Luci ed ombre della giustizia

Paolo Di Marzio

In Italia, la giustizia non funziona bene come dovrebbe, ma non è un’ammalata terminale. Diversi interventi sono possibili per migliorare il sistema.

In Italia, la durata media dei processi è troppo lunga. Questo è ormai un luogo comune. Ne consegue il pregiudizio delle rivendicazioni di chi ha ragione. Ma quali sono le cause dell’eccessiva durata dei processi, civili e penali, e quali sono i possibili rimedi? È sempre vero che un processo lungo danneggia chi ha ragione?
È ben noto che un servizio fornito ai cittadini, come è quello della giustizia, necessita di mezzi. È assai meno noto che in Italia non si svolge un concorso per il reclutamento di personale di cancelleria da oltre quindici anni. Gli attuali cancellieri sono ormai troppo pochi, attempati e demotivati a causa del carico di lavoro e della retribuzione percepita, che reputano modesta. Segnalo questo anche a voler prescindere da ogni considerazione sulla periodica mancanza di soldi per acquistare la carta per le fotocopie o per assicurare il servizio di stenotipia nel processo penale.
La mancanza di personale e di fondi produce effetti ben noti agli operatori del diritto, ma spesso sconosciuti al cittadino. Nel processo civile, il giudice dovrebbe essere assistito dal cancelliere, al quale competerebbe la verbalizzazione dell’udienza (cfr. artt. 57 e 126 C.p.c. e 44 disp. att. C.p.c.). Questa norma risulta, però, disattesa per necessità in tutti gli uffici giudiziari presso cui ho prestato servizio. Sono gli avvocati delle parti che svolgono, con apprezzabile disponibilità e da amanuensi, il compito che la legge affiderebbe ad un soggetto terzo ed imparziale. Nel processo penale, oltre che dal cancelliere, il giudice dovrebbe essere assistito da un ufficiale giudiziario, dotato di compiti propri e rilevanti (cfr. art. 21 Reg. C.p.p.), ad esempio vigilare perché i testimoni non assistano al dibattimento prima di essere esaminati. In realtà, nel processo penale, dell’ufficiale giudiziario se ne sono perse le tracce ed è il giudice a doversi impegnare a svolgere anche i compiti attribuiti all’ausiliario.
Una fonte estera attendibile, il Cepej (Commissione europea per l’efficacia della giustizia) ha redatto, nel 2008, un rapporto da cui emerge che i magistrati ordinari italiani sono tra quelli che, in Europa, definiscono il maggior numero di processi, terzi nel settore civile e primi nel settore penale, e sono anche retribuiti in misura assai inferiore rispetto ad altri Paesi. Non sono, allora, i magistrati che rallentano il funzionamento della giustizia in Italia.
La litigiosità in materia civile, in Italia, è tra le più elevate in Europa. Siamo terzi dopo Olanda e Russia. Questo è un primo dato da tenere presente. Smentisce, solo in parte per la verità, un altro luogo comune, quello secondo il quale la fiducia dei cittadini nella giustizia sarebbe costantemente in flessione.
In altri Paesi europei, ad esempio nel mondo anglosassone, la proliferazione dei processi è contrastata anche facendo gravare una percentuale elevata dei costi della giustizia sulle parti dei giudizi. Se so che un processo mi costerà molto, naturalmente ci penso di più prima di promuoverlo. Questa rimedio, però, non mi convince. Ci sono servizi che lo Stato deve assicurare a tutti, ad esempio istruzione, sanità e giustizia, senza operare selezioni censuarie tra coloro che sono ammessi ad accedervi. In fondo, la giustizia è pagata dai contribuenti con le tasse che corrispondono allo Stato, e, se il contribuente ritiene di avere subito un torto ed intende domandare giustizia, non mi sembra giusto che sia ostacolato dagli eccessivi oneri impostigli solo per proporre l’azione. Diverso è prevedere un incremento degli oneri per chi propone giudizi che si rivelano pretestuosi. La sanzione di questo comportamento appare pienamente giustificata e meriterebbe di essere incrementata.
Ancora, il processo italiano è assai lungo anche perché prevede tre gradi di giudizio. Indubbiamente, due gradi di giudizio di merito comportano costi elevati e possono apparire un lusso, ma assicurano maggiori tutele a chi si rivolge alla giustizia. Il mio barbiere diceva che, se ho un foruncolo sulla coscia che mi dà fastidio, non per questo penso di risolvere il problema amputando l’arto. Sarebbe un rimedio peggiore del male. Neppure mi pare convincente la soluzione, ancora anglosassone, di permettere alla parte che ha perduto il primo grado del giudizio di impugnare la decisione solo se il giudice che l’ha condannata lo consente. Dobbiamo rendere il processo italiano più celere, ma evitando di adottare rimedi che, per la nostra cultura, limiterebbero le garanzie per l’utente della giustizia e, perciò, presenterebbero conseguenze ancora peggiori dell’eccessiva durata del processo.
Una delle cause del numero troppo grande dei processi è spesso imputata dagli analisti all’elevato numero degli avvocati. È un dato di fatto che gli avvocati italiani siano, percentualmente, i più numerosi d’Europa. Siamo secondi soltanto alla Grecia (cfr. rapporto Cepej, cit.). Se ben comprendo, l’ipotesi è che, essendo troppo numerosi gli avvocati, i quali, comprensibilmente, cercano di trarre un reddito sufficiente dal proprio lavoro, sarebbero proprio gli avvocati a stimolare i cittadini a proporre azioni giudiziarie. In un’epoca in cui si cerca di produrre ogni sforzo per liberalizzare le professioni, pure per aumentare la concorrenza e ridurre anche in tal modo gli oneri delle prestazioni, l’ipotesi di introdurre il numero chiuso degli avvocati mi lascia perplesso. Piuttosto, abbiamo bisogno di avvocati bravi. Parliamo di una professione nobilissima, quella di difendere il cittadino dall’ingiustizia. Mi sembra, allora, che occorra piuttosto impegnarsi perché l’esame di accesso alla professione sia severo, e proporzionato al rilievo delle funzioni che coloro i quali lo superano saranno chiamati ad esercitare.
Si inserisce in questo discorso il profilo, invero essenziale, della deontologia dell’avvocato. Quando ancora operavo quale giudice civile, mi è capitato non di rado di sentirmi domandare dagli avvocati delle parti un “rinvio semplice”, o “d’accordo”, della trattazione di una causa. Non ho mai ritenuto di accordarli e mi è pure capitato – per gioco, è naturale – di domandare, a mia volta, la differenza tra un rinvio semplice ed un rinvio articolato, oppure composto o, che so, complesso. Non mi pare deontologicamente corretto che un procuratore domandi un rinvio immotivato della trattazione di un processo. Ne deriverebbe un allungamento ingiustificato dei tempi di definizione del giudizio. Inoltre, un simile istituto non è previsto dal codice di rito.
In realtà, le cause dell’esagerato numero dei nuovi processi civili sono molte. Una, non appaia paradossale, è costituita proprio dall’eccessiva durata del giudizio. Il debitore che sa di avere torto ed intende allontanare il più possibile il momento in cui sarà chiamato a dover pagare, indubbiamente, si giova delle lungaggini del processo.
Ancora, l’eccessiva litigiosità in materia civile si ricollega pure a fenomeni di malcostume, sui quali l’organizzazione della giustizia può incidere poco. Una percentuale rilevante del nuovo contenzioso, ad esempio, riguarda giudizi relativi alla responsabilità per la causazione di incidenti nella circolazione stradale. Sta di fatto che pure le cause penali per truffe e simili commesse ai danni delle compagnie di assicurazione sono in aumento, ed anche l’importo dei premi che ognuno di noi corrisponde per assicurare il proprio veicolo è in crescita esponenziale. Nasce il sospetto che qualcuno stia cercando di profittare della limitata capacità (o possibilità) di difendersi in giudizio delle compagnie di assicurazione per promuovere giudizi pretestuosi. Solo un sospetto, certo, ma fugarlo non dovrebbe essere impossibile. Mi spiego. Personalmente, non mi è mai capitato di essere testimone in un processo, né civile, né penale. Gli strumenti informatici permetterebbero oggi agevolmente di creare un archivio nazionale – riservato, è naturale – di coloro che rendono testimonianza. Se dovesse emergere che una persona ha testimoniato tante volte, sempre per aver assistito ad incidenti stradali, semmai a breve distanza di tempo, la circostanza apparirebbe singolare e si potrebbe perciò utilizzare questa notizia in molti modi.
La giustizia, anche se bene organizzata, interviene in presenza di patologie del rapporto dei cittadini tra loro e con gli enti, pubblici o privati, e può offrire un contributo alla soluzione dei problemi. Non è, però, in grado di evitare che i cittadini propongano giudizi pretestuosi. Questi sono frutto di egoismo, ricerca di soddisfazioni immeritate, opportunismo, talvolta semplice maleducazione. Sono fenomeni da contrastare mediante strumenti diversi da quelli giudiziari, come l’esempio di chi ha pubbliche responsabilità, la qualità non solo dell’insegnamento, ma anche dell’educazione impartita sui banchi di scuola, e così via.
Credo si risolva assai poco il problema dell’eccessiva durata del processo riducendo i termini di decisione del giudice. Quando ero appena divenuto magistrato, dovetti costatare che sul mio ruolo civile, presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, pendevano circa duemila giudizi civili. Troppi. Provai a chiedere consiglio su come si potesse gestire un numero così elevato di cause ad un collega esperto. Mi rispose che non dovevo preoccuparmi più di tanto: avere sul ruolo cinquecento, duemila o quattromila cause era relativo, si trattava solo di numeri, potevo giocarmeli al lotto. Non avrei mai potuto smaltire più di una certa quantità di lavoro. Ma c’é un altro profilo di questo problema che mi inquieta. Vogliamo davvero un giudice che decida sulla base di sensazioni, di un’analisi frettolosa dell’incartamento processuale? Gli errori aumenteranno. O vogliamo un giudice che possa davvero studiare le carte processuali, si prenda più tempo per decidere e commetta meno errori?
Questo discorso coinvolge anche il problema della tendenza contemporanea a valutare i magistrati in base alla loro produttività, cioè in base al numero di provvedimenti emessi riferito alle statistiche giudiziarie. Mi torna in mente una battuta di uno storico di valore, Giorgio Spini, secondo il quale le piccole bugie si dicono menzogne, mentre le grandi si chiamano statistiche. Anche a me piacerebbe avere in Italia giudici che scrivessero rapidamente tante sentenze, buone e giuste. Ma, se tutto non si può avere, preferisco il giudice che pronuncia sentenze buone a quello che ne pronuncia solo tante, ed il magistrato che scrive sentenze giuste a quello che le scrive solo rapidamente. Il lavoro dei giudici non ha natura seriale. Va bene tener conto della quantità del lavoro che svolgono, ma non dimentichiamo il rilievo sociale della qualità delle decisioni che pronunciano.
Indubbiamente, di fronte ad un contenzioso troppo elevato, un’iniziativa teoricamente utile potrebbe essere l’aumento del numero dei magistrati. Ma, nella pratica, non sarebbe neppure facile attuarla, per più motivi, oltre al fatto che comporterebbe oneri elevati. Qualche anno fa è stato indetto un concorso non per trecento nuovi magistrati, come si fa di solito, ma per cinquecento. Il risultato è stato che la commissione ha valutato idonei soltanto circa trecento concorrenti. Forse è anche vero che l’Università italiana non riesce a preparare più di un certo numero di candidati in grado di superare il concorso. Questo è comunque difficile ed il successo, anche se si è ben preparati, dipende anche da fattori occasionali. Può essere necessario provarci più volte. Il concorso, a termini di legge, dovrebbe essere tenuto ogni anno, mentre i termini medi sono oggi superiori ai due, ed i Tribunali presentano ampie scoperture anche dell’organico attuale. Pure su questo chi amministra la giustizia non è in grado di incidere.
Anche la giustizia penale è oberata dall’esagerato numero dei nuovi processi. In questo caso, però, qualche intervento, largamente condiviso, sembra possa essere agevolmente proposto. Sembra possibile dubitare, infatti, che debba svolgersi un processo penale perché un rivenditore di pane ha trasportato il prodotto in sacchi di carta anziché in ceste di plastica, oppure perché un giovane pescatore è stato sorpreso a vendere le cozze per strada sopra un banchetto, senza disporre di un banco frigo. Mi spiego. Queste violazioni della legislazione vigente devono essere certamente sanzionate, per tutelare noi consumatori da una situazione di pericolo. Tuttavia, è diverso se si procede al sequestro del pane e delle cozze, si fanno analizzare le merci all’ASL e si scopre che contenevano, ad esempio, il germe della salmonella. In questo caso, la sanzione penale si impone. Sanzionare penalmente il mero trasporto irregolare del pane o la mera messa in commercio dei mitili senza il rispetto di norme regolamentari, invece, può sembrare eccessivo. Potrebbero adottarsi sanzioni amministrative, anche severe, pecuniarie, certo, ma anche interdittive, come il divieto di esercitare professioni ambulanti e simili. Anche un giudizio penale per il trasporto irregolare del pane impone un’attività di controllo della P.G., un esame degli atti del P.M. che dovrà inviare avvisi preliminari ed emettere un decreto di citazione in giudizio, atti che dovranno essere notificati dagli ufficiali giudiziari. Investe un giudice che, assistito da un cancelliere e dal personale di stenotipia, dovrà istruire un processo, dirigere l’esame di testimoni appartenenti alla Polizia Giudiziaria, che saranno distolti, per quel giorno, dalla loro attività di controllo del territorio…
Nelle aule universitarie si insegna che il diritto penale è un’extrema ratio, dovrebbe essere utilizzato soltanto quando ogni altra sanzione sia ritenuta inefficace. La prima cosa da fare per decongestionare le aule penali mi sembra, allora, consista nel procedere ad un’ampia depenalizzazione, sostituendosi le sanzioni penali ancora spesso previste per reati c.d. bagatellari con sanzioni amministrative.
Non si trascuri, poi, il problema dell’effettività delle sanzioni. Per fare un solo esempio, mi giungono non di rado richieste di dichiarare la prescrizione di pene pecuniarie. Ma la prescrizione matura in dieci anni. Possibile che non si riesca ad esigere (o almeno richiedere) prima il pagamento della sanzione? Quando domando spiegazioni, la risposta è sempre la stessa: i fondi sono scarsi, all’esecuzione si dedica modesta attenzione… Ancora, neppure alcuni dei maggiori Tribunali dispongono di un servizio di presidio per l’esecuzione delle decisioni emesse in sede cautelare dai giudici del dibattimento. Questo significa che, se viene ordinata la liberazione di un detenuto di sera, dopo la fine dell’orario di lavoro del personale delle cancellerie, il detenuto, di fatto, trascorrerà un’altra notte dietro le sbarre. Non mi pare giusto, anche se la ragione di questo stato di cose, ancora una volta, dipende dalla carenza di personale e di fondi. È vero che in un periodo di risorse scarse non possono essere soddisfatte tutte le esigenze e devono operarsi delle scelte, ma credo che le esigenze della migliore organizzazione dei servizi della giustizia debbano considerarsi prioritarie. Ne dipende il benessere, talora persino la libertà personale, di tanti cittadini.
La giustizia in Italia non funziona bene come dovrebbe, ma non è un’ammalata terminale. Diversi interventi sono possibili per migliorare il sistema. A tal fine, appare imprescindibile che, abbassati i toni delle polemiche, specie tra esponenti della politica e della magistratura, tutti gli operatori della giustizia possano sempre dialogare e confrontarsi con serenità e senza pregiudizi tra loro, ma anche con la società civile ed i suoi rappresentanti, nell’interesse superiore del cittadino. Senza dimenticare che l’amministrazione della giustizia è un servizio di cui non si può fare a meno e tutti noi, magistrati, avvocati, uomini politici o altro, siamo cittadini, assetati di Giustizia.

Paolo Di Marzio
Magistrato del Tribunale di Napoli

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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