Una questione di lobby

Eugenia Roccella

Ci sono enormi interessi economici che ruotano intorno alla procreazione assistita ed alle sue diverse opzioni. L’attuale legge ha finora resistito ai vari attacchi, dimostrandosi, nel tempo, saggia e lungimirante.

La legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita è stata fin dall’inizio fortemente osteggiata e combattuta, sia attraverso strumenti di democrazia diretta (il referendum che tutti ricordano), sia attraverso il ricorso ai tribunali. Va detto, però, che questa aggressione massiccia e continuata proviene da lobby ben organizzate più che dall’opinione pubblica e dagli elettori, tant’è vero che, quando si è trattato di decidere sui quesiti referendari, gli Italiani hanno preferito disertare le urne, manifestando un profondo disinteresse (è stato uno dei voti a più bassa partecipazione della storia d’Italia) per le modifiche proposte alla legge. In realtà, l’attacco proviene dal vasto giro di interessi economici che ruotano intorno alla procreazione assistita ed alle sue diverse opzioni, più ancora che da posizioni ideologiche. Ma la legge ha finora resistito ai vari tentativi di smantellarla, dimostrandosi, nel tempo, saggia e lungimirante, capace di tutelare tutti gli interessi in gioco, quelli delle coppie e dei futuri nati in primo luogo.
Così, ancora una volta, con il pronunciamento del 22 maggio scorso, la Corte Costituzionale ha confermato l’impianto della 40 e, in particolare, il divieto di fecondazione eterologa (cioè con gameti estranei alla coppia), rimandando indietro i quesiti di legittimità ai tribunali che li avevano formulati e proposti.

Di fatto, la Consulta ha chiesto ai tribunali di rivedere i quesiti alla luce della sentenza definitiva della Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo: ribaltando un precedente pronunciamento, la Corte ha stabilito che il divieto di fecondazione eterologa non viola la Convenzione europea sui diritti umani e rientra a pieno titolo nei margini di autonomia dei singoli Stati.
Alcuni tribunali italiani, invece, si erano rivolti alla Consulta per contestare la legittimità del divieto in Italia, basandosi su una precedente sentenza, non definitiva, della stessa Corte, la quale, in un primo momento, aveva stabilito l’illegittimità di una norma analoga vigente in Austria. Con la sentenza definitiva, però, gli orientamenti della Corte europea sono cambiati e l’Austria, affiancata da Italia e Germania, ha vinto.
Ora, la strada per un nuovo ricorso italiano è tutta in salita e sembra difficile che si possa giungere a stravolgere la legge 40 in questo modo.
Bisogna dire che il tentativo di giungere ad una modifica della legge senza passare dal Parlamento si sarebbe rivelato comunque fallimentare. Dopo il risultato referendario, la strategia di chi intende modificare quelle norme è stata, infatti, di evitare di chiedere il consenso degli elettori e rivolgersi, piuttosto, alla magistratura. Ritengo si tratti di una strategia destinata a naufragare. Infatti, se la Consulta avesse deciso di consentire la fecondazione eterologa, si sarebbe creato un vuoto normativo impossibile da colmare solo con provvedimenti quali decreti o regolamenti ministeriali: sarebbero stati necessari interventi legislativi importanti e, dunque, un voto parlamentare.
Per spiegare quali aspetti della fecondazione eterologa dovrebbero essere normati, per renderla effettivamente accessibile in caso di una sentenza negativa della Consulta, ho scritto una lettera a tutti i parlamentari, entrando nel merito dei problemi tecnici (il testo integrale è pubblicato sul giornale on-line L’Occidentale, al link : http:// www.loccidentale.it/node/116272), ma vorrei chiarire che, quando si parla di eterologa, non si può pensare semplicemente ad una tecnica tra le altre. Siamo di fronte, invece, ad un modo totalmente nuovo di concepire la famiglia e le relazioni fondamentali della persona, un modo che apre questioni di vertiginosa complessità.
Quali sono, dunque, i nodi che il legislatore dovrebbe affrontare se si volesse ammettere questa tecnica, con cui il patrimonio genetico di un donatore estraneo alla coppia viene trasmesso al figlio? Provo ad elencare i principali:
Conoscenza delle modalità con cui il soggetto è stato concepito. Bisogna stabilire se il nato da eterologa abbia diritto o meno di sapere se è nato da questo tipo di tecnica e, nel caso, chi detenga la responsabilità di fornirgli questa informazione;
Anonimato o meno del donatore. Bisogna valutare se il nato da eterologa abbia diritto o meno di accedere all’identità della persona che ha fornito ovociti o liquido seminale, il cosiddetto “genitore biologico”. Se sì, bisogna regolamentarne le modalità: chi detiene la responsabilità di fornire l’informazione, a che età, se sia necessario porre condizioni;
Rete parentale biologica. Bisogna decidere se il nato da eterologa abbia diritto ad accedere ai dati biografici della rete parentale del “genitore biologico”, cioè se maturi il diritto a conoscere i propri consanguinei. Se sì, anche qui vanno regolamentate le modalità;
Possibilità di rapporti incestuosi. Bisogna disporre come un nato da eterologa possa chiedere informazioni su un partner per sapere se sia suo parente biologico o meno. La numerosità di figli dello stesso “donatore” è spesso oggetto di cronache giornalistiche scandalistiche. E’ necessario tutelare i nati da eterologa e, al tempo stesso, evitare indagini indiscriminate e immotivate sul patrimonio genetico dei cittadini: vanno normate le modalità di richiesta di informazioni da parte di nati da eterologa e le modalità di accesso ai dati personali del partner con cui si intende escludere un’eventuale parentela;
Accesso all’eterologa. Bisogna stabilire se solo uno dei due componenti della coppia abbia accesso o entrambi possano ricorrere all’eterologa – cioè se i gameti con cui avviene il concepimento possano essere tutti estranei alla coppia che accede alle tecniche – nel qual caso il nato non avrebbe alcun legame biologico con i genitori sociali. Se si ammettesse questa possibilità, andrebbe valutata anche la possibilità analoga, cioè l’adozione di embrioni, un provvedimento, tra l’altro, attualmente in discussione in Parlamento;
Gratuità della cessione di gameti. La legge italiana prevede già che la donazione di tessuti e cellule sia volontaria e gratuita. Qualunque indennità è esclusa, come del resto per la donazione del sangue o di altri tessuti e cellule umane. Sappiamo, però, che in altri Paesi esiste un vero e proprio mercato nell’ambito della fecondazione eterologa: sarebbe dunque di grande importanza normare questo punto con una legge che prevedesse anche una pena specifica. In particolare, per ciò che riguarda la cosiddetta “donazione” di ovociti, sappiamo che, in realtà, nell’assoluta maggioranza dei casi, si tratta di vera e propria compravendita, con pesanti forme di sfruttamento a carico, soprattutto, di giovani donne povere, le quali corrono gravi rischi per la propria salute. Le proporzioni di questo mercato sono tali che parlare di “donazione” è davvero fuorviante. Sono pochissime le donne che accettano di sottoporsi a trattamenti ormonali pesanti e prolungati, ed al piccolo intervento chirurgico necessario per prelevare gli ovociti, senza una remunerazione consistente. Basta una ricerca sul web per constatare le dimensioni di questo mercato e le spregiudicate forme di pubblicità dirette alle ragazze più giovani, spesso studentesse che devono pagarsi l’Università. In Italia, invece, nel campo della donazione di cellule e tessuti (pensiamo al sangue, in primo luogo) possiamo contare su una preziosa e solida tradizione di gratuità e solidarietà, sostenuta da una rete di associazioni e di volontariato, che deve essere tutelata ed incoraggiata, vietando l’introduzione, più o meno mascherata da “rimborso”, di forme di profitto e di un nuovo e pericoloso mercato del corpo umano.

Esiste, poi, il problema delle informazioni che le biobanche di gameti possono gestire. E’ noto che, nei Paesi in cui l’eterologa è ammessa, le coppie che vi accedono hanno la possibilità di scegliere alcune caratteristiche dei “donatori”, contenute, spesso, in veri e propri cataloghi: aspetti somatici, appartenenza etnica, ma anche livello di istruzione e, persino, religione. Talvolta sono richieste anche foto da bambino del donatore.
Una modalità di questo tipo contrasta con l’assetto normativo italiano. La legge 40 vieta esplicitamente “ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti“.
Recentemente, poi, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’adozione internazione di minori non possa avvenire in base a preferenze etniche. Pur essendo adozione e procreazione assistita due fattispecie assai diverse, il principio della non discriminazione, alla base della sentenza della Cassazione, non può non essere esteso anche alle norme sulla procreazione assistita, considerando che in Italia non esistono leggi eugenetiche. Appare quindi necessario normare le modalità di gestione dei dati personali dei “donatori” da parte delle biobanche, in accordo con la giurisprudenza del nostro Paese.
Questi accenni, probabilmente, bastano per comprendere come la fecondazione eterologa tocchi punti molto sensibili delle relazioni umane e crei una catena di problemi sociali ed etici a cui bisognerebbe dare risposta. Sarebbe impossibile farlo evitando di passare dal Parlamento e senza aprire un dibattito serio ed approfondito nel Paese. Non si può, insomma, pensare di introdurre modifiche così importanti nei delicati equilibri che regolano la procreazione e le relazioni parentali senza interpellare l’opinione pubblica, schierarsi con chiarezza, assumere pubblicamente una posizione e lasciando il giudizio ultimo agli elettori.

Eugenia Roccella
Giornalista e politica italiana. Già sottosegretario al Ministero della Salute

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