Storia di una crisi

Gabriele Pastrello

Il crollo finale avvenne con il fallimento di Lehman Brothers, una grande banca di investimenti americana, nel settembre del 2008. Il panico finanziario tornò a livelli altissimi, e la caduta di produzione, esportazione ed importazioni accelerò fino alla metà del 2009.

1. L’antefatto
Di certo c’è solo che tutto è cominciato con un crollo finanziario nel 2007, un altro nel 2008 e che, nel 2009, il Pil dei Paesi industrializzati è precipitato. Non è chiaro, invece, se possiamo affermare che la crisi sia passata e che ci stiamo lentamente avviando verso la ripresa. La crisi dei debiti sovrani europei, iniziata nel 2010, è con tutta evidenza una conseguenza di quella crisi; ma non è chiaro neppure quale sia il rapporto che lega questa a quella. Per cercare di capirci qualcosa, cominciamo dall’inizio.
Nell’agosto del 2007 esplose la bolla dei cosiddetti mutui subprime, i mutui per la casa concessi a soggetti al limite dell’insolvenza. Nell’incoscienza generale, era cresciuta a dismisura una bolla immobiliare. Le modalità con cui questa era cresciuta non si erano mai viste e sono rilevanti per tutto ciò che seguì. Le bolle immobiliari ci sono sempre state. Spesso sono scoppiate insieme a bolle azionarie e finanziarie, come nel caso del 1929. Ma tutte erano, per così dire, artigianali al confronto. Tradizionalmente, una banca concedeva prestiti e, via via che li concedeva, la sua capacità di erogarne altri si riduceva perché i prestiti restavano nel suo bilancio; inoltre, l’ambito delle bolle era nazionale.
Quello che ha cambiato il quadro è stata la cartolarizzazione dei prestiti: essa ha trasformato il rapporto di debito-credito personale in un titolo di credito autonomo e vendibile. La cartolarizzazione non è nuova, ma nuovo è stato il suo sviluppo massiccio a partire dagli anni ‘90. Questi titoli venivano raccolti, spezzettati, ricomposti, rivenduti, rispezzettati e ricomposti e distribuiti in tutto il mondo: il modello originate and distribute. A questo si aggiunga che una banca poteva espandere i propri investimenti prendendo a prestito titoli sul mercato interbancario in tutte le parti del mondo. Questa liquidità mondiale esorbitante aveva, a sua volta, favorito anche l’espansione di bolle immobiliari in altri Paesi: Spagna, Regno Unito, Irlanda.
Il risultato è stato un gigantesco aumento dell’offerta di titoli di finanza cosiddetta ‘strutturata’, diffusa in tutto il mondo e garantita dalle agenzie di rating nei portafogli di banche, fondi ed investitori privati di tutto il mondo. Questa crescita è andata di pari passo con altre: la crescita di una bolla borsistica ed assicurativa e l’inondazione di liquidità, conseguenza di come Greenspan aveva fatto fronte alla crisi del 2001. Come sottoprodotto, quest’iperattività finanziaria ha consentito il finanziamento sia dell’esplosione produttiva dei Paesi emergenti negli anni Duemila, sia il finanziamento dell’interscambio mondiale, crescente a ritmi elevati nel decennio.
Come risultato, già dagli anni ‘90, ma, soprattutto, dal 2002 in poi, si era messo in moto un meccanismo mondiale integrato che girava a grande velocità, ponendo in rapporto l’indebitamento delle famiglie, le bolle immobiliari, le bolle borsistiche ed assicurative, lo sviluppo smisurato ed incontrollato dei sistemi bancari, l’espansione monetaria, l’espansione accelerata dei Paesi emergenti e la crescita dell’interscambio mondiale. Quando il meccanismo si bloccò in un punto, tutto andò in crisi.

2. La Crisi
Nel 2006, Nouriel Roubini, un economista statunitense, diagnosticò che la bolla immobiliare stava per esplodere. Ciò avvenne tra l’irrisione dei colleghi, che lo soprannominarono Dottor Sciagura. Il mercato immobiliare mostrava comunque segni di cedimento. La bolla si era gonfiata anche perché il valore degli immobili era enormemente cresciuto, consentendo alle banche di aumentare i prestiti. Una caduta dei valori immobiliari significava la caduta del valore delle garanzie, la necessità delle banche di restringere il credito, mentre le famiglie si trovavano con un immobile di cui non potevano disfarsi perché, vendendolo, non sarebbero rientrati del mutuo. All’inizio dell’estate del 2007, il mercato immobiliare cedette, e la bolla scoppiò.
Lo scoppio della bolla immobiliare statunitense si propagò all’Europa, ai mercati immobiliari inglese, spagnolo, irlandese. Le banche di tutti i Paesi si trovarono in portafoglio titoli inesigibili di quella finanza strutturata costruita sui mutui immobiliari. Le banche che avevano distribuito quei titoli, facendoli scomparire dai loro bilanci, si trovarono ad essere responsabili dell’illiquidità degli stessi. Le assicurazioni, che avevano assicurato e riassicurato quei titoli, si ritrovarono insolventi. A metà agosto del 2007, la Federal Reserve, la banca centrale americana, dovette intervenire con un finanziamento straordinario di enorme entità per impedire il collasso del sistema finanziario mondiale, in ciò sostenuta dalla Bank of England, dalla Banca Centrale Europea e dalla Bank of Japan.
Dall’autunno del 2007 alla primavera del 2008, i mercati finanziari registrarono un andamento sussultorio: periodi di tranquillità venivano interrotti da crisi. Fondi di investimento francesi e tedeschi chiudevano. Cominciarono a fallire grosse banche di investimento, come la Bear Stern, mentre un gigante americano delle assicurazioni, Fannie Mae and Freddy Mac, fu nazionalizzato, come la Northern Rock. Il mercato interbancario si era bloccato, e con esso i finanziamenti all’economia, alle famiglie e alle imprese. Dalla primavera del 2008, le economie cominciarono a rallentare su scala internazionale. Negli Usa, l’arresto del settore immobiliare si era trasferito sui consumi e sugli investimenti. Le importazioni erano crollate. Giappone e Cina cominciarono a sperimentare cadute di esportazioni del 30-40%. Questo calo frenò l’interscambio mondiale ed i traffici mondiali iniziarono a bloccarsi.
Il crollo finale avvenne con il fallimento di Lehman Brothers, un’altra grande banca di investimenti americana, nel settembre del 2008. Il panico finanziario tornò a livelli altissimi, e la caduta di produzione, esportazione ed importazioni accelerò fino alla metà del 2009. Questo fu l’anno in cui il Pil delle economie industrializzate cominciò a calare ad un ritmo addirittura superiore a quello del 1929. I mercati finanziari erano in disordine, quelli monetari bloccati, i bilanci delle banche danneggiati, le banche le cui azioni cadevano a picco erano costrette a ricapitalizzarsi. Contrariamente alle previsioni del precedente presidente della Fed, Greenspan, era scoppiata una bolla globale, che aveva travolto l’economia globale.

3. Le premesse della crisi dei debiti sovrani.
La caduta fu frenata soprattutto da due fattori: lo stimolo fiscale americano e la politica anticrisi cinese. La caduta cominciò a rallentare verso la metà del 2009, ed a fine anno si verificò un processo di ripresa, disuguale e, complessivamente, debole. Ma, come esito necessario di questa frenata, i deficit dei bilanci degli Stati esplosero. Le ragioni erano molteplici: erano cresciuti i sussidi per la disoccupazione, salita in tutti Paesi, si erano resi necessari salvataggi di banche e vari interventi straordinari, era calato il gettito fiscale per via della recessione. Il buon senso, l’esperienza storica, i suggerimenti di premi Nobel come Krugman e Stiglitz, consigliavano di attendere che la ripresa si consolidasse prima di iniziare a ridurre sistematicamente i deficit dei bilanci degli Stati, come Keynes aveva sostenuto anche negli anni ‘30.
Invece, su entrambe le sponde dell’Atlantico, iniziò un’agitazione per la riduzione dei deficit. Negli Usa, le decisioni del presidente Obama avevano fermato la caduta. Nel 2010 si era registrata una leggera ripresa, ma, per tutto l’anno, la disoccupazione si attestò al 10%, ed il deficit di bilancio oltre l’8. In Europa, la crisi aveva morso Paesi esportatori come Germania e Italia, il cui Pil era calato, nel 2009, di più del 5%. Ma i Paesi che ne uscirono a pezzi furono altri: Spagna, Irlanda e Islanda, dove erano esplose bolle immobiliari, Grecia, già da prima anello debole e di cui vennero alla luce i trucchi contabili, e Portogallo. Alcuni di questi Paesi, prima della crisi additati a modello di rigore fiscale, dopo la crisi registrano deficit dal 15 al 30%.

Gabriele Pastrello
Ricercatore di Economia Politica
Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche – Università di Trieste

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