Il piano carceri tra attese e proposte

Domenico Alessandro De Rossi

La complessità della costruzione di nuovi moderni istituti, unita allo stato attuale del patrimonio penitenziario esistente evidenziano la necessità di organizzare un centro di coordinamento interdisciplinare.

“Quello che si deve fare in una proiezione futura – ha recentemente dichiarato il Ministro Paola Severino – è mettere insieme una serie di forme alternative alla detenzione che rendano effettivo il principio per cui la detenzione deve essere veramente l’ultima spiaggia, da attivare quando le altre strade non si possono più percorrere. Un rovesciamento di proporzioni: normale è la misura alternativa al carcere; che deve rappresentare una misura eccezionale e, come tale, deve essere espressamente motivata”. C’è da domandarsi se la riflessione compiuta dal Guardasigilli, al di là dell’insieme delle piccole misure, non debba, prima o poi, anche occuparsi di quella dimensione considerata dal Ministro come eccezionale e da ultima spiaggia. Nello specifico, significa proprio la carcerazione con le strutture fisiche ad essa destinate. Che per svuotare le carceri oggi stracolme si intenda ricorrere a soluzioni alternative andrebbe anche bene se, per la nota crisi finanziaria, dietro tale scelta non si nascondessero, invece, solo interventi tampone, a fronte di una strutturale impossibilità a “ripensare” in modo sistemico opportuni criteri strategici e di filiera che sottendono l’intera questione. Principi metodologici e nuovi indirizzi culturali, proposte politiche e, perché no, anche progettuali, dovrebbero oggi rappresentare l’occasione per un’approfondita riflessione per il Governo Monti finalmente svincolata dalle polemiche e dagli interessi di parte. Anche il Presidente Napolitano, sottolineando la necessità di un vigoroso impegno per rispondere al dramma del sovraffollamento carcerario, ha evidenziato come l’attuale momento vada affrontato esaminando “ogni possibile ipotesi di intervento”.

Ciò significa che la gravissima condizione carceraria, grazie al recupero di un coraggioso ripensamento, possa essere concepita non come problema di impossibile soluzione, ma quale opportunità e risorsa da trasferire nella società nel suo funzionamento complessivo, per liberare, secondo più aggiornate prospettive, la dimensione sistemica presente nell’universo della detenzione. Nel bruciante dibattito odierno, oscillante tra proposte di improbabili amnistie e misure di microinterventi a tampone, rimangono tuttora aperti spazi per contributi non solo di carattere tecnico, a cui gli autori del libro “L’UNIVERSO DELLA DETENZIONE”, pubblicato recentemente da Mursia ed introdotto dal professor Giovanni Puglisi, presidente della sezione italiana UNESCO, hanno inteso offrire il loro specifico apporto. In ordine a questi aspetti, il gruppo di professionisti, di diversa estrazione specialistica e tra i quali chi scrive, si è impegnato nella costruzione di un ponderoso manuale di oltre 360 pagine, interessante la questione carceraria e destinato non solo alle Università, ma anche al mondo politico. Il testo, partendo da una presa d’atto della quasi totale assenza di insegnamenti dedicati alla problematica della detenzione nelle facoltà tecniche di ingegneria ed architettura, ha inteso proporre una risposta sistemica al complesso problema mediante interventi di economia, normativa comparata, pianificazione e storia. Nel “piano carceri” varato a suo tempo dal precedente Governo, e rimasto nel cassetto, si legge: «L’amministrazione, considerate le limitate risorse finanziarie disponibili, ha svolto un accurato studio teso ad individuare soluzioni alternative di finanziamento, valutando la possibilità di ricorrere a taluni istituti normativi quali la locazione finanziaria, la finanza di progetto e la permuta». Il Governo, quindi, già all’epoca ben consapevole della carenza di risorse finanziarie, intendeva includere i privati nel “disegno risolutivo del piano per l’edilizia penitenziaria”.

In tal senso, prima della fase di realizzazione del disegno risolutivo del piano, sarebbe stato corretto promuovere, a parere di chi scrive, un’iniziativa di pianificazione strategica che stabilisse in modo organico, anche attraverso l’approntamento di nuovi strumenti legislativi, le possibili operazioni da compiere a fronte dell’intero patrimonio esistente sul territorio: riuso, riassetto, dismissione, cessione, ristrutturazione, locazione, ecc., di taluni edifici penitenziari ed aree pertinenziali all’interno di un paradigma di azioni da pattuire, successivamente, attraverso una specifica normativa anche con i diversi enti locali. Tale processo sistematico di valutazione delle preesistenze architettoniche, se ben impostato in concerto con le altre funzioni ministeriali, potrebbe trasformarsi, ancora oggi per il domani, in una grande opportunità per innescare un ciclo virtuoso in rapporto diretto con le attività presenti sul territorio, individuando, all’interno delle diverse filiere, nuovi ambiti di recupero sociale del detenuto come momenti alternativi, ma non disarticolati e sporadici, destinati all’applicazione della pena. Tutto il percorso, collegato alle catene produttive locali, ai servizi sociali, alle strutture cooperativistiche e di volontariato, ai valori architettonici ed ambientali espressi dal territorio, potrebbe ricucire sistemicamente le molte connessioni funzionali esistenti nella realtà territoriale. Non tutti sanno che l’attuale patrimonio carcerario italiano è costituito da un 20% di edifici realizzati tra il 1200 ed il 1500 (medio evo e rinascimento!), un 60% costruito tra il 1600 ed il 1800 e solo il rimanente 20% in tempi successivi.
Questi dati aprono scenari inquietanti nel momento del difficile confronto con il “valore” di questi edifici: manufatti abbandonati a fronte di un inevitabile e progressivo degrado, costruzioni e siti di alto valore architettonico ed ambientale. L’incapacità “strutturale” di rispondere alla necessità di adattamento a moderni criteri di funzionalità, unita all’alto valore storico-culturale ed economico di cui sono portatori questi edifici, determinano altissimi costi di manutenzione per la quotidiana gestione dello status quo, con bassi rendimenti funzionali in termini di qualità e sicurezza. Come è noto non solo in questo settore, è proprio la questione delle “competenze” burocratiche quella che rappresenta la più complessa tra le cause che rendono inattiva la capacità di risolvere il problema di come amministrare questo enorme patrimonio. È il motivo che scoraggia l’intervento privato nei confronti di una vasta varietà di operazioni volte alla cessione, alla vendita, alla dismissione, al recupero, alla ristrutturazione. Ragioni ufficiali che, dietro lo schermo delle diverse “competenze”, spesso tendono a dissuadere in partenza qualsiasi proposta innovativa in ordine alle eventuali scelte da compiere in termini di riuso o dismissione di questi edifici. Circa questo enorme patrimonio edilizio, il DAP comunicò, per voce del suo dirigente, Franco Ionta, che per reperire la somma necessaria al completamento del Piano destinato alla costruzione di nuovi istituti, sarebbe stato necessario “proporre l’alienazione e la dismissione di immobili, soprattutto se situati nei centri storici, e prendere in considerazione la possibilità di vendere parte del patrimonio edilizio penitenziario vincolando l’acquirente a corrispondere quanto necessario con modalità contrattuali da definire”. Vero è che, prima di poter addivenire a tali corrette ipotesi, sarebbe necessario definire, da subito ed a costo zero, comunque per il futuro, una sistematica concernente i criteri d’intervento nei confronti dell’intero patrimonio edilizio. Una sorta di “sistema a rete”, avente come obiettivo il possibile coinvolgimento, oltre che dell’imprenditoria privata, anche delle cooperative di ex detenuti, sulla base di programmi di riabilitazione sociale e qualificazione professionale che prevedano misure alternative al carcere ed il reinserimento nel ciclo produttivo destinato al riuso, sotto altre forme e funzioni, dello stesso patrimonio edilizio carcerario. In questo grande sforzo di sintesi e pianificazione strategica, determinante dovrebbe essere l’impegno ed il coinvolgimento dell’imprenditoria privata come vero e proprio motore dello sviluppo. Interventi di project financing, leasing e pianificazione concordata, insieme ad un’innovativa visione urbanistica, se non scoraggiati dalla burocrazia, se ben governati da un centro decisore e da efficienti e qualificati apparati dello Stato, possono rappresentare già oggi una grande opportunità per la futura soluzione del problema penitenziario.

Le amministrazioni locali, soggetti primari che tradizionalmente svolgono attività di rilevazione e catalogazione sul territorio, consentirebbero di disporre fin da subito di un vasto panorama sufficientemente chiaro sullo stato attuale delle preesistenze architettoniche destinate alla reclusione per poter riflettere, mediante uno specifico studio di fattibilità, su di una metodologia e sulle possibili iniziative da intraprendere in ordine alle diverse esigenze funzionali. Scopo della ricognizione mirata sarebbe quello di dare vita ad aree didattiche di informazione tecnica destinata alla formazione professionale dei detenuti, mediante un continuo confronto su obiettivi, modalità e strumenti da utilizzare per una revisione delle procedure lavorative nel settore penitenziario. Per aiutare una riflessione sul processo di catalogazione e valutazione sistematica del patrimonio edilizio, sarebbe opportuno elaborare un quadro ragionato degli esiti delle attività di catalogazione, organizzato per tabelle ordinate per tipologia di beni, stato di conservazione, potenzialità di riutilizzazione secondo piani alternativi per aree territoriali e per annualità. In tal modo, verrebbe a configurarsi una necessaria conoscenza delle azioni da intraprendere per il futuro circa le possibili scelte di conservazione, ristrutturazione, riuso, riconversione funzionale, dismissione, cessione, in base alle esigenze di diversa natura provenienti dal contesto territoriale e dalle esigenze specifiche del piano carceri. La complessità della costruzione di nuovi moderni istituti, unita allo stato attuale del patrimonio penitenziario esistente ed alle scelte che riguardano in generale il “piano carceri”, evidenziano la necessità di organizzare un centro di coordinamento interdisciplinare in grado di sovrintendere, pianificare, modulare ed indirizzare, secondo il contributo sistemico delle diverse competenze specifiche, tutti gli interventi all’interno di un quadro unitario di riferimento.

Domenico Alessandro De Rossi
Architetto, Consulente del Ministero dell’Interno e della Giustizia per il programma di costruzione di nuove carceri,
Professore a contratto presso l’Università del Salento.

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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