Giustizia, numeri e prospettive

Maurizio Paniz

La giustizia non è di destra o di sinistra, ma costituisce un patrimonio indispensabile di tutte le Nazioni civili, il cui ritardo costa allo Stato italiano un punto di PIL all’anno.

A metà dello scorso mese di gennaio sono stati resi noti i dati ufficiali sullo “stato della giustizia” nel 2011. Ciò è avvenuto in vista dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, celebratasi il 28 gennaio, ancora una volta tra non pochi contrasti, soprattutto dell’avvocatura (avverso molte previsioni assurde del decreto “liberalizzazioni”) e nuove grida di dolore da parte della magistratura, che chiede l’eliminazione dell’istituto della prescrizione per poter celebrare tutti i processi pendenti senza alcun limite di tempo.
La giustizia, invero, continua a camminare con passo troppo lento, addirittura più lento dell’anno precedente, confermando che non vi è priorità diversa da quella di un intervento, politico (ma non solo!), forte e condiviso, proiettato a ridurre l’eccessiva durata dei processi. Le cause civili ed i processi penali registrano, infatti, un allungamento dei tempi medi di trattazione: per arrivare ad una sentenza civile di Tribunale, nel 2011 sono occorsi 470 giorni, mentre nel 2010 ne bastavano (si fa per dire!) 456; altri 1.032 ne sono serviti in Corte d’Appello, mentre nell’anno precedente ne “bastavano” 947; complessivamente, senza considerare la Cassazione, che richiede altri 1.200 giorni, una causa civile dura ora, mediamente, 1.502 giorni, mentre l’anno precedente i giorni erano 1.403. Non va meglio nel penale, dove i 316 giorni del Tribunale sono diventati 337 ed i 739 della Corte d’Appello sono saliti a 901, per un totale di 1.238. Questi diventano 1.621 se si aggiungono i 383 delle indagini, senza considerare che, per la Cassazione, ne servono altri 210, tanto che la durata media di un processo è aumentata di circa 200 giorni, posto che nel 2010 era di 1.428.
I processi penali pendenti sono aumentati, passando da 3.271.186 a 3.379.367, determinando così, sommati alle pendenze civili, una zavorra che, complessivamente, sfiora i 9.000.000 di procedimenti e che conferma l’enorme problematicità di un percorso giudiziale ormai condizionato più dai tempi che dai contenuti.
Registriamo un’unica buona notizia, non indifferente, peraltro: già nel 2010 era diminuito l’arretrato civile; nel 2011 si è registrata un’ulteriore flessione del 2,4%, tanto che le cause pendenti scendono da 5.561.383 a 5.429.148.
Nel 2011, la crisi economica si fa sentire anche nelle aule di giustizia: le istanze di fallimento sono aumentate, nell’ultimo anno, dell’11,6%, toccando quota 11.608; contemporaneamente, diminuiscono le nuove cause civili dell’8,7%, il che significa che i cittadini, forse scoraggiati (dai tempi e dai costi), ricorrono in misura minore al giudice civile. Ciò potrebbe anche sembrare il frutto della “mediazione civile”, recentemente adottata. Se però si guardano i risultati di quest’ultima, si comprende come il calo del contenzioso civile dipenda solamente dalla minore disponibilità del cittadino a chiedere giustizia, più che dall’introduzione di questa novità.
Nonostante il grido della magistratura, che auspica l’eliminazione dell’istituto della prescrizione (ma come si fa a pensare che un cittadino debba rimanere a tempo indeterminato in attesa di una decisione sulla propria innocenza o sulla propria colpevolezza?!), è confortante il fatto – ed è anche questa, tutto sommato, una buona notizia – che il numero dei processi prescritti sia fortemente diminuito (dai 170.000 del 2010 ai 140.000 del 2011).
Quale il rimedio indispensabile? Sicuramente una migliore distribuzione dei magistrati (e di tutte le risorse umane del pianeta giustizia), con una revisione delle circoscrizioni giudiziarie (perché quattro Corti d’Appello in Sicilia ed una sola nel Veneto, ad esempio? Perché quattro Tribunali in Provincia di Cuneo o di Alessandria, autentiche reminiscenze sabaude, e pressoché uno soltanto in ogni Provincia del Nord-Est?). Ma ostano le recriminazioni delle aree che verrebbero private dei loro uffici giudiziari, forse non a torto, perché, spesso, i piccoli Tribunali funzionano in modo molto più efficiente dei grandi; ovvero, la scarsa disponibilità dei magistrati a coprire sedi apparentemente disagiate, nonostante gli incentivi economici, spesso non infimi.
Discorso a parte merita la situazione carceraria, con oltre 68.000 detenuti a fronte di una capienza standard inferiore ai 50.000 ed a fronte, soprattutto, di carcerazioni preventive in percentuali molto significative, quasi che, a volte, si intendesse far scontare in anticipo le conseguenze di una convinzione di colpevolezza che, magari, il tempo attenua o, addirittura, elimina. Anche qui le risposte non sono semplici: da una significativa depenalizzazione a misure alternative, come la detenzione domiciliare, per reati di piccolo cabotaggio; oppure l’introduzione di ulteriori ipotesi di lavori socialmente utili e di “messa alla prova” dei cittadini.
Nel sistema giustizia restano, però, alcuni nodi insoluti. Ne cito tre:
1) le intercettazioni. Bisogna consentire le indagini e, nel contempo, garantire la privacy. Le intercettazioni costituiscono uno strumento indispensabile per certi tipi di reati, ma di esse si è spesso abusato, con conseguenti costi e diffusione di notizie che dovevano rimanere coperte dalla riservatezza;
2) le testimonianze scritte nelle aule civili potrebbero deflazionare l’assunzione delle prove, soprattutto nei giudizi contumaciali. Si eviterebbero così molti rinvii per indisposizione dei testi o per errori di notifica;
3) la separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti. Ciò non tanto come segno di sfiducia verso la magistratura nel suo complesso, ma per rispetto nei confronti del cittadino, innanzi al quale la giustizia non deve solo essere equilibrata e trasparente, ma tale deve anche apparire.
Speranze di una qualche vera modifica? La speranza è l’ultima a morire, ma si concretizzerà solo attraverso l’apporto unitario di tutte le forze politiche. La giustizia non è di destra o di sinistra, ma costituisce un patrimonio indispensabile di tutte le Nazioni civili, il cui ritardo costa allo Stato italiano un punto di PIL all’anno. Se si riflette su quanto sia ormai ridotta la crescita economica nel nostro Paese, riferita, soprattutto, alla crisi internazionale, meglio pensarci a fondo e cercare tutti assieme soluzioni adeguate. In tempi brevi, però.

Maurizio Paniz
Parlamentare, Componente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati

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