È tutto un equilibrio sopra la follia

«D’amore non esistono peccati, s’infuriava un poeta ai tardi anni, esistono soltanto
peccati contro l’amore.» E questi no, non li perdoneranno.
(V. Sereni, Gli strumenti umani)

Prendiamo Sally (da “Nessun pericolo… per te”, 1996) ad esempio. Poche volte si riesce ad essere così vicini al sentire profondo, all’intuizione che la solitudine porta l’individuo a separarsi da sé, a vedersi raddoppiato nel mondo che lo circonda, con quell’inclinazione che le cose possono assumere finendo con l’appartenerci. C’è in lei questa consapevolezza amletica, che la vita sia un camminare in equilibrio sopra la follia, che il metodo della follia non sia illogico, come la ragione pretende, ma obbedisca ad una logica che rende il nostro pensiero, come nel sogno, disposto alla simmetria. La logica asimmetrica, che legge la realtà nelle differenze del mondo, rifiuta quello che, altrimenti, sarebbe il principio della bellezza e dell’armonia. E, se ne incontra la presenza, la costringe alla propria sottile argomentazione che ci persuade che, solo nell’ordine, nell’equilibrio e nella misura, si possa trovare la conciliazione di ogni differenza. Sally cammina da sola, mentre scende la sera, in un piano ripresa che certi film rappresentano benissimo quando intendono dimostrare l’evidenza del distacco fra il protagonista ed il mondo circostante. Diciamo una sorta di sunset boulevard che diviene più vero se lo vediamo risalire dai nostri pensieri – una sorta di rêverie en plein air – una specie di ricordo lontano che torna ad interrogare ciò che sappiamo di noi. E cosa succede? Se il mondo è quanto sappiamo e conosciamo, allora è più di questo, e questo sconcerta, stanca, la guerra è difficile e lunga – e Sally è già stata punita. Fuori piove, dice qualcuno, ed è un bel rumore. La melodia del mondo non è sempre trascinante, e a volte il rumore sovrasta fino a rendere inutili le parole.

La vita era più facile, un tempo, quando si potevano mangiare le fragole. E poi, la vita è un brivido che vola via, e l’acrobata solitaria lo sa bene. Ciò che bisogna imparare è non perdere mai di vista il filo, perché è su quell’esile frontiera che bisogna camminare, mentre cresce il labirinto e l’età dell’innocenza si allontana. Sembra quasi nemmeno più appartenere, come una nostalgia da provare ad immaginare, ma che non si è mai vissuta. Amleto non ha infanzia, nel dramma nessuno ne rammenta qualcosa. Egli stesso non ricorre mai alla compensazione del ricordo per costringere l’angoscia ad assopirsi. Per Sally, “fragole” è la parola-talismano (una citazione sottotraccia di Strawberryes fields forever di Lennon?) oppure, più semplicemente, un simbolo assolutamente puro e buono che si mantiene tale proprio in un presente dove mangiarne non è più facile? Le fragole e la pioggia sono i due estremi che tengono teso il filo su cui cammina: intorno c’è solo il vuoto, poco più in là si potrebbe solo cadere. Sally lo sa, è già caduta altre volte, ne porta le cicatrici a memoria. La pioggia, simbolo di rigenerazione e riconciliazione, è l’unica cosa che nel rumore circostante sembra avere senso. Sembra essere l’unica cosa bella perché appartiene ad una memoria del sentimento e del corpo. E’ ciò che riesce a tenere insieme la scissione e ci rende in-dividui, esseri unici. Quella di Sally è una storia di durezze ed errori, di strade sbagliate, di tutto quello che, messo assieme, dà come totale solo una parola: “follia”. Ed è davvero sorprendente come questo racconto, questa “storia semplice”, nel suo svolgimento, dimostri la nostra fatale complessità, quella fragilità che solo certi minerali preziosi, apparentemente indistruttibili, celano nella loro bellezza perfetta. Con questo “punto di rottura” è necessario fare i conti, perché è quello il momento in cui tutto può perdersi e perderci. La modernità quotidiana, fatta di luci di lampioni e televisori accesi nelle case, rende perfettamente l’idea di una vita “normale”, anonima, uguale per tutti, con riti prefissati prima che le luci si spengano. Ma, in questo scendere malinconico della sera, alla fine, insorge un pensiero, quel pensiero che può salvare tutto: forse non si è vissuto invano, forse qualcosa resta e non ci sono soltanto errori da ricordare.

Con sorprendente audacia, la storia di Sally non si avvia verso il congedo, ma verso un nuovo inizio, qualcosa che appare ancora misterioso ed enigmatico come tutto è per chi ancora deve vivere. Ma tanto basta. La fragilità, ritenuta il contrario della forza, possiede invece ragioni sufficienti per sopravvivere, se solo si possiede quella necessaria speranza del rimettere tutto in gioco, per provare nuovamente a farcela, contro tutto e contro tutti. A volte, la follia è la difesa contro la crudeltà del mondo, oppure ne è conseguenza. Testimonia dell’insorgere dei dèmoni che ci portiamo dentro, in quella lotta senza quartiere descritta nel mito freudiano del super-io che lotta contro l’Es sul campo di battaglia dell’io, cioè in quello che siamo, anche qui costretti a camminare sul filo teso fra due contendenti che non si danno quartiere. Probabilmente, le canzoni non salvano il mondo perché, spesso, il mondo vive al di sotto della possibilità di cambiamento che esiste nelle parole. E, forse, perché le parole di una canzone vivono nel pregiudizio che siano scritte per mero intrattenimento. Certo, esse non sono poesia, ma condividono della poesia destinatari e forza propositiva. Poesia e canzone si pongono entrambe come lotta alla rinuncia, temono l’acquiescenza ed il silenzio, convogliano energie propulsive in pensiero, sensibilità, capacità di accettazione dell’emotività come segno positivo e non come errore. Francamente, risulta difficile non riconoscere che esistono brutte poesie e belle canzoni. Sally è certamente una di queste. Le possiamo considerare frammenti di un romanzo popolare e accettarne il valore, a meno che non vi siano pregiudizi nei confronti di ciò che è “popolare”, non sempre sinonimo di dozzinale e facile, di gusto immediato ed effimero. Ci troviamo dinanzi ad una storia ben costruita e centrata intorno ad elementi psicologici descritti senza incertezze, disegnati con mano ferma e sensibilità, da scrittore consumato ed efficace, come spesso è capitato ad un autore come Vasco Rossi (nel bene e nel male).

Francesco Giardinazzo
Professore a contratto di Antropologia dei Processi Comunicativi – Scuola Superiore di Lingue
Moderne per Interpreti e Traduttori – Università di Bologna – Polo di Forli

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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