Intervenire sul prelievo fiscale

Giampaolo Arachi, Ernesto Longobardi, Alberto Zanardi, Paolo Panteghini

La riforma fiscale che il governo ha in mente punta, tra l’altro, a spostare il prelievo dalle imposte dirette a quelle indirette. Uno studio mostra però che gli aumenti di accise, Iva, Imu e Irpef non sono distribuiti in maniera uniforme, incidono di più sulle famiglie nei primi decili di reddito. Ulteriori interventi devono perciò essere compensati con riduzioni delle imposte sui redditi più bassi.

Nell’ “Atto di indirizzo per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale per gli anni 2012-2014”, il Presidente del Consiglio ha di recente indicato le future linee guida di riforma del nostro sistema tributario. Accanto al contrasto all’evasione ed elusione, all’incremento della tassazione sui redditi finanziari, alla revisione delle accise in funzione ambientale, il documento indica la necessità di un “graduale spostamento dell’asse del prelievo dalle imposte dirette a quelle indirette”.

DALLE IMPOSTE DIRETTE ALLE INDIRETTE
Questa linea di intervento è stata caldeggiata negli ultimi anni sia dalla Commissione Europea che dall’Ocse. Sono due le argomentazioni che vengono di solito avanzate a sostegno della misura. (1) La prima riguarda il breve periodo: un aumento dell’Iva (che colpisce le importazioni ma non le esportazioni), compensato da una riduzione della pressione fiscale sul lavoro, potrebbe produrre effetti simili a quelli generati dalle svalutazioni della vecchia lira. Nella misura in cui gli sgravi sul lavoro si trasferissero sui costi delle imprese nazionali i prodotti italiani diverrebbero più convenienti per i consumatori esteri. La “svalutazione fiscale” potrebbe quindi aiutare l’economia a uscire dall’attuale fase di recessione stimolando la domanda aggregata attraverso una miglioramento della bilancia commerciale. Analogamente alle svalutazioni valutarie del passato, i possibili effetti benefici tenderebbero a svanire nel medio lungo periodo con l’aggiustamento dei salari nominali.
La seconda riguarda il medio-lungo periodo. Le imposte sui redditi da lavoro e sui redditi di capitale possono produrre effetti negativi sulla crescita scoraggiando l’occupazione e l’accumulazione del capitale (sia fisico che umano). Per il modo in cui queste imposte sono generalmente applicate, gli effetti negativi crescono al crescere dell’integrazione economica e della conseguente mobilità internazionale dei lavoratori e dei capitali. Alcuni effetti negativi potrebbero essere attenuati spostando il carico fiscale sulle imposte indirette e sugli immobili.
In realtà, la letteratura economica non fornisce indicazioni univoche sull’efficacia delle misure. Per quanto riguarda il lungo periodo, ad esempio, molti osservano che redditi da lavoro e consumi rappresentano basi imponibili quasi equivalenti se valutati lungo l’intera vita del contribuente (i redditi risparmiati durante la vita lavorativa vengono consumati quando gli individui si ritirano dal mercato del lavoro). Inoltre, l’indagine empirica su questi temi è ancora agli albori e non ha prodotto evidenze consolidate.
Tuttavia, le perplessità che la proposta di uno spostamento del carico fiscale dalle imposte dirette alle indirette suscita non riguardano tanto i loro effetti in termini di efficienza quanto piuttosto il possibile impatto in termini redistributivi, dato che le imposte dirette sono formalmente progressive, mentre le indirette tendenzialmente proporzionali o regressive.

GLI EFFETTI REDISTRIBUTIVI
Può essere allora utile tentare di verificare, come è stato fatto in un recente contributo, gli effetti redistributivi degli interventi fiscali attuati in Italia negli ultimi tempi. (2) Le tre manovre succedutesi dal luglio al dicembre dello scorso anno hanno già aumentato il peso dell’imposizione indiretta e di quella sugli immobili, prevedendo al contempo una riduzione del carico fiscale sul lavoro (attraverso l’Irap) e sul capitale (con l’introduzione dell’Ace).
Una valutazione complessiva dell’impatto del complesso delle manovre è estremamente complesso. Per raggiungere nel 2013 un disavanzo prossimo allo zero, i pacchetti fiscali approvati tra luglio e dicembre comportano, per il periodo 2012-2014, un aggiustamento cumulato di circa 81 miliardi di euro, di cui 54 incentrati su aumenti dei tributi. Una parte delle maggiori entrate, seppur limitata, è comunque stata destinata a ridurre le imposte dirette.
Lo studio esamina solo un sottoinsieme delle misure adottate, che rappresentano tuttavia gran parte della manovra in termini quantitativi. Gli aumenti considerati riguardano accise, Iva, Imu. Le accise sono state notevolmente aumentate: il maggior gettito è stimato in 4,8 miliardi, di cui 2,9 a carico delle famiglie. L’Iva, dopo l’aumento di un punto percentuale dell’aliquota ordinaria nel 2011, subirà ancora incrementi già a partire dall’anno in corso, contribuendo complessivamente per circa 20 miliardi alla correzione dei conti pubblici; la maggiore Iva che sarà pagata a regime dalle famiglie è stimabile in 11,4 miliardi. Il Governo ha recentemente confermato gli aumenti dell’Iva programmati per il 2012 e 2014, anche se sono allo studio misure alternative per evitarli, agendo prevalentemente sul taglio delle agevolazioni fiscali. Un consistente incremento di gettito (circa 10,6 miliardi, di cui la metà a carico delle famiglie) deriva dalla riforma dell’imposta sugli immobili (“fisco/pagina1002732.html”target=”_blank”>Effetto Imu”).
Per quanto riguarda le imposte dirette, nella valutazione dell’impatto redistributivo è stata considerata solo l’Irpef. Sono tre i principali cambiamenti: i canoni di locazione subiscono un’imposizione sostitutiva, le rendite catastali degli immobili a disposizione escono dal reddito complessivo Irpef e le addizionali regionali aumentano dello 0,33 per cento. Al netto, queste misure contribuiscono all’aumento delle entrate per circa 400 milioni di euro.
I risultati di una prima simulazione dell’effetto redistributivo di questi interventi sul reddito delle famiglie sono illustrati nella tabella 1 che riporta la variazione di aliquota media per decili di reddito lordo equivalente. Complessivamente, le manovre comporteranno nel 2014 un aumento dell’aliquota media sul reddito di 2,3 punti percentuali. Ma l’aumento non è distribuito in maniera uniforme fra decili di reddito. È decisamente più elevatoper le famiglie nel primo e secondo decile (rispettivamente il 5,2 per cento e il 3 per cento), decresce poi lievemente all’aumentare del reddito, e infine si riduce sensibilmente per le famiglie dell’ultimo decile (1,4 per cento). Appare evidente come questo andamento sia fondamentalmente determinato dall’aumento delle imposte indirette (accise e Iva), mentre Imu e Irpef tendono a rafforzare gli effetti rispettivamente sul primo e sull’ultimo decile.
Ovviamente, questi primi risultati vanno valutati con molta prudenza. La simulazione si basa necessariamente su ipotesi semplificatrici molto forti sull’incidenza delle imposte e non incorpora i probabili effetti dei provvedimenti sui comportamenti (e quindi sui redditi e sui consumi) dei contribuenti. Non tiene anche conto di alcuni provvedimenti, quali l’aumento dell’imposta di bollo sui conti correnti, e della riduzione delle imposte sulle imprese, attraverso interventi sull’Irap e l’introduzione del cosiddetto “Aiuto alla crescita economica”, che si assume non verranno traslate sui consumatori. Infine, trascura la dimensione intertemporale della manovra. L’aumento dell’Iva colpisce non solo i redditi prodotti oggi che si trasformano in consumi, ma anche i redditi prodotti in passato, risparmiati e utilizzati per finanziare il consumo nel periodo corrente ed in futuro.
Nonostante questi limiti, i risultati segnalano la necessità di una riflessione attenta sull’impatto redistributivo del consolidamento dei conti pubblici dal lato delle entrate. Non è solo una questione di equità. Ulteriori interventi devono essere compensati con riduzioni delle imposte sui redditi più bassi, o si rischia di ostacolare la ripresa della domanda e della crescita.

tratto da www.lavoce.info

(1) M. D’Antoni e A. Zanardi, Shifting the Tax Burden from Labour Income to Consumption, Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze, 4/2011, in corso di stampa.
(2) “Fiscal Reforms during Fiscal Consolidation: the Case of Italy” di G. Arachi, V. Bucci, E. Longobardi, P. Panteghini, M.L. Parisi, S. Pellegrino e A. Zanardi, Econpubblica working papers, n. 160, febbraio 2012.
http://www.econpubblica.unibocconi.it/folder.php?vedi=4911&tbn=albero&id_folder=1306

Giampaolo Arachi
Professore Straordinario di Economia Pubblica – Università di Lecce
Ernesto Longobardi
Professore Ordinario di Scienza delle Finanze – Università degli Studi di Bari
Alberto Zanardi
Professore Ordinario di Scienza delle Finanze – Università degli Studi di Bologna
Paolo Panteghini
Professore Ordinario di Scienza delle Finanze – Università degli Studi di Brescia

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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