L’Euro

Giovanni Moro

L’euro ha creato un nuovo ambiente per i cittadini europei, costituendo l’unico linguaggio comune di 23 lingue diverse.

Il 1° gennaio di dieci anni fa, l’euro, la moneta unica europea, è entrato nella vita di alcune centinaia di milioni di persone, tra cui noi Italiani, in sostituzione delle vecchie monete nazionali. In vista di questa scadenza, qualcuno si è chiesto: decennale o funerale?
La battuta è fin troppo facile, a giudicare dagli eventi degli ultimi mesi. D’altro canto, riesce difficile pensare che un’ipotesi come il ritorno alle vecchie monete nazionali o l’uscita di alcuni Paesi dall’Eurozona siano scontate. Forse, formulando queste ipotesi, non si considera che le principali banche dei Paesi dell’euro sono in credito per centinaia di miliardi verso i Paesi e le economie sotto attacco; che tornare a lire, franchi o pesetas vorrebbe dire polverizzare il valore di capitalizzazioni, patrimoni e rendite delle famiglie e delle imprese; che, secondo recenti ricerche, l’uscita dalla Zona euro anche della sola Grecia costerebbe ai cittadini dei Paesi ricchi dieci volte di più di quanto stia costando loro il suo salvataggio; o che il Paese più forte dell’Eurozona, la Germania, perderebbe d’incanto il suo principale mercato, l’Eurozona stessa. A chi potrebbe convenire tutto questo? Forse solo a quelli che Amartya Sen ha recentemente definito “boss della finanza”.
In ogni caso, ipotesi di questo genere andrebbero dibattute con il coinvolgimento della cittadinanza – che è, per così dire, il pagatore di ultima istanza – e sulla base di una visione non semplificata della realtà dell’euro, com’è stata invece spesso proposta dal passato governo con quelle che è difficile non definire chiacchiere da bar. Ci sarebbe bisogno di un effettivo processo di deliberazione, una discussione approfondita perché informata, in cui sia coinvolta la cittadinanza e che porti a dare forma a decisioni ed orientamenti della politica.
Proprio a questo scopo ho pubblicato di recente “La moneta della discordia” (con la collaborazione di Lucia Mazzuca e Roberto Ranucci, Cooper editore), un libro che costituisce uno dei risultati di un programma internazionale di ricerca e dialogo intitolato “The other side of the coin”, l’altra faccia della moneta, promosso a partire dal 2009 da FONDACA, un think tank europeo con sede a Roma che si occupa di temi connessi alla cittadinanza.
Al di là delle chiacchiere da bar, infatti, in questo dibattito pubblico, non certo accademico, visto che tocca la vita ed il destino di tutti, c’è qualcosa che non viene considerato e riveste, invece, massima importanza. Mi riferisco alla dimensione nascosta della moneta unica, l’insieme di fattori culturali, sociali, politici e di economia della vita quotidiana che hanno avuto e hanno un effetto diretto sul nostro essere cittadini europei. Un effetto così forte che è ormai difficile distinguere cosa sia europeo da cosa sia nazionale. Le focalizzazioni sulla dimensione macroeconomica e su quella finanziaria che dominano la scena concorrono al silenzio su questa dimensione.
Questa faccia nascosta della moneta è costituita, ad esempio, dai simboli contenuti nei pochi centimetri quadrati di monete e banconote: simboli delle tante identità nazionali (nelle monete) e, insieme, dell’identità comune in costruzione, a cui alludono le immagini di porte, finestre, archi e, soprattutto, ponti raffigurati nelle banconote. Non è un caso che i cittadini dei Paesi dell’Eurozona vivano la loro identità europea in modo molto più forte di quelli dei Paesi che non hanno adottato la moneta unica. E ciò è del tutto compatibile con il fatto che di questa moneta si abbia una cattiva opinione: come diceva Jacques Delors, non ci si può innamorare di una moneta, ma i suoi effetti identitari si verificano in ogni caso.
L’euro, inoltre, ha creato un nuovo ambiente per i cittadini europei, costituendo l’unico linguaggio comune di 23 lingue diverse e lo strumento per relazioni di comunicazione e scambio in un territorio che coincide solo parzialmente con quello dell’Unione. Queste relazioni sono tangibili nelle transazioni economiche (due terzi dei cittadini calcolano in euro le loro spese ordinarie e la metà di essi anche quelle straordinarie, come acquistare una casa), ma anche nei viaggi: nel 2010, quasi la metà dei cittadini dell’Eurozona ha visitato un altro Paese europeo, essendo la libertà di movimento il primo e più sentito significato della cittadinanza comunitaria.
L’euro, poi, ha inciso, e incide profondamente, sull’essere consumatori dei cittadini europei. Questo è risultato evidente nella divaricazione tra inflazione “reale” e “percepita” verificatasi nei primi anni dell’euro e che ha sicuramente concorso ad una specie di autoriduzione dei consumi. Questa ha avuto un effetto diretto sulla debole crescita economica dell’Europa. In Italia, ciò è stato dovuto anche ad una drammatica assenza della politica nella fase di passaggio alla nuova moneta (da “Tutto a 1.000 lire” a “Tutto a un euro”), con conseguenze che stiamo ancora pagando. La moneta unica, quindi, non è solo il dito che indica la luna, come viene affermato autorevolmente, ma ha anche responsabilità dirette in ciò che sta accadendo.
L’euro è, infine, come diceva Tommaso Padoa Schioppa, una moneta senza Stato: un’anomalia, visto che il battere moneta è un elemento distintivo della sovranità nazionale. La sua introduzione, però, sta costringendo la litigiosa partnership europea a porsi il problema di rafforzare la dimensione politica dell’Unione, superando quella che Romano Prodi, nell’intervista contenuta nel libro, chiama “leadership barometrica”: più attenta ai sondaggi, cioè, che al destino della cittadinanza. Se questo tipo di leadership, all’epoca dell’introduzione dell’euro, caratterizzava soprattutto i dirigenti britannici, oggi sembra diventata una vera e propria epidemia delle classi politiche europee.
Questi fattori nascosti hanno a che fare con quelli più visibili soprattutto perché è su di essi che si fonda quella fiducia sociale che è la condizione perché le monete funzionino: è, infatti, grazie alla fiducia – orizzontale, tra i cittadini, e verticale, tra questi e le istituzioni che presiedono al funzionamento della moneta – che si realizza la magia per cui un pezzo di metallo o di carta è accettato da tutti come mezzo di scambio, unità di calcolo e deposito di valore. In altre parole, mentre l’euro in questo decennio ha contribuito decisamente a dare forma alla cittadinanza europea (un esperimento evolutivo unico nel suo genere), è proprio l’anomala cittadinanza dell’Unione che ha fornito e fornisce alla moneta unica la necessaria fiducia di chi la deve utilizzare: non solo i boss della finanza, ma anche i cittadini consumatori, risparmiatori, lavoratori ed imprenditori. Un indicatore della persistenza di questa fiducia è senza dubbio l’impennata nell’acquisto di piccole quote di titoli di stato italiani nelle aste delle ultime settimane. Si tratta di una risposta a chi prevedeva la fioritura di un mercato nero di dollari nel nostro Paese.
L’euro, va da sé, è legato a molti dei problemi che stiamo affrontando: o come dito che indica la luna, o come loro causa diretta. Tuttavia, mentre passeggiamo sull’orlo dell’abisso, è il caso di non dimenticare questi aspetti, nascosti, ma di importanza cruciale.

Giovanni Moro
Presidente di FONDACA*, docente alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Macerata

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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