Una guerra “pulita”

Domenico Leggiero

L’uranio impoverito, oltre ad essere un materiale altamente piroforico ed efficace in teatro operativo, presenta anche un altro grande vantaggio: è un materiale di scarto delle centrali nucleari che dovrebbe essere smaltito con costi particolarmente elevati.

Dall’ultimo conflitto mondiale, in particolare dopo l’esplosione delle due bombe atomiche, l’umanità ha recepito il pericolo nucleare. In un primo momento, solo per l’effetto immediato, devastante, che questi ordigni provocavano. Solo dopo qualche anno ha recepito anche il pericolo maggiore degli stessi, più subdolo: la contaminazione si protrae nel tempo e lascia segni indelebili non solo nell’ambiente, ma anche nel DNA degli uomini. È l’effetto radioattivo e tossicologico di radiazioni e particolato nanometrico insieme. Una miscela devastante che, se non controllata, può cambiare la genesi del genere umano. A quel punto, come se esistessero principi ben precisi che rendono una guerra più o meno violenta o cruenta, le grandi potenze decisero di darsi delle regole dopo aver ufficialmente superato il periodo definito di “guerra fredda”. A chi, come me, lo ha vissuto, questo scenario rendeva difficile anche dormire la notte. Il trattato di non proliferazione delle armi nucleari e la distinzione tra guerra convenzionale e non convenzionale hanno condotto la ricerca militare della nuova era bellica a studiare nuove armi classificabili come convenzionali pur determinando l’effetto di sistemi bellici nucleari, biologici e chimici. L’uranio impoverito, oltre ad essere un materiale altamente piroforico ed efficace in teatro operativo, presenta anche un altro grande vantaggio: è un materiale di scarto delle centrali nucleari e dovrebbe essere smaltito con costi particolarmente elevati. Quale occasione migliore per chi dispone sul proprio territorio di centrali nucleari e manovra uomini armati per il mondo (lontano dal proprio territorio) a guerreggiare ora con questo, ora con quell’altro per “seminare” pace con fucili e bombe? Era il 1978 quando, nel poligono militare di Haglin, USA, venne sperimentato il primo proiettile all’uranio impoverito.
“…l’effetto radioattivo, seppure forte, è secondario rispetto alla grande quantità di materiale polverizzato che resta in sospensione per molto, troppo tempo e non se ne conoscono gli effetti che potrebbero essere molto negativi per l’uomo…..” – recita il rapporto conclusivo. Da quel momento, non saranno mai più esplosi proiettili all’uranio negli Stati Uniti! Successivamente, giunse “finalmente” una guerra nella quale divenne possibile sperimentare in concreto l’effetto dell’uranio impoverito sulla popolazione. Era il 1990 ed il teatro fu quello del Golfo Persico.

L’obiettivo era il cattivo Saddam, che aveva invaso il Kuwait. La quantità di soldati e civili impiegati poteva risultare idonea per uno studio credibile sull’effetto dell’uranio. A quel primo intervento di pacificazione parteciparono anche gli Italiani, solo con velivoli, distanti dal campo di battaglia, lontani dagli effetti delle bombe sul terreno. Solo poco tempo dopo si iniziò a parlare di Sindrome del Golfo. I militari cominciarono ad ammalarsi ed a morire, i figli dei reduci a nascere con spina bifida, sordi, deformi. Si studiarono e si esaminarono anche gli effetti sulla popolazione irachena: migliaia di bambini nati malformati, embrioni a due teste, crani enormi, deformazioni da sperimentazione nazista o diabolica (foto e documenti sono disponibili sul sito www.osservatoriomilitare.it). Nel 1994, un video realizzato dal Pentagono venne diramato a tutti gli Stati membri della NATO. Il video informava degli effetti dell’uranio ed indicava forme di tutela e sicurezza da adottare nel corso delle operazioni su obiettivi o territori sui quali era esploso questo materiale. Veniva comunicata la creazione di due uffici, con relativi recapiti telefonici, presso i quali tutti, proprio tutti, potevano chiamare ed informarsi. L’anno successivo, la tensione nei Balcani salì. La Serbia andava domata ed i confini dovevano essere ristabiliti. Non esisteva più la cortina di ferro, nessuno poteva reagire e, con la scusa di confini storici da ristabilire, ci si poteva allungare un po’ di più su frontiere invalicabili solo fino a pochi anni prima. Dopo oltre mezzo secolo, l’Europa offrì nuovamente il suo territorio alla guerra. Densità abitativa altissima, guerra senza regole, carri armati “cattivi” in gran numero, velivoli militari posizionati in zone ben determinate… quale occasione migliore per testare l’uranio in condizioni simili ai futuri e possibili scenari di guerra europei? Sul territorio balcanico si abbatterono 300 tonnellate di uranio impoverito. I militari sapevano, gli Stati membri della NATO erano stati informati del pericolo e della necessità di operare con equipaggiamento specifico. Perché, allora, gli eserciti che parteciparono a quelle operazioni non furono equipaggiati per proteggersi, per evitare contaminazioni che avrebbero prodotto morte, malformazioni, sofferenze e tragedie tuttora presenti? Non si poteva. Non era possibile “vestire” i militari che operavano tra la popolazione civile in modo diverso.

Qualcuno si sarebbe chiesto il motivo per cui i militari, a differenza dei civili, si proteggevano, come si proteggevano e, soprattutto, da cosa dovevano proteggersi. No. Troppi dubbi, troppe possibili e pericolose domande potevano nascere tra i civili di tutti gli Stati dell’Unione Europea che partecipavano alle operazioni. Alla fine, quell’intervento risultò il miglior esperimento sulle munizioni definite “convenzionali” dai trattati internazionali, ma, di fatto, con un effetto radiologico e chimico tuttora persistente. Si intendeva cambiare la guerra attenuandola in un atto meno violento. Sono invece stati modificati gli ordigni impiegati e gli effetti sull’uomo e sull’ambiente sono mutati di conseguenza. Ad oggi, tra i militari italiani, si contano quasi 3.000 ammalati ed oltre 200 deceduti. In Italia, e solo in Italia, si continua a finanziare una commissione parlamentare d’inchiesta che, contro le decisioni della magistratura, contro ogni forma di scienza e coscienza medica, continua a cercare di discolpare l’uranio arrivando a sostenere che lo zampirone, l’alcool, i vaccini e le sigarette sono le principali e sole cause delle malattie dei militari. Se l’uranio impoverito ha avuto un merito, è stato quello di farci capire fino a che punto può arrivare l’ipocrisia dell’uomo e l’inaffidabilità della politica legate ad interessi internazionali. Oggi paghiamo uno scotto che, per assurdo, è quello più evidente e meno efficace: il vero prezzo di questo crimine contro l’umanità sarà pagato dai nostri figli nei prossimi anni. Per smaltire l’uranio sparso in Europa, nei Balcani, ci vorranno oltre 4 miliardi di anni. Forse, chi ha deciso di utilizzarlo aveva qualche discendenza o qualche profondo legame con la civiltà Maya, la quale considera l’anno in corso l’ultimo della vita dell’uomo. In questo caso, l’esperimento ci poteva anche stare.

Domenico Leggiero
Responsabile del comparto difesa dell’Osservatorio militare
www.osservatoriomilitare.it

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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