Prevenzione della sterilità femminile

Filippo Maria Ubaldi

La crioconservazione dell’ovocita costituisce una valida alternativa per tutte quelle donne che desiderano posticipare per qualsiasi ragione medica o sociale il loro progetto genitoriale, preservando il “loro potenziale riproduttivo”.

Nella società moderna, un numero sempre più crescente di donne decide, per varie ragioni, di posticipare la propria fertilità. Secondo una recente statistica, questo fenomeno è in costante aumento: nel 1970 solo 1 donna su 100 concepiva dopo i 35 anni mentre, nel 2006, il rapporto è cresciuto ad 1 su 12. La riduzione della fecondità con l’aumentare dell’età della donna è ben documentata: inizia dalla soglia dei 30 anni, diventa più significativa dopo i 35 anni per poi accelerare dopo i 40 anni. Questo ha portato ad un incremento della domanda di Tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita, PMA, da parte di molte donne. Contestualmente, mentre il numero dei cicli di IVF per le donne di età inferiore a 35 anni è aumentato solo del 9% dal 2003 al 2009, nello stesso periodo il numero di cicli effettuati per le donne con età superiore ai 40 anni è salito in misura superiore al 40%. La crescente popolarità di queste tecniche ha fornito, tuttavia, l’impressione che la fertilità femminile possa essere manipolata in ogni stadio della sua vita, mentre i dati indicano che la percentuale di gravidanza rimane modesta per le donne con avanzata età riproduttiva, se comparata a quelle di età inferiore a 35 anni. Queste, mediante PMA, raggiungono il 41-45% di possibilità di avere un bambino in braccio. Nella fascia di età avanzata, inoltre, anche quando si ottiene una gravidanza, è doveroso considerare i rischi relativi per la donna e per il nascituro. Tra essi, l’aumento di incidenza di errori cromosomici, il basso peso alla nascita, preeclampsia e diabete gestazionale.
La mancanza di consapevolezza delle proprie possibilità riproduttive da parte delle donne con età riproduttiva avanzata deve spingere noi professionisti del settore ad intervenire. Sicuramente, attraverso un’“educazione preconcezionale”, la quale, però, dovrebbe essere svolta nei tempi “giusti” (scuole superiori). L’obiettivo, in questo caso, è quello di aumentare la consapevolezza di ciò che possono o non possono fare le tecniche di PMA. Il messaggio primario è che, nonostante si possa avere un ciclo spontaneo regolare, questo non è sinonimo di “potenziale riproduttivo” e, con l’avanzare dell’età, si assiste ad una “riduzione quantitativa e qualitativa degli ovociti” contro la quale le tecniche di PMA possono fare poco. Secondariamente, il nostro ruolo è di sviluppare tecnologie che possano far fronte al decadimento funzionale riproduttivo associato all’avanzare dell’età. In questo contesto, il ruolo che possiamo svolgere adesso è di informare le donne in cui la fertilità non è ancora compromessa sulle nuove possibilità per preservarla attraverso la crioconservazione degli ovociti. Questa costituisce, ad oggi, una valida alternativa per tutte quelle donne che desiderano posticipare per qualsiasi ragione medica o sociale il loro progetto genitoriale, preservando il “loro potenziale riproduttivo”.
Nel contesto delle cellule riproduttive, l’ovocita è risultato indubbiamente il substrato biologico più refrattario alle procedure di crioconservazione a causa della sua peculiare fisiologia che lo rende particolarmente suscettibile al danno da congelamento. Ciò ha costituito uno stimolo importante per la ricerca nel nostro campo e l’inizio di un processo di apprendimento che ha portato non solo alla scoperta di elementi essenziali per l’applicazione pratica della crioconservazione, ma anche a comprendere i principi fisici e biologici che regolano la risposta delle cellule alle basse temperature. Mentre nei maschi la crioconservazione degli spermatozoi è una concreta possibilità ormai da molto tempo, nelle donne la possibilità di crioconservare i loro gameti è un fatto recente, reso possibile grazie al perfezionamento dei metodi di congelamento, in particolare attraverso l’introduzione della vitrificazione nei laboratori di PMA, come alternativa al tradizionale metodo di congelamento lento. Tale metodica (vitrificazione ovocitaria), ormai standardizzata, è sicura ed efficiente per la crioconservazione di ovociti soprattutto per le donne di età inferiore a 39 anni e con una buona riserva ovarica (Rienzi L, Ubaldi F et al., 2012). In un nostro recente studio, la percentuale di sopravvivenza allo scongelamento è stata del 96.8% e, quando gli ovociti vitrificati sono stati poi inseminati e trasferiti allo stadio di blastocisti in pazienti con età inferiore ai 39 anni, il tasso di gravidanza a termine è risultato superiore al 60% per trasferimento embrionale (Rienzi, Ubaldi et al., Human Reproduction 2012). In qualsiasi ambito medico-scientifico, l’efficacia di una tecnica è stimabile a patto che i risultati siano sufficientemente ampi e sistematicamente riproducibili, circostanze che oggi possono ritenersi soddisfatte nel campo della criobiologia riproduttiva, anche per la metodica della vitrificazione. Si stima che, ad oggi, siano nati più di 2.000 bambini da ovociti vitrificati.
Un altro ambito applicativo del congelamento ovocitario riguarda la preservazione della fertilità nelle pazienti oncologiche. Negli ultimi anni, le nuove strategie antitumorali hanno portato ad un progressivo aumento della sopravvivenza media delle giovani donne affette da neoplasie, quali linfomi, leucemie, tumori della mammella e ovarici, ponendo l’attenzione sugli effetti a lungo termine delle chemioterapie e sulla qualità di vita delle pazienti dopo il trattamento. E’ ben compreso l’effetto dei trattamenti chemio- e radioterapici nel causare, in una percentuale rilevante delle pazienti, alterazioni dei flussi mestruali transitorie o persistenti e, nel lungo periodo, menopausa precoce. Tali terapie sono, inoltre, in grado di danneggiare in maniera imprevedibile il patrimonio genetico degli ovociti. Sul piano psicologico, la prospettiva della perdita del potenziale riproduttivo aumenta lo stress a cui sono sottoposte le pazienti, preoccupate dal rischio di un peggioramento della qualità di vita anche a lungo termine. Oggi, grazie ai progressi nel campo della crioconservazione ovocitaria, per quei casi in cui non è controindicata la stimolazione ovarica, la possibilità di preservare la fertilità in pazienti sottoposte a trattamenti oncostatici non costituisce solo una realtà, ma diventa una prerogativa indispensabile di un sistema sanitario polifunzionale che si faccia carico della qualità della vita futura delle pazienti.
Un altro importante ambito applicativo della crioconservazione degli ovociti allo scopo di preservare la fertilità è rappresentato dalle pazienti con riferita storia familiare di esaurimento ovarico precoce, le cui madri sono andate in menopausa prima dei 45 anni e che sono ad aumentato rischio di menopausa precoce, che può sopravvenire anche in età giovanissima. I recenti progressi nell’identificazione di condizioni a base ereditaria correlate e predisponenti l’insufficienza ovarica precoce candidano la crioconservazione ovocitaria a trattamento primario del fenotipo ovarico prima che questo si manifesti in futuro.
La crioconservazione degli ovociti umani rappresenta, inoltre, un’importante strategia per il trattamento stesso della sterilità umana nel contesto delle procedure di PMA, permettendo di affrontare con successo problemi legali, etici e procedurali legati alla crioconservazione embrionale. Nei casi legislativi in cui la crioconservazione embrionale sia vietata, o in quelli in cui la coppia non intenda avere embrioni soprannumerari, lo stoccaggio dei gameti femminili risulta essere l’unica possibilità percorribile. Nella gestione dei cicli di PMA per coppie infertili, inoltre, la crioconservazione ovocitaria permette di limitare la produzione soprannumeraria di embrioni umani ed il loro successivo accumulo e di gestire al meglio quei casi, seppur rari, in cui, al momento dell’inseminazione, non siano disponibili gameti maschili per qualsiasi motivo.
In ultima analisi, quindi, la crioconservazione degli ovociti umani mediante metodica della vitrificazione rappresenta per le donne un mezzo altrettanto valido di preservazione della loro fertilità che può essere intesa come un moderno concetto di equità sociale (uomo/donna) tecno-scientifica della sfera riproduttiva che può far fronte alle diverse esigenze mediche e sociali.

Filippo Maria Ubaldi
Direttore Clinico Centro di Medicina della Riproduzione GENERA, Clinica Valle Giulia, Roma

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