Perdita dell’identità

Donatella Di Corrado, Tiziano Agostini

Quando i cambiamenti non sono cercati, ma subiti, provocano un senso di impotenza e di incapacità, gettando l’individuo in un’instabilità emotiva costante. Il senso di possedere un ruolo nella società, di meritarsi il rispetto degli altri, la capacità di sostenere se stessi e la propria famiglia sono tutti elementi che vengono minati dalla perdita del lavoro.

La situazione di crisi generalizzata con cui ci troviamo a convivere negli ultimi anni ha causato, oltre agli evidenti problemi di natura economica, anche disagi di carattere psicologico. Come ha ben documentato Dorothea Braginsky, psicologa fra le più autorevoli su questi temi, il lavoro è uno dei principali elementi costituenti dell’identità. Esistono, comunque, delle differenze generazionali. Per chi ha superato i quarant’anni, il rapporto tra identità e lavoro si rivela spesso più lineare, in quanto questo legame è durato più a lungo (cambiare lavoro era più difficile in passato) ed è cresciuto all’interno di una cornice di sicurezza (il contratto a tempo indeterminato). Per la generazione dei venti-trentenni, il rapporto tra lavoro ed identità è più complesso, ma non meno stretto. La prospettiva è quella di un lavoro temporaneo, flessibile ed in continua evoluzione. Date le premesse, è chiaro come un aspetto fondamentale delle conseguenze psicologiche a cui va incontro chi perde il lavoro riguardi la minaccia alla propria identità. Non siamo più quello che siamo abituati a credere di essere, non siamo più impiegati, operai, tecnici, professionisti, ecc. L’immagine che avvertiamo di noi stessi non è più la stessa, agli occhi nostri ed a quelli degli altri. E senza averlo scelto. Quest’ultimo punto è fondamentale: quando i cambiamenti non sono cercati, ma subiti, provocano un senso di impotenza e di incapacità, gettando l’individuo in un’instabilità emotiva costante. Il senso di possedere un ruolo nella società, di meritarsi il rispetto degli altri, la capacità di sostenere se stessi e la propria famiglia sono tutti elementi che vengono minati dalla perdita del lavoro. L’individuo tende a costruire una rappresentazione di sé basata sui ruoli che sente propri e, in base a questi, sviluppa la sicurezza che gli consente la corretta integrazione sociale.

La perdita di lavoro incide quindi su entrambi gli aspetti, sociale e di autostima. Gli effetti della crisi economica si ripercuotono, pertanto, sul benessere psicologico, tanto che si è arrivati a parlare di “sindrome da lavoro precario”, associata soprattutto alle giovani generazioni. Secondo le stime degli esperti, l’incertezza sul lavoro e la minore disponibilità economica tipiche dei tempi di crisi conducono ad un incremento del 30% dei disturbi d’ansia, del 15% dei casi di depressione e, soprattutto, ad un consistente aumento dei suicidi. Di fronte alla precarietà ed all’incertezza, le donne si rivelano più fragili rispetto agli uomini. In particolare, le trentenni con figli piccoli sono più a rischio perché la tensione ed il disagio psicologico sono aggravati da un carico familiare unico. Così, gli esperti stimano una crescita tra il 30 ed il 40% dei casi di disturbo d’ansia generalizzato nelle donne giovani, contro un incremento del 20-25% negli uomini. Eisenberg e Lazarsfeld, due psicologi che hanno ampiamente studiato il fenomeno, indicano tre fasi per descrivere la disoccupazione:
1. Un primo periodo di rifiuto della nuova realtà, immediatamente successivo all’evento negativo. Il pensiero è: “In un modo o nell’altro ne verrò fuori”.
2. Un periodo di pessimismo, quando risulta infruttuosa la ricerca di un nuovo lavoro, nonostante i numerosi tentativi. Il pensiero è: “Credo che non ne verrò mai fuori”.
3. La rassegnazione ed il ripiegamento su se stessi, quando si diventa “un disoccupato cronico”. Il pensiero è: “Sono spacciato, non ne verrò mai fuori”.
La fase 3 subentra molto spesso quando si supera la soglia fatidica di nove mesi di ricerche infruttuose. Per l’esattezza, si constata che, nella maggioranza dei casi, in meno di un anno l’equilibrio emotivo del disoccupato viene spezzato. Due fattori sono estremamente importanti nell’affrontare la perdita del lavoro: l’attribuzione della responsabilità e la resilienza. Per quanto riguarda la prima, è più facile affrontare la perdita del posto di lavoro se l’attribuzione è esterna e non interna. La resilienza, invece, è la capacità dell’individuo di reagire positivamente ai cambiamenti, mutando le difficoltà in opportunità. Quali sono, allora, i fattori protettivi nei confronti degli effetti psicologici della crisi? Innanzitutto, poter contare su una rete familiare solida può essere un valido supporto emotivo per non cadere in preda ad ansia e depressione. Non va però trascurata neppure l’importanza di interventi specialistici dedicati al sostegno di persone affette da disagi legati alla crisi economica. Tuttavia, gli interventi sono ancora limitati e quasi del tutto assenti nelle aziende, nelle quali, invece, la presenza di uno psicologo o di un counselor, in una fase di transizione delicata come questa, sarebbe fondamentale.

Donatella Di Corrado
Ricercatrice presso la Facoltà di Scienze Motorie, Università Kore di Enna
Tiziano Agostini
Professore Ordinario – Dipartimento Scienze della Vita Facoltà di Psicologia Università degli Studi di Trieste

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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