Chi è il mio prossimo?

La prostituzione non è un fenomeno nuovo. Ciò che è nuovo è che questo commercio globale sfrutta l’estrema povertà e vulnerabilità di molte donne e minorenni immigrate: le schiave del XXI secolo.

Chi è il mio prossimo?
“Un dottore della legge, volendo giustificarsi, disse a Gesù: “E chi è il mio prossimo?”. Gesù riprese: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto (Lc 10:29-37)”.
Alla domanda del dottore della legge, Gesù non fornisce una risposta teologica ed esauriente, ma offre una parabola sconcertante e complessa, chiara e sfidante, che capovolge elementi culturali eliminando pregiudizi, condannando atteggiamenti e stimolando interventi. L’unica attenzione e preoccupazione per Gesù è la Persona, ogni Persona, in qualsiasi situazione si trovi. La “Persona” è il prossimo da amare e soccorrere nel bisogno. Ma sono ancora attuali questa parabola e la risposta di Gesù?
Se Gesù avesse voluto attualizzare questa parabola, forse avrebbe iniziato cosi: “Una giovane donna viaggiava dalla Nigeria verso l’Italia attraverso il deserto del Sahara ed incappò nei trafficanti che la ingannarono, la violentarono e la derubarono di identità, dignità, legalità e libertà, lasciandola mezza morta…” Come avrebbe continuato Gesù il suo racconto? Come avrebbe interpretato e spiegato questa parabola?
Analizzando personaggi, atteggiamenti ed interventi, troviamo una chiara analogia tra ciò che Gesù proponeva ai suoi interlocutori con la parabola del Buon Samaritano e ciò che avviene oggi, in un nuovo contesto, sulle strade delle nostre città. Cambiano i volti, i nomi, le circostanze, ma la realtà di violenza sulla donna debole ed indifesa non cambia.

L’insegnamento della Chiesa
Benedetto XVI, nel suo discorso di benvenuto all’aeroporto di Yaoundè, Camerun, il 17 Marzo 2009, così si esprimeva: “In un Continente che, nel passato, ha visto tanti suoi abitanti crudelmente rapiti e portati oltremare a lavorare come schiavi, il traffico di esseri umani, specialmente di inermi donne e bambini, è diventato una moderna forma di schiavitù.
In un tempo di globale scarsità di cibo, di scompiglio finanziario, di modelli disturbati di cambiamenti climatici, l’Africa soffre sproporzionatamente: un numero crescente di suoi abitanti finisce preda della fame, della povertà, della malattia. Essi implorano a gran voce riconciliazione, giustizia e pace, e questo è proprio ciò che la Chiesa offre loro. Non nuove forme di oppressione, economica o politica, ma la libertà gloriosa dei figli di Dio” (cfr Rm 8,21).

La situazione della donna oggi
Il volto della povertà, dell’emarginazione, della discriminazione e dello sfruttamento è oggi assunto dalle donne. Esse rappresentano l’80% di quanti vivono in condizione di povertà assoluta e circa i due terzi degli 850 milioni di analfabeti presenti nel mondo. Più della metà delle persone colpite dal virus dell’AIDS sono donne di età compresa tra i 15 ed i 24 anni. La maggior parte vive nei Paesi in via di sviluppo. È la donna che in molti Paesi deve pensare al sostentamento della famiglia. È la donna che soffre a causa della carestia e della scarsità d’acqua, delle guerre e delle lotte tribali. È la donna che soffre per la mancanza di medicine e per il contagio dell’AIDS. È la donna che non può frequentare la scuola ed è esclusa da compiti di responsabilità. È lei spesso costretta a lasciare la sua Patria per cercare altrove sicurezza e benessere, per sé e per la famiglia. È ancora la donna che subisce atti di violenza, per la maggior parte sessuali. Ed è ancora lei spesso costretta a vendere il suo corpo (l’unica risorsa posseduta!) perché sia usato come oggetto di piacere e fonte di guadagno per altri. Ma la povertà più umiliante per una donna è quella di essere venduta e comprata. La prostituzione non è un fenomeno nuovo. Ciò che è nuovo è che questo commercio globale sfrutta l’estrema povertà e vulnerabilità di molte donne e minorenni immigrate: le schiave del XXI secolo. Ingannate, schiavizzate e gettate sui nostri marciapiedi o in locali notturni, “le prostitute” sono l’ennesimo esempio dell’ingiusta discriminazione imposta alle donne dalla nostra società del consumismo. Nessuno di noi è esente da responsabilità.

La “tratta” delle schiave: donne e minori in vendita
All’inizio degli anni ‘80, come conseguenza delle continue difficoltà economiche dei Paesi in via di sviluppo, migliaia di donne emigrarono in Europa in cerca di lavoro e di una migliore qualità di vita. Molte di queste donne, clandestine, povere e vulnerabili, divennero preda di organizzazioni criminali, internazionali e transnazionali, connesse con l’industria del sesso. L’Italia non fu estranea a tale fenomeno, anzi: divenne Paese di “transito” e di “destinazione” per migliaia di giovani donne comprate e vendute come merce. È difficile quantificare quante siano le donne ridotte in stato di schiavitù. Secondo l’ultimo report di “Save the Children”, emanato il 22 Agosto 2008, sono circa 2,7 milioni le vittime della tratta di esseri umani. L’80% circa è costituito da donne e bambini. Un affare che, secondo le Nazioni Unite, smuove 32 miliardi di dollari l’anno. In un altro report dell’ONU si parla di 4 milioni di donne trafficate da una Nazione all’altra, oppure spostate all’interno della stessa. Solo in Europa, secondo l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, circolano o transitano ogni anno, per lo stesso motivo, 500.000 donne e minori. Anche l’Italia ha la sua percentuale di vittime. Attualmente, si considera che siano 50-70.000 le donne, provenienti dall’Africa Orientale, dall’America Latina e dall’Europa dell’Est, che vivono e lavorano sulle nostre strade o nei locali notturni. Di queste, il 30-40% sono minori, con un’età compresa tra i 14 ed i 18 anni. Poiché si trovano in Italia senza documenti, sottratti dagli sfruttatori, e quindi in stato di clandestinità, risulta difficile ottenere statistiche precise sul loro numero. La maggior parte di queste donne, ridotte in stato di schiavitù ad uso e consumo di milioni di clienti italiani, per il 90% Cattolici, proviene da Paesi precedentemente evangelizzati dai missionari. Tra queste popolazioni, essi hanno condiviso fatiche e sofferenze per comunicare la fede cristiana, annuncio di speranza e libertà, dignità e giustizia, solidarietà ed emancipazione. Grossa sfida, questa, per la società e per la Chiesa. Per le ragazze dell’Est, il contatto e la gestione avviene quasi sempre tramite finti fidanzati, i quali le assoggettano affettivamente. Per le Nigeriane, invece, la gestione pratica delle vittime è affidata alle maman, connazionali innalzatesi da sfruttate a sfruttatrici. Costoro le addestrano al lavoro di strada, le controllano, assegnano il pezzo di marciapiede, raccolgono i proventi, le puniscono in caso di ribellione e, soprattutto, le assoggettano con cerimonie voodoo – riti di magia nera – che esercitano su di esse una vera e propria violenza psicologica. Attualmente, nel mercato del sesso, vi è molta competitività, a causa di una grande richiesta. Per una prestazione consumata in macchina, le Africane chiedono un compenso di € 10-15, le ragazze dell’Est non meno di 25. Per saldare il debito, di 50, 60, 70.000 euro contratto, a sua insaputa, con i nuovi negrieri, la ragazza africana deve sottoporsi a non meno di 4.000 prestazioni. Oltre al debito iniziale, essa deve pagare le spese mensili: € 100 per il vitto, 250 per l’alloggio, 250 per la postazione di lavoro, oltre a vestiario, trasporto e necessità personali.

Catena e schiavitù
Simbolo di ogni schiavitù è e rimane sempre la catena: strumento che toglie alla persona libertà di azione per sottometterla al volere di un’altra. E come la catena è formata da molti anelli, così è la catena di queste schiave del XXI secolo. Gli anelli hanno dei nomi e sono quelli delle vittime e della loro povertà, degli sfruttatori e dei loro ingenti guadagni, dei clienti e delle loro frustrazioni, della società e della sua opulenza e della sua carenza di valori, dei governi e dei loro sistemi di corruzione e connivenze, della Chiesa e di ogni Cristiano, con il nostro silenzio e l’indifferenza. L’organizzazione di stampo mafioso prende contatto con queste vittime nel Paese d’origine. Le famiglie sono povere e numerose ed i giovani vivono senza speranza. Sfruttando la situazione economico-sociale, i nuovi schiavisti ingannano queste donne e le loro famiglie promettendo un lavoro redditizio. Poi, come avviene per tutte le vittime di organizzazioni criminali, le donne sono introdotte in Italia clandestinamente in vari modi, grazie anche alla corruzione ed alla complicità di dipendenti e funzionari di ambasciate, uffici immigrazione, aeroporti, agenzie di viaggio, proprietari di appartamenti, alberghi e tassisti. I guadagni sono ingenti, il rischio è limitato e la malavita prospera distruggendo l’esistenza di queste vittime. Giunte in Italia dopo settimane o mesi di viaggio, in aereo, in nave, in treno o, di recente attuazione, a piedi attraverso il deserto del Sahara – per le Nigeriane – queste donne sono immediatamente private dei documenti – peraltro quasi sempre falsi o riciclati – perdendo così nome, identità e libertà. Non sanno più chi sono. Molte donne rimangono incinte durante questi lunghi viaggi, giacché tutti le possono “usare”. Sono quindi molti anche i bambini che nascono durante la traversata del deserto. Per questo motivo, non possono avere un certificato di nascita.

I rischi della strada
Giunte in Italia, oltre a vivere in piena sottomissione nei confronti dei trafficanti e delle maman, e nella più assoluta clandestinità, queste donne sperimentano tutti i rischi della strada, quali maltrattamenti ed abusi, incidenti stradali ed omicidi. Sono centinaia le ragazze che ogni anno subiscono il loro martirio sulle nostre strade da parte di clienti, maniaci o degli stessi trafficanti per un regolamento di conti¹. E chi può contare il numero di tante giovani morte durante i faticosi viaggi, via terra o via mare? Il deserto ed il mare sono diventati i nuovi cimiteri di tante vittime di questa schiavitù².
C’è poi il rischio di contagio dell’AIDS – il 10-15% risulta sieropositiva – e quello delle gravidanze indesiderate, con conseguenti aborti. Normalmente, le ragazze dell’Est subiscono una media di tre-quattro aborti ciascuna, mentre, per un’Africana, la quale considera la maternità il valore più grande, l’aborto non è solo l’interruzione di una vita nascente, bensì l’uccisione di una cultura. Molti sono pure i casi di coloro che soffrono per disturbi mentali, ossessionate dai riti voodoo e dalle continue minacce di ritorsioni perpetrate sulle famiglie lontane.

Le vittime: oggetti o persone?
Sulla strada, la “prostituta” perde completamente la sua identità psicofisica, la sua dignità personale, la sua libertà di scelta. Vive l’esperienza di essere solo un oggetto, una merce. Deve convivere con la sua clandestinità e subire il disprezzo ed il rifiuto sociale e culturale. Le rimane una sola opzione: quella di farsi pagare per una prestazione sessuale, anche se nulla, o quasi, le rimane di questo guadagno. Lo sfruttamento sessuale abbrutisce la persona, la svuota dei suoi valori profondi e distrugge il suo stesso essere donna, la sua femminilità, la sua autostima, il suo concetto di amore e donazione, la sua bellezza interiore, i suoi sogni per un avvenire sereno. Sovente, sulla strada, la persona assume un atteggiamento di autodifesa che si esprime con il chiasso, la volgarità, la violenza e l’aggressività. Vive la realtà di tante contraddizioni: si sente cercata ed ambita dai “clienti” e parimenti giudicata, condannata e rifiutata dalla società del benessere e del consumo. Vive la solitudine e l’isolamento e porta in sé un grande senso di colpa e di vergogna. Aiutare queste persone a ricostruirsi un futuro e riacquistare l’equilibrio e l’armonia è un’impresa delicata ed assai difficile.

¹ Si parla di 200 giovani trovate uccise o sparite nel nulla negli anni 2003-2005.
² Una giovane mamma ha raccontato che, durante la traversata del mare tra il Marocco e la Spagna, la loro imbarcazione con 52 persone si è capovolta e solo tre donne si sono salvate perché scaraventate su uno scoglio dai flutti dell’acqua.

Suor Eugenia Bonetti mc
Responsabile Ufficio Tratta Donne e Minori USMI Nazionale

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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