La legge 40: critiche e valutazioni

Marilisa D’Amico

La sentenza n. 151 del 2009 costituisce una vittoria importante dello Stato costituzionale, poiché rende chiaro che la difesa dei valori e dei principi (in uno Stato basato sui principi di una Costituzione rigida) è affidata al legislatore, alla Corte Costituzionale, ai giudici e, in definitiva, ai cittadini.

1. Un po’ di storia. Le modalità di approvazione della legge e il fallimento del tentativo referendario

La legge n. 40 del 2004 è l’atto normativo cui occorre fare riferimento in Italia per la pratica della fecondazione medicalmente assistita. Come noto, ma è bene ricordarlo, si tratta di una legge assai restrittiva, frutto di un percorso politico che ha visto contrapporsi ferocemente una posizione laica ed una di matrice cattolica, la quale è, in ultima analisi, prevalsa a colpi di maggioranza, a dispetto dell’esigenza di una mediazione che tenesse conto in modo serio delle evidenze medico-scientifiche in possesso in quel momento.
Basti considerare, a titolo di esempio, che la legge si apre con una norma manifesto, l’art. 1, che mette sullo stesso piano, quali soggetti da tutelare nelle pratiche di fecondazione assistita, tutti i soggetti in essa coinvolti, compreso il concepito. Il legislatore considera parimenti meritevoli di tutela, quindi, embrione ed aspiranti genitori, salvo poi prevedere, con un’impostazione, per così dire, bipolare o ondivaga, una serie di eccezioni alle norme poste a tutela dell’embrione. Non si può non menzionare l’art. 6, che impone alla donna, una volta prestato al medico il consenso alla formazione degli embrioni, di impiantarli tutti, pur lasciando aperta – ma spetta al medico la facoltà di ricorrervi – la scappatoia dei motivi sanitari quale giustificazione del mancato impianto ed il divieto di diagnosi preimpianto, che sembra ricavarsi dall’art. 13, la norma sulla ricerca scientifica, e dalle linee guida ministeriali, ma viene a scontrarsi con l’art. 14, comma 5, secondo il quale la coppia ha diritto di essere informata sullo stato di salute degli embrioni. Norme senz’altro restrittive e unidirezionali sono, invece, l’art. 4, comma 3, che sancisce il divieto assoluto di fecondazione eterologa, e l’art. 14, comma 1, che vieta di produrre più di tre embrioni per ciclo di stimolazione ormonale, ne prevede l’unico e contemporaneo impianto e ne vieta la crioconservazione, salvi i casi di grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna, non prevedibile al momento della fecondazione, per cui scatta una possibilità di deroga.
Date queste premesse, non stupisce che, nel gennaio del 2005, la legge fosse sottoposta ad una tornata referendaria (4 sono stati i quesiti tenutisi in tutto), che però non ha condotto ad alcun risultato concreto, non essendo stato raggiunto il quorum necessario per la validità del referendum medesimo (doveva andare a votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto, mentre così non è stato, anche a causa della mobilitazione del partito dell’astensionismo, promosso da parte dei Cattolici).
Volendo esprimere una valutazione critica complessiva, può notarsi come questa legge presenti un problema di fondo, oltre alle sue contraddizioni interne: essa, infatti, tende ad ingabbiare la terapia utilizzabile dal medico in limiti generali ed astratti di carattere rigido, impedendogli di adattare gli strumenti offerti dalle tecniche di fecondazione assistita al caso concreto. È questo il punto di vista da seguire per comprendere i problemi posti dalla 40 nella sua applicazione concreta, e che costituisce, pertanto, il filo rosso delle brevi considerazioni che seguono.

2. I primi passi della legge 40 del 2004: giudici e medici alle prese con i problemi posti dalla sua applicazione nella realtà delle coppie infertili

I problemi che la rigidità della legge 40 del 2004 produce emergono nel giro di pochi anni anche dinanzi all’autorità giudiziaria. Il primo caso alla ribalta attiene al divieto di diagnosi genetica preimpianto. Il giudice di Cagliari viene infatti adito da una coppia di genitori malati di betalassemia che chiede di sapere, prima dell’impianto, se l’embrione ha ereditato la malattia genetica. Il giudice di Cagliari, dopo aver tentato, nel 2005, di coinvolgere la Corte Costituzionale, senza ottenere una risposta nel merito per via di alcuni vizi processuali enfatizzati dalla Corte stessa, forse allo scopo di sottrarsi alla decisione della delicata questione, si risolve di “fare da solo” e, riaperto il processo nel 2007, concede ai genitori la diagnosi preimpianto con un’interpretazione innovativa conforme a Costituzione. Viene seguito, in questo senso, a breve termine, già alla fine del 2007 dal Tribunale di Firenze e, all’inizio del 2008, dal Tar del Lazio il quale, in quanto giudice amministrativo, esercita il proprio potere annullando l’atto normativo del Governo. A differenza dell’ambiguo testo della legge 40, prevede in modo esplicito il divieto di diagnosi genetica preimpianto e, al contempo, assieme ad altri giudici di Milano e di Firenze, solleva questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale, nella parte in cui si prevede il limite massimo dei tre embrioni ed il divieto di crioconservazione.

3. L’intervento nel merito della Corte Costituzionale con la sentenza n. 151 del 2009: crolla il limite massimo dei tre embrioni e si amplia l’eccezione al divieto di crioconservazione

La sentenza n. 151 del 2009 costituisce una vittoria importante dello Stato costituzionale, poiché rende chiaro che la difesa dei valori e dei principi (in uno Stato basato sui principi di una Costituzione rigida) è affidata al legislatore, alla Corte Costituzionale, ai giudici e, in definitiva, ai cittadini.
Il significato profondo della decisione – che va oltre la legge n. 40 e coinvolge il modo stesso di “fare le leggi” – è contenuto nell’affermazione da cui prende le mosse la motivazione della sentenza: la 40 non impone una tutela assoluta dell’embrione, ma contiene un bilanciamento di quest’ultima con le esigenze della procreazione.
Venendo al cuore della questione di legittimità costituzionale, emerge che la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, commi secondo e terzo, nella parte in cui, rispettivamente, prevedevano il limite massimo di tre embrioni producibili per ciclo di stimolazione ormonale e non prevedevano una deroga al divieto di crioconservazione allorché il trasferimento degli embrioni dovesse essere effettuato “senza pregiudizio della salute della donna”.
Ciò perché limiti e divieti rigidi posti al potere del medico di adottare il trattamento migliore per il singolo caso – sulla base delle più aggiornate ed accreditate conoscenze tecnico-scientifiche – si pongono in contrasto con il principio di uguaglianza e con il diritto alla salute della donna ed, eventualmente, del feto.
Ma quali sono, quindi, le conseguenze della sentenza? Si tratta di una domanda cruciale, anche perché gli operatori sanitari, tra cui i medici, a ridosso della decisione sono rimasti disorientati, a causa dal repentino passaggio da un sistema di limiti rigidi ad un altro in cui la tecnica di fecondazione assistita deve essere calibrata a seconda delle condizioni di salute della paziente che il medico si trova dinanzi. Dunque: i medici in forza della sentenza 151 possono, e devono, formare un numero di embrioni “strettamente necessario” inteso come idoneo, a seconda delle condizioni di salute della singola donna, della sua età, della qualità dei gameti che ciascuna coppia può produrre, a garantire alla coppia un tentativo serio di fecondazione assistita. Se ricorre la necessità, potranno quindi andare oltre il limite di tre, indicato in origine dalla legge. Così come potranno, quando il contemporaneo impianto di tutti gli embrioni creatisi rechi pregiudizio allo stato di salute della donna, crioconservare gli embrioni non impiantati.
E’ inoltre molto importante sottolineare che, nella decisione, si dà per presupposto che la diagnosi preimpianto sia lecita, e ciò sulla base di un’interpretazione conforme a Costituzione, sempre che sia chiesta dai genitori per essere informati sullo stato di salute degli embrioni e non sia posta in essere per finalità di mera ricerca scientifica (l’interpretazione in questione è stata poi confermata, ad esempio, dal Tribunale di Bologna nel 2009 e dalla stessa Corte Costituzionale con l’ord. n. 97 del 2010).
Da altro punto di vista, è bene precisare che la decisione della Corte rientra tra le sentenze di accoglimento manipolative, con effetti che si producono, a partire dal giorno dopo la pubblicazione della decisione sulla Gazzetta Ufficiale, erga omnes, cioè validi nei confronti di tutti i soggetti che si trovino ad avere a che fare con la norma dichiarata incostituzionale.
In conclusione, la Corte non travolge il principio della tutela dell’embrione e della preferenza per il divieto di crioconservazione, ma rende possibile l’applicazione della norma anche in situazioni più difficili, introducendo una deroga al principio stesso. Si tratta, dunque, della vittoria dell’autonomia della scienza medica rispetto al tentativo di bloccare la speranza di tante coppie per un capriccio del legislatore, sebbene ciò costituisca senz’altro un problema.
Tra gli effetti, questa volta indiretti, della sentenza della Corte Costituzionale vi è poi quello della discriminazione tra coppie infertili portatrici di patologie genetiche e coppie fertili affette dalle medesime patologie, considerato che la legge 40 riserva alle sole coppie infertili l’accesso alla fecondazione assistita. Solo per le prime, alla luce di questo limite, è possibile, dopo la sentenza n. 151, usufruire delle tecniche mediche di procreazione assistita, ovvero produrre gli embrioni in vitro ed impiantare solo quelli sani, cioè che non hanno ereditato la malattia, se ciò consente di salvaguardare la salute, anche psichica, della donna. Il problema della discriminazione è giunto dinanzi al Tribunale di Salerno, adito da due genitori, fertili, che avevano trasmesso in precedenti casi la gravissima malattia di cui erano portatori, andando incontro, pertanto, a dolorose gravidanze dall’esito infausto. Ebbene, il giudice di Salerno, con un’ardita interpretazione conforme a Costituzione, è giunto ad ammettere tali genitori, sebbene fertili, alle tecniche di fecondazione assistita, superando così il divieto letterale della legge 40. Tuttavia, il problema non può dirsi certo risolto, producendo questa decisione effetti solo nel singolo caso, al contrario di quelle di incostituzionalità pronunciate dalla Corte Costituzionale. Da un punto di vista tecnico, ma anche per ineludibili ragioni di giustizia, non ci si può astenere dall’osservare che una decisione della Corte Costituzionale in un frangente come questo, oltre ad essere quella costituzionalmente corretta per le competenze ad essa spettanti, consentirebbe di giungere ad una soluzione uguale per tutti.

4. Un problema ancora aperto: il divieto di fecondazione eterologa

Un ulteriore profilo di criticità della legge 40, in questo senso una delle più restrittive d’Europa, è costituito dal divieto assoluto ed inderogabile di donazione dei gameti. Le coppie italiane che possono superare i loro problemi di infertilità solo con la fecondazione eterologa sono costrette, quindi, a recarsi all’estero e, spesso, in ragione delle loro condizioni economiche, le destinazioni predilette sono i Paesi dell’Est, dove i donatori non sono sottoposti agli adeguati controlli sanitari. I casi di coppie che tornano dall’estero con malattie anche gravissime, come l’Aids, o con un figlio malato, sono molti ed è per questo che il divieto assoluto di fecondazione eterologa rappresenta una minaccia per il diritto alla salute, garantito, invece, dall’articolo 32 della Costituzione.
Il problema è stato evidenziato sin dal momento dell’approvazione della legge, senza che il legislatore abbia mai provveduto ad una riflessione e ad un’eventuale riforma della previsione. Sulla questione del divieto di fecondazione eterologa è intervenuta da ultimo la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 150 del 2012. In essa, la Corte ha sostanzialmente rinviato la decisione.
Tre Tribunali (Firenze, Catania e Milano) avevano, infatti, posto la questione di legittimità costituzionale sul divieto assoluto contenuto nella legge 40, in quanto aditi da coppie che chiedevano di vedersi riconosciuto il diritto di accedere alla fecondazione con donazione di gameti.
La decisione della Corte di ordinare la restituzione degli atti ai giudici remittenti viene motivata sulla base del fatto che le ordinanze di rimessione hanno posto in primo piano il profilo di legittimità costituzionale relativo all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, per come interpretata, laddove tutela il diritto alla vita privata e familiare e sancisce il principio di non discriminazione, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la prima decisione resa nei confronti dell’Austria, il cui ordinamento prevede un divieto di fecondazione eterologa in parte simile a quello italiano. Con questa decisione, la Corte EDU aveva stabilito che sussisteva una violazione della Convenzione Europea da parte dell’ordinamento austriaco. Poiché nel novembre del 2011 è intervenuta la decisione definitiva resa dalla Grande Camera della Corte Europea sul caso austriaco di segno opposto, la Corte Costituzionale ha ritenuto che i giudici debbano procedere ad una nuova valutazione della questione, con riguardo al primo comma dell’art. 117 della Costituzione, alla luce della nuova interpretazione che la Grande Camera ha fornito della Convenzione Europea.
La restituzione degli atti ai Tribunali lascia del tutto impregiudicata ogni valutazione di merito sulla questione, che potrà quindi essere eventualmente riproposta sia in relazione al primo comma dell’art. 117 Cost., sia con riferimento agli altri parametri costituzionali, poiché la Corte Costituzionale non ha affrontato nel merito alcuno dei relativi profili di illegittimità costituzionale.

5. Osservazioni conclusive: la legge 40 del 2004 tra politica, giudici e Corte Costituzionale

Alla luce del quadro brevemente delineato, si può osservare, come conclusione, che la legge 40 del 2004 è stata, fin dalla sua presentazione in Parlamento come disegno di legge, oggetto di un’aspra contesa tra opposte parti politiche, le quali non sono riuscite a trattare i problemi posti dalla fecondazione assistita con il necessario approfondimento scientifico. La legge è stata così sottoposta a diversi momenti di tensione, primo fra tutti il referendum, è stata oggetto, nel 2009, del sindacato nel merito della Corte Costituzionale, nonché di pronunce di giudici di merito ed amministrativi che hanno spesso utilizzato il metodo dell’interpretazione conforme a Costituzione per attenuare le rigidità dei divieti ed i limiti posti dalla legge. Ciò che emerge, specie alla luce del problema del divieto di fecondazione eterologa, è poi un ulteriore piano da tenere in considerazione nell’esame delle criticità della legge: ci si riferisce al piano sovranazionale, costituito dalle decisioni della Corte Europea. Certamente, a fronte della perdurante inerzia del legislatore, non si può fare altro che limitarsi ad osservare che, auspicabilmente, la Corte Costituzionale tornerà ad esercitare un ruolo cruciale, nella ricerca di un bilanciamento dei diritti costituzionali in conflitto conforme alla Costituzione, nel caso, ad esempio, della fecondazione eterologa, ma anche degli ulteriori elementi di irragionevolezza che ancora caratterizzano l’impianto della legge.

Marilisa D’Amico
Professore Ordinario di Diritto Costituzionale, Facoltà di Giurisprudenza
Università degli Studi di Milano

Rispondi