Le frontiere dell’inclusione sociale

Rossana Carta

Attualmente, la maggior parte dei condannati idonei ad accedere alle misure alternative alla detenzione non riesce a trovare un lavoro né ricorrendo al mercato, né sotto forma assistenziale.

Premessa
La struttura del mercato del lavoro in Sardegna presenta tassi elevati di disoccupazione e, nel contempo, tassi di attività e di occupazione più bassi rispetto alla media italiana, anche se lievemente superiori a quelli delle altre regioni del Mezzogiorno. In particolare, le problematiche relative ai soggetti a rischio di esclusione sociale e lavorativa sono legate alla carenza di servizi per l’inclusione sociale a livello locale.
Sebbene l’istituzione di Centri per l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati (CESIL) abbia rappresentato una novità positiva calata sul territorio, occorre incrementare la presenza di strumenti attivi di inserimento e reinserimento lavorativo a favore dei condannati in esecuzione penale esterna.

Gli Uffici locali di esecuzione penale esterna segnalano una tendenziale diminuzione degli affidamenti a favore delle detenzioni domiciliari. Al di là del fenomeno della L.199/10 – peraltro di portata più ristretta rispetto a quanto auspicato dal legislatore – ciò va ricondotto alla congiuntura economica negativa, la quale colpisce, in primis, le fasce più deboli del tessuto sociale. Gli utenti del circuito penitenziario sono, infatti, soggetti marginali, dotati di bassa scolarizzazione e basso profilo professionale (è inoltre presente un’alta componente di tossicodipendenti). Sono quindi soggetti che faticano più di altre categorie ad inserirsi o a re-inserirsi nel mondo del lavoro.
Attualmente, la maggior parte dei condannati idonei ad accedere alle misure alternative alla detenzione non riesce a trovare un lavoro né ricorrendo al mercato, né sotto forma assistenziale (LSU et similia): a causa della riduzione dei budget per la spesa sociale, molti enti locali non possono erogare prestazioni sotto forma di inserimenti occupazionali.
La disponibilità di un posto di lavoro costituisce, tuttavia, l’elemento fondamentale richiesto nei programmi riabilitativi per l’accesso alle misure alternative più ampie, risorse preziose nei processi di reinserimento in una prospettiva di rieducazione e prevenzione della recidiva.

Dati Statistici
Dall’analisi dei dati riportati nella tabella seguente, si può osservare come le misure alternative alla detenzione, in particolare gli Affidamenti in prova al Servizio Sociale, dopo il brusco crollo dovuto all’indulto (responsabile anche del minor saldo finale del 2006 rispetto al 2005) siano tornate a crescere in modo costante fino ad oggi.

L’apparente calo del 2011 (1.338) è legato al fatto che i dati si riferiscono solo al I°semestre.

Ad un esame più attento si nota, invece, come il numero di affidamenti del primo semestre 2011 (738) sia solo di poco inferiore al numero complessivo del 2010 (906). Ciò lascia pensare che alla fine dell’anno sarà superiore. Lo stesso discorso vale per la detenzione domiciliare: il valore del primo semestre 2011 (406) ha già superato il totale del 2010 (402), a testimonianza di quanto affermato sopra.
La lettura dei dati evidenzia, in primo luogo, il fatto che, dopo l’indulto, la crescita delle misure alternative è ripresa ad un ritmo tale che, entro due o tre anni, il numero raggiungerà i livelli pre-indulto; in secondo luogo, che il numero delle detenzioni domiciliari, già raddoppiato tra il 2009 ed il 2010 (da 219 a 402), sta crescendo ancora ad un ritmo molto sostenuto.

Il dato conferma, quindi, la tendenza dei tribunali di sorveglianza a concedere più detenzioni domiciliari che affidamenti e va letto proprio nella difficoltà dei condannati a reperire attività lavorativa, comportando il ripiego sulla misura meno ampia.
Ciò rischia, però, di aggiungere danno al danno, ove si consideri che la portata rieducativa della detenzione domiciliare è senza dubbio inferiore a quella dell’affidamento in prova al servizio sociale, giacché la prima è misura prettamente contenitiva e non accompagnata da un programma rieducativo vero e proprio, ed inoltre perché l’esclusione dal mondo del lavoro, quando non direttamente causa dell’evento criminoso, diventa fattore di ostacolo ad un pieno recupero sociale dell’individuo che ha commesso il reato.

L’altra dimensione significativa del fenomeno dell’inclusione sociale dei condannati è rappresentata dall’attività di indagine svolta dagli Uffici locali di esecuzione penale esterna su richiesta della Magistratura di Sorveglianza, conseguente alle istanze di ammissione alle misure alternative alla detenzione. Riguarda, dunque, i potenziali fruitori di dette misure.
La dimensione quantitativa del fenomeno è rilevante ed esprime il fabbisogno reale di inclusione sociale distribuito sul territorio regionale. Merita una considerazione sottolineare che l’utenza in argomento, la quale deve essere inserita in procedimenti di inclusione, è fondamentalmente composta da cittadini condannati della Regione Sardegna. Come espresso in apertura, se non vengono create risorse, essi non potranno essere inclusi socialmente in un processo di recupero e prevenzione delle recidive.

Azioni di sistema
Date le premesse, obiettivo generale della progettualità di questo Ufficio EPE è il recupero della coesione sociale attraverso l’integrazione sociale e lavorativa delle fasce di popolazione a rischio di devianza e/o recidiva.
Obiettivo specifico è, invece, la promozione di azioni di inserimento, reinserimento lavorativo e riqualificazione di soggetti condannati in esecuzione penale esterna. Ciò avviene avvalendosi dell’opera di cooperative sociali con le quali esistono già rapporti di collaborazione e condivisione di rete, attraverso il tutoraggio dei soggetti in tutte le fasi del percorso di recupero, dalla presa in carico all’integrazione nel tessuto sociale, in funzione dei bisogni particolari degli utenti e della loro professionalizzazione.
Va sottolineato l’intervento di sostegno e controllo degli Uffici locali di esecuzione penale esterna, all’interno della cornice giuridica dell’affidamento in prova al servizio sociale.

Negli ultimi anni, in Sardegna, si è assistito ad uno sviluppo del privato sociale quale interlocutore privilegiato per gli Enti Locali nell’erogazione di servizi alla persona ed importante strumento di inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati.
Questo Ufficio regionale è interpellato nel vaglio dei progetti presentati dalle organizzazioni del privato sociale in tema di inclusione sociale, ne supervisiona i contenuti e mette a disposizione i propri dati.
È inoltre partner nell’attuazione di progetti finanziati con i fondi “POR Sardegna 2007/2013 Ad Altiora – Asse III – Inclusione Sociale” e gestiti da ATS, che intervengono nella formazione e nell’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati con misure giudiziarie a carico, e svolge azione di consulenza, supporto e monitoraggio. Tutte le attività – lavorative, formative, culturali – sono organizzate e concordate, soprattutto nella scelta dell’utenza, con gli uffici locali di esecuzione penale esterna e con l’approvazione della Magistratura di Sorveglianza.
Si ritiene che la strada percorsa, orientata alla collaborazione, al dialogo ed al mutuo scambio di saperi con i partner del privato sociale, abbia finora fornito frutti importanti e debba essere mantenuta per il futuro. La stessa legge regionale 23/2005, che istituisce il sistema integrato dei servizi alla persona e promuove forme di collaborazione e coordinamento con gli organi periferici dello Stato, con particolare riferimento all’Amministrazione Penitenziaria e della Giustizia, riconosce espressamente al privato sociale una funzione centrale nel processo di co-progettazione dei servizi e di realizzazione concertata degli stessi e sostiene il ruolo delle organizzazioni del terzo settore finalizzato al perseguimento di obiettivi di solidarietà sociale.
A tal fine, espressamente citato nella L.R. 23/05, nascono i finanziamenti in argomento ( E 1.800.000,00) per i progetti di inclusione. Attualmente essi sono riferiti, impropriamente, alla L.R. 7/11, che merita attenzione e finanziamenti ad hoc da parte degli Assessorati di competenza.
Si chiede, pertanto, che la Regione Autonoma Sardegna continui a sostenere questi partner, i quali fanno parte della rete dei servizi territoriali di riferimento dell’Amministrazione Penitenziaria, per la realizzazione di programmi di inclusione sociale attraverso progetti-lavoro per condannati in e.p.e. Se non verranno reperite risorse, infatti, i soggetti in argomento resteranno detenuti e coloro i quali sono, invece, in attesa di esecuzione all’esterno, in assenza di inclusione, saranno inseriti in carcere.
In conclusione, si ribadisce che il fabbisogno per l’inclusione sociale dei cittadini condannati si attesta a n° 1.017 soggetti da inserire, per i quali si sta procedendo in indagini per l’esecuzione penale esterna. Questi soggetti necessitano di risorse per l’attuazione di progetti volti all’occupazione in un intervento integrato interistituzionale di sistema, in un’ottica volta alla prevenzione della legalità e della recidiva e per un intervento di risultato.

Si ritiene opportuno realizzare una campagna di sensibilizzazione e di promozione rivolta alle cooperative sociali, alle associazioni e ad ogni altra organizzazione che ivi operi nel campo del reinserimento socio-lavorativo dei condannati per potenziare la progettualità nell’ambito dell’esecuzione penale esterna.

Rossana Carta
Direttore dell’Ufficio esecuzione penale esterna del
Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria della Sardegna

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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