L’industria bellica non conosce crisi

Valeria Vilardo

I Paesi caratterizzati da economie in rapida crescita e che ricoprono ruoli chiave, sia nelle rispettive regioni, sia a livello globale, si stanno sviluppando come potenze militari, impegnandosi in programmi di modernizzazione.

Nel 2010, la spesa militare è aumentata dell’1,3% in termini reali, raggiungendo, a livello globale, i 1.630 miliardi di dollari. Questi sono gli allarmanti dati pubblicati dall’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (Stockholm International Peace Research Institute – SIPRI), nel report annuale sugli armamenti bellici pubblicato nel corso del mese di aprile del 2011. La spesa militare è cresciuta maggiormente in Sud America (+5,8%) ed Africa (+5,2%). In Asia ed Oceania, l’incremento è stato dell’1,4%, uno dei tassi più bassi degli ultimi anni, mentre, in Europa, le spese militari sono calate del 2,8%. La relazione annuale del SIPRI, intitolata Yearbook 2011, sottolinea come, nonostante la crisi finanziaria del 2008 e la successiva recessione globale, i produttori e le imprese fornitrici di servizi militari abbiano continuato ad incrementare le vendite di armi: “Mentre gli Stati Uniti guidavano un complessivo aumento delle spese militari nel corso dell’ultimo decennio, la tendenza è stata assecondata da molte potenze regionali emergenti (o ri-emergenti) come Cina, Brasile, India, Russia, Sud Africa e Turchia”. Ciò è in parte motivato dal fatto che i Paesi caratterizzati da economie in rapida crescita e che ricoprono ruoli chiave, sia nelle rispettive regioni, sia a livello globale, si stanno anche sviluppando come potenze militari, impegnandosi in programmi di modernizzazione. “A parte la Turchia, tutti hanno incrementato le proprie spese militari, spesso molto rapidamente. Le ragioni che spingono questi Paesi alla modernizzazione militare ed al conseguente incremento delle spese militari variano. La crescita economica è comunque l’elemento-chiave: in nessun caso, dal 2001, la spesa militare è aumentata più rapidamente del prodotto interno lordo” – evidenzia lo studio del SIPRI. La crescita economica può anche costituire una leva diretta, dato che i salari delle truppe seguono lo stesso andamento degli altri. In alcuni di questi casi, è un conflitto in corso a determinare la spesa militare. Ma quali sono le Nazioni che godono di maggiore stabilità e sicurezza e quelle che si trovano in stato di conflitto? Secondo l’Indice Globale di Pace (Global Peace Index – GPI), che ordina 153 Paesi in base alla loro condizione di pace, le Nazioni che si trovano nella situazione di maggiore stabilità sono Islanda, Nuova Zelanda, Giappone, Danimarca e Repubblica Ceca. L’Italia occupa la 45^ posizione. Agli ultimi posti del GPI si trovano Corea del Nord, Afghanistan, Sudan, Iraq e Somalia. Nel 2010, sono stati 15 i maggiori conflitti armati in corso: Ruanda, Somalia, Sudan, Uganda, Colombia, Perù, USA, Afghanistan, India (Kashmir), Myanmar (Karen), Pakistan, Filippine, Iraq, Israele (Territori) e Turchia (Kurdistan). In India, alla perenne tensione con il Pakistan e nel Kashmir, si è aggiunta la crescente ribellione dei Naxaliti, i maoisti del Bengala Occidentale. In Turchia, la riduzione dell’intensità del conflitto con il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) ha inciso sulla contrazione della spesa militare. La Cina è preoccupata per la schiacciante preponderanza militare americana nella regione, specialmente in relazione al possibile conflitto su Taiwan. A sua volta, l’India si preoccupa della crescente potenza militare cinese, date le dispute confinarie tra i due Paesi e la rivalità per l’influenza sull’Oceano Indiano. Nel frattempo, la Russia guarda all’espansione della NATO come ad una minaccia latente, se non attuale. Anche in assenza di rivalità regionali, la percezione che il potere militare costituisca uno status symbol può diventare un elemento della motivazione a ricorrere agli armamenti, come nel caso di Sud Africa e, in misura sempre maggiore, Turchia. In Sud Africa, il più significativo tra i recenti pacchetti di acquisizione di armamenti è stato giudicato duramente, in quanto avrebbe sottratto fondi destinabili ad alleviare la povertà e promuovere lo sviluppo, oltre ad esser diventato occasione di corruzione. In India, invece, la critica rivolta alla spesa militare dalla società civile è controbilanciata da forti preoccupazioni popolari riguardo al Pakistan. Anche nel caso del Sud America si continua a ricorrere agli armamenti pur in assenza di conflitti o guerre in corso. “Questo continuo incremento nell’America del Sud è sorprendente se si considera l’assenza di reali controversie militari in molti Paesi [della regione] e la presenza di ben più urgenti necessità sociali” – sostiene Carina Solmirano, l’esperta del Progetto di Spesa Militare del SIPRI in America Latina. “Alcune delle ragioni di questa crescita si trovano nella forte crescita economica della regione negli anni recenti, mentre, in altre regioni, la recessione economica globale ha causato una caduta o una crescita minore delle spese militari nel 2010” – ha dichiarato l’esperta in un comunicato stampa del SIPRI. Nel periodo 2006 – 2010, il volume dei trasferimenti internazionali di armamenti convenzionali maggiori è risultato superiore del 24% rispetto al periodo 2001 – 2005, confermando la tendenza alla crescita. Stati Uniti e Russia sono stati i principali esportatori di armamenti maggiori nel periodo 2006 – 2010, trattando il 53% del volume totale delle esportazioni. I Paesi asiatici sono risultati i maggiori destinatari di questo flusso. La maggiore regione di destinazione, nel periodo 2006 – 2010, è stata l’Asia-Oceania, importatrice del 43% degli armamenti convenzionali maggiori. Seguono Europa e Medio Oriente, rispettivamente con il 21% ed il 17%. Fra gli Stati importatori di armi, l’India si colloca al primo posto nel periodo 2006 – 2010, relegando la Cina in seconda posizione. Altri casi significativi sono Corea del Sud (6%), Pakistan (5%) e Grecia (4%). L’India ha ricevuto il 9% del volume totale dei trasferimenti bellici internazionali, armi vendute per l’82% dalla Russia. “Le importazioni indiane delle maggiori armi convenzionali è guidata da una serie di fattori. Il fattore maggiormente citato riguarda le rivalità con il Pakistan e la Cina, insieme alle sfide di sicurezza interna” – ha affermato Siemon Wezeman, del Programma di Trasferimenti d’Armi (Arms Transfers Programme) del SIPRI. Ma chi sono i colossi che producono armamenti da guerra? Risponde esaustivamente a questa domanda il SIPRI Top 100, la classifica delle cento maggiori imprese produttrici di armi del mondo, esclusa la Cina per mancanza di dati ufficiali. Tra le 10 maggiori imprese produttrici di armi nel 2009 figurano varie industrie americane (Lockheed Martin, Boeing, Northrop Grumman), inglesi (BAE Systems) ed italiane (Finmeccanica). Ecco la classifica stilata in base alla vendita di armi espressa in migliaia di dollari:

1 Lockheed Martin (USA) 33.430.024
2 BAE Systems (UK) 33.250.070
3 Boeing (USA) 32.301.312
4 Northrop Grumman (USA) 27.001.686
5 General Dynamics (USA) 25.590.394
6 Raytheon (USA) 23.080.976
7 EADS (trans-europea) 15.930.060
8 Finmeccanica (Italia) 13.280.997
9 L-3 Communications (USA) 13.010.901
10 United Technologies (USA) 11.110.417

SIPRI Top 100 (2009) Stockholm International Peace Research Institute

Anche in Italia il settore delle spese militari è cresciuto, nel 2010, con un incremento dell’8,4% ed una spesa addizionale di 3,4 miliardi di euro. Il conto generale sale a quota 20.556,9 milioni di euro, corrispondente all’1,283% del Pil. Questo dato colloca l’Italia all’ottavo posto al mondo per spese militari, come evidenzia la classifica del SIPRI. Ringrazia l’industria bellica nazionale, che anche negli ultimi anni di crisi globale ha presentato saldi in decisa crescita. Ad esempio, nel 2009, quando l’economia ha iniziato a segnare il passo, il settore della produzione bellica ha registrato un fatturato record di 3,7 miliardi, superando quasi la Russia nella corsa agli armamenti (FIN/2012).

Il caso Finmeccanica

Finmeccanica è il colosso della difesa italiano, con 18 miliardi di fatturato e 77.000 dipendenti. Finmeccanica significa armi e spazio, aerei, elicotteri, radar, turbine e treni. È un pezzo decisivo del sistema Italia. Basta entrare nel sito web della holding, nella sezione ‘sistemi di difesa/prodotti’ per conoscere la varietà di armamenti bellici prodotti. Siluri (“standard NATO” e BLACK SHARK), sistemi di contromisure antisiluro, missili (ASPIDE 2000 ed ASTER 30), veicoli corazzati e munizioni di vario genere. Nel sito ufficiale si legge che la holding è attiva nella progettazione, nello sviluppo e nella produzione di sistemi missilistici, siluri, artiglieria navale e veicoli corazzati. Viene inoltre dichiarato che “Finmeccanica opera nel settore sia con la joint venture MBDA (BAE Systems 37,5%, EADS 37,5% e Finmeccanica 25%), prima azienda europea nel campo dei sistemi missilistici, sia con le società direttamente controllate Oto Melara, che produce mezzi corazzati ed artiglieria terrestre e navale, e WASS, leader mondiale nei siluri”. Se la holding italiana delle armi è controllata (per legge) al 30% dal Ministero del Tesoro, che ne sceglie i massimi vertici, l’automatico corollario è che circa il 70% delle azioni è invece disponibile sul mercato, a favore di soggetti di natura non pubblica. Tra di essi ci sono anche i privati (circa il 23% del pacchetto azionario), ma lo zoccolo duro – il 47% restante delle azioni – è composto dai cosiddetti investitori “istituzionali” (fondi, banche, operatori di borsa), solo per il 12,7% italiani. Il 2010 è stato l’anno della crisi globale ed ha visto un forte rallentamento delle spese militari complessive (addirittura diminuite in Europa). Finmeccanica, invece, continua a crescere, come evidenziato dal portafoglio ordini (+6% nell’anno, +8% complessivamente). Già oggi sono garantiti all’azienda due anni e mezzo di produzione. Chi traina questa crescita costante? Soprattutto i comparti legati alla difesa, come l’elicotteristica (+86%) e lo spazio (+67%). È proprio qui che il meccanismo “virtuoso” degli utili originati alla fonte da commesse pubbliche – che derivano da scelte politiche e non incontrano pericoli di natura commerciale – esplica maggiormente il proprio potenziale. L’inchiesta televisiva “la Famiglia di Finmeccanica”, presentata da Paolo Mondani nella puntata di Report del 21 Novembre 2010, ha riportato con esaustività le maggiori controversie riguardanti la produzione di armi in Italia e gli sviluppi delle recenti vicende legali che hanno colpito Finmeccanica. L’8 luglio 2010 Lorenzo Cola è stato infatti arrestato dalla Procura di Roma con l’accusa di riciclaggio. Era il consulente economico di Pierfrancesco Guarguaglini (presidente ed ad di Finmeccanica) e di sua moglie Marina Grossi, (ad di Selex). Lorenzo Cola è l’uomo dei misteri. In Finmeccanica curava gli affari americani del gruppo, collegato alla Cia ed ai nostri servizi militari.

*-Stockholm International Peace Research Institute

Valeria Vilardo
Ricercatrice Donna&Media, GMMP 2010, WACC, Giornalista freelance

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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