, il diritto alla segretezza dal più generico diritto alla riservatezza. In altre parole, da una parte la Costituzione garantisce che l’ambito privato non venga turbato da intromissioni esterne e, per altro verso, quando ciò è consentito, l’ordinamento si allerta affinché l’utilizzo di tali informazioni sia esclusivamente rivolto al perseguimento delle finalità che consentono tali deroghe, onde evitarne l’ulteriore ed incontrollata diffusione.

Cosa accade, però, quando la menzionata, multiforme, protezione della sfera privata risulti incompatibile con la tutela di altri interessi costituzionalmente disciplinati?

Per rispondere a tale domanda, occorre premettere che limitazioni ai diritti riconosciuti ad esclusivo vantaggio del singolo (c.d. diritti individualistici, quali senz’altro sono i citati “diritti di esclusione”) sono legittimi soltanto per la protezione di interessi protetti dall’ordinamento con la medesima forza (costituzionale). Quelli che più spesso collidono con la tutela della privacy sono: il diritto alla salute, il diritto di cronaca, l’interesse alla prevenzione e repressione dei reati, il buon andamento dell’amministrazione (dal quale consegue il principio della trasparenza dell’azione amministrativa).

Vi è, nella Costituzione, almeno una pista per appianare tali contrasti?

Non potendo in questa sede affrontare ognuno di essi, si consideri il caso paradigmatico delle intercettazioni telefoniche. La cognizione di comunicazioni riservate è consentita, entro i limiti previsti dal codice di procedura penale (come è noto, da anni oggetto di tentativi di modifica) esclusivamente nell’interesse – costituzionalmente fondato – dell’amministrazione della giustizia.

Dal che si può concludere che esse, pur costituendo un vulnus alla segretezza delle comunicazioni, sono costituzionalmente legittime, nella forma meno invasiva possibile, allorquando siano indispensabili per la prevenzione o la repressione dei reati.

Il tema delle intercettazioni telefoniche mostra, però, con sempre maggiore evidenza, ulteriori ed attualissimi profili critici qualora il mezzo di ricerca della prova varchi i confini del procedimento penale e venga utilizzato come fonte di informazioni per la divulgazione di notizie.

Gli interessi costituzionalmente protetti coinvolti in fattispecie di questo tipo sono: il segreto investigativo (riconducibile alla prevenzione e repressione dei reati); il diritto di cronaca (tutelato dall’art. 21 Cost. nell’ambito della libertà di manifestazione del pensiero); la segretezza delle comunicazioni, protetta dall’art. 15 Cost.; la dignità sociale dei cittadini (art. 3 Cost.).

Il trattamento di notizie acquisite in deroga alla disciplina costituzionale della segretezza delle comunicazioni è riservato all’autorità giudiziaria, la cui “intrusione” è consentita al solo fine di amministrare la giustizia. Dunque, le comunicazioni intercettate non dovrebbero essere utilizzate fuori dal processo.

E il diritto ad essere informati? A dispetto di letture sbrigative quanto à la page, non può prevalere rispetto ai configgenti, richiamati interessi, in quanto, secondo le ricostruzioni più rigorose e “garantiste”, non è tutelato con pari forza (costituzionale) dall’ordinamento.

Lo stesso diritto di cronaca, garantito dall’art. 21 Cost. (soltanto quando le notizie diffuse siano acquisite lecitamente), deve cedere il passo davanti alla tutela della segretezza delle comunicazioni ed al rispetto della dignità sociale dei soggetti coinvolti. Gli artt. 3 e 15 Cost. costituiscono, infatti, in via generale, limiti alla libertà di manifestazione del pensiero.

Una precisazione è però indispensabile, onde evitare di trarre da quanto sin qui detto conseguenze inaccettabili. Se un Ministro si accorda telefonicamente con un Capo di Stato Maggiore per organizzare un colpo di Stato, i cittadini non hanno il diritto di sapere?

Come in altra occasione ipotizzato, nell’ambito della generalità dei cittadini si potrebbe enucleare una categoria più ristretta con riferimento a quelli che ricoprono cariche pubbliche, giacché non sembra incongruo ritenere che, per essi, la protezione della dignità sociale e del diritto alla segretezza possano essere modulati in senso restrittivo, in quanto l’interesse pubblico all’informazione, in quel caso, troverebbe fondamento nella responsabilità politica diffusa per coloro che rivestono cariche politiche elettive e nelle norme costituzionali che tutelano l’autorità, l’unità ed il prestigio dello Stato per i pubblici funzionari.

Concetta Giunta
Ricercatrice di Istituzioni di Diritto Pubblico – Università degli Studi di Roma ‘Tor Vergata’

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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