Percorsi di salute e partecipazione a teatro

“Quello che accade, accade non tanto perché una minoranza vuole che accada quanto piuttosto perché la gran parte dei cittadini ha rinunciato alle sue responsabilità e ha lasciato che accadessero” (A. Gramsci)

E’ complicato descrivere i processi quando sono in atto: ci si domanda se qualcosa sia cambiato e, sebbene si sia certi della risposta affermativa, quel qualcosa che è cambiato non si può nominarlo. Probabilmente, perché è vario e complesso o, ancora meglio, perché è nuovo. La novità non è assoluta, ma accade che elementi già presenti vengano combinati tra loro in maniera creativa. A quel punto, essi sono così differenti dagli elementi originari da essere diventati qualcos’altro, da aver cambiato identità. Le parole chiave che desideriamo porre all’attenzione per capire se e cosa sia cambiato, a distanza di più di trent’anni dal lontano 1978 (l’anno noto come quello della Legge Basaglia) sono soprattutto queste: salute, partecipazione, comunità, cultura. Questi sono anche gli elementi che, combinandosi tra loro, hanno dato vita a quel qualcosa di nuovo e peculiare che appartiene ai lavori in corso della salute mentale attraverso l’incontro con il teatro. Le definizioni possibili che assumiamo come filo conduttore per capire se e cosa sia cambiato in quest’ambito, a partire dalla funzione svolta in questo contesto dal teatro, sono le seguenti:
− la salute è uno stato di completo benessere, fisico, mentale e sociale. L’individuo ed il gruppo devono essere in grado di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni, modificare l’ambiente o adattarvisi (Carta di Ottawa per la promozione della salute, 1986);
− partecipare significa introiettare l’attenzione verso l’altro, che è con noi parte di un gruppo o di una comunità. L’ esser-ci si qualifica, perciò, in relazione all’altro;
− la comunità accomuna i propri membri, se ne prende cura, e per essi genera e mantiene condizioni di salute e benessere sostenibili. In questo caso, la comunità può essere chiamata comunità competente;
− etimologicamente, cultura significa coltivare, “aver cura degli dei”. Secondo il mito greco, la dea Cura forgia l’uomo dall’argilla e Saturno gliene attribuisce l’appartenenza. L’uomo appartiene a Cura attraverso un atto creativo. La cultura è contaminazione di arti. Come dire “I frutti puri impazziscono” ¹
Ripercorrendo gli anni ’70, è possibile ritrovare percorsi teatrali in cui le performance, le rappresentazioni delle storie di vita delle persone invisibili, internate in manicomio, hanno permesso di raccontare a coloro che vivevano al di fuori i desideri e le aspettative dei “reclusi”, e di fornire informazioni sulle difficoltà delle persone che si avvicinavano alla vita. L’arte teatrale, come espressività di emozioni complesse ed integrate nella parola e nel corpo, è diventata, in quegli anni, un volano della rottura psichiatrica e, successivamente, una fiammella per tenere vivo il senso profondo di quel processo di trasformazione civile. La trasformazione delle istituzioni manicomiali fu attivata da cittadini, operatori, studenti, che ne misero a dura prova le gerarchie di potere. Ruppero le barriere murarie dei manicomi ed avviarono la democratizzazione degli spazi delle istituzioni totali, spazi che, in alcune realtà manicomiali, divennero spazi funzionali ad ospitare performance teatrali per avvicinare il mondo dei cosiddetti sani a quello dei malati di mente. La scelta del luogo veniva strategicamente scelta e tenacemente perseguita. Non era semplice adattare le esigenze teatrali agli spazi fisici e mentali del manicomio. Le pareti spesse racchiudevano egregiamente performance gridate e volti espressivi di sofferenza. Allo stesso tempo, vincolavano ai racconti della malattia e del dolore, della medicina e della psichiatria. Era però fondamentale raccontare ed innescare processi di salute a partire dai contesti in cui si custodiva la malattia. Qui si inserisce il filone drammaturgico di Giuliano Scabia, che entra all’interno dei contesti produttori di disagio per innescare processi partecipativi e di cambiamento. “Fuori dal deserto in cui il teatro sta morendo esistono spazi della società ove è possibile reinventare il teatro, ossia reinventare la cultura”² . Anche Horacio Czertok, fondatore di Teatro Nucleo, irrompe nell’istituzione attraverso l’animazione teatrale: con il convegno “La scopa meravigliante”, 1977, la cittadinanza varca la cortina dell’Ospedale Psichiatrico. In quel periodo, si intuisce l’importanza di elaborare una cultura della salute attraverso il teatro e con la cittadinanza. Il passo successivo è rappresentato dal movimento centrifugo verso la decontestualizzazione: dalla salute mentale al territorio. Nel seminario organizzato nel 2007 a Bologna, intitolato “Cultura teatrale, salute mentale e cittadinanza in scena”, si sono riuniti operatori culturali, operatori della salute, critici teatrali, psichiatri, attori, utenti dei servizi di salute mentale e registi, per riflettere sulle prassi sino a quel momento adottate in maniera autonoma da diverse compagnie e laboratori teatrali nati nei Dipartimenti di salute mentale della Regione Emilia Romagna. Il seminario ha rappresentato un momento importante di connessione fra il mondo della salute e quello dell’arte ed ha sancito l’importanza di un lavoro integrato fra i due mondi che si sono fatti portatori di esigenze ed obiettivi comuni e condivisi. Oggi, il teatro, grazie anche al loro lavoro congiunto, è diventato uno strumento adatto a:
1. realizzare salute e partecipazione;
2. produrre beni relazionali e capitale sociale;
3. alimentare cultura e creatività.
Lo dimostrano ampiamente le diverse esperienze generate e promosse dal progetto regionale “Teatro e Salute Mentale” descritte e raccolte nel sito www.teatralmente.it e, a breve, in un libro in corso di stampa dal titolo “Il Teatro illimitato: progetti di cultura e salute mentale”. I luoghi dove oggi si fa teatro sono gli spazi pubblici, i teatri stabili. Attraverso le compagnie teatrali promosse per facilitare i percorsi riabilitativi ed abilitativi, il teatro si è aperto alla comunità. Si interroga criticamente sulla propria valenza sociale, su come possa incidere sul benessere della società e, al tempo stesso, sul proprio stallo creativo. Si pone nella condizione di promuovere salute nel momento in cui riconosce il proprio bisogno di includere la differenza a sé, di accogliere l’alterità artistica ed umana. Partecipa, inoltre, alla costruzione della cultura della comunità, aiutandola a tematizzare alcune questioni cruciali per creare concretamente contesti sociali competenti:
1) “Ci vuole tempo per creare un gruppo, quello per imparare insieme il significato di una drammaturgia e le tecniche che ci aiutano a stare insieme e a muoverci, avendo conosciuto le infinite qualità della voce e del gesto” 3. Allo stesso modo, ci vuole tempo per sentire di appartenere all’altro e per scommettere con l’altro sulla reciprocità dell’agire sociale e ci vuole tempo e fiducia per investire e scommettere su noi stessi;
2) il teatro, così come ogni altra istituzione educativa e sociale, non è per se stesso uno strumento valido sul quale puntare a prescindere dagli aspetti etici ed ontologici. Il teatro ha modificato i paradigmi istituzionali della psichiatria perché ha creduto in alcuni specifici valori. Fra questi, quello della dignità umana e dei diritti di cittadinanza. Oggi, il teatro delle compagnie della salute sta finalmente stanando la malattia nei e dai luoghi deputati alla sua cura, muovendo da “dentro” (dal latino ex-muovere, la stessa etimologia di emozionare) verso la comunità. L’auspicio è che si faccia sempre più teatro che non sia terapia, né educazione, né didattica, ma che sia, in primo luogo, se stesso e che promuova salute accanto a terapie ed interventi psicoeducativi senza confondersi con essi. Il teatro, infatti, “è un veicolo di grandi passioni: vi si mettono in gioco sentimenti profondi, si chiede molto a se stessi, e si scava dentro di sé, nel proprio vissuto personale, per cercare le emozioni dei personaggi. Il teatro è fatto di relazioni, di capacità di aprirsi, di oggettivarsi in altro da sé. Ma il teatro, di per sé, non è terapeutico, è solo un arte!”4 Per continuare a forgiarsi del titolo di competente, la comunità deve oggi andare a scuola da coloro (operatori e pazienti) che ha “liberato” dai vincoli delle istituzioni totali. Deve imparare a fare i conti con quelle emozioni così difficilmente gestibili nella quotidianità ed apprendere il valore delle relazioni e dell’agire collettivo, così utile per non rinunciare alle responsabilità, impedendo, così, alle cose, di accadere per negligenza ed incuria sociale. Tornando, infine, alla dialettica salute/malattia, possiamo affermare che, attraverso il teatro, si è operata una grande trasformazione: senza negare la malattia e la sofferenza, il teatro ha permesso ad un numeroso gruppo di persone sofferenti di un disturbo psichiatrico di operare il passaggio:
• dall’essere cronici all’essere produttori di salute per la comunità;
• dall’essere persi e con-fusi nelle proprie emozioni al saperle portare in scena;
• dall’essere improduttivi e peso per la società all’essere persone che pagano le tasse come attori professionisti o che soffrono come altri della carenza di occasioni di lavoro retribuito. Non da ultimo, quel qualcosa che è cambiato è ora narrabile, visibile e fruibile da tutti noi, operatori in primis, commossi e stupiti ad assistere ed applaudire spettacoli che fanno crescere ed emozionare, rendendo questo cambiamento inarrestabile e, soprattutto, resistente alle involuzioni. E tutto questo si può narrare e rendere visibile senza utilizzare il linguaggio della psichiatria. Questo qualcosa, è cambiato.

1 J. Clifford, 1999, Bollati Boringhieri.
2 G. Scabia, 1974, Il gorilla Quadrumàno, Feltrinelli.
3 Horacio Czertok, in Il Teatro illimitato in corso di stampa, editore Negretto, 2012
4 N.Garella, 2000, Un’idea antica, in I teatri della salute, a cura di Gabriella Gallo, Filippo Renda, Bologna, Minerva Edizioni, p. 20.

Ivonne Donegani
Psichiatra-dirigente AUSL, DSM-DP
Maria Francesca Valli
Psicologa ed educatrice, Bologna
Cinzia Migani
Presidente @uxilia Onlus Emilia Romagna

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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