Essere elettori

Se la conquista di allora era il voto alle donne, quella di oggi è capire cosa significhino le parole cittadinanza e voto per gli stranieri che hanno trovato in Italia una nuova vita.

Ai padri costituenti sembrò del tutto pacifico legare il voto al possesso della cittadinanza. “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età”, recita l’articolo 48 della Costituzione. Forse, le storie di Axenia Raulet, Miao Miao Huang e Rafael Kola, ragazzi nati da genitori stranieri, arrivati in Italia giovanissimi e cresciuti nel nostro Paese, avrebbero potuto anche immaginarsele. Ma intuire l’entità del fenomeno che costoro oggi rappresentano avrebbe richiesto una capacità di immaginare il futuro davvero sorprendente. Se la conquista di allora era il voto alle donne, quella di oggi è capire cosa significhino le parole cittadinanza e voto per gli stranieri che hanno trovato in Italia una nuova vita. Parliamo di oltre 4,2 milioni di persone, secondo i dati raccolti dall’Istat al 1 gennaio 2010. Il 7% della popolazione. Ma, soprattutto, 932.675 minori, figli di immigrati, di cui 573.000 nati in Italia.

Ragazzi in bilico tra due culture, quella dei genitori e quella di una Nazione in cui sono giunti da piccoli o vi sono proprio nati. “Mi sento troppo Cinese quando sto con gli amici italiani e troppo Italiana quando sto con i gli amici cinesi – dichiara la diciannovenne Huang Miao Miao, studentessa di Scienze Erboristiche all’Università di Pisa, cercando di spiegare questo sentimento – Vivo in Italia da quando ho 6 anni, ma ho scelto di non prendere la cittadinanza italiana perché il governo cinese non permette la doppia cittadinanza. È come se avessi una sorta di senso di colpa nei confronti delle mie origini: la mia cultura e formazione è quasi del tutto italiana. Quel documento rappresenta la parte cinese di me”. Unica nota dolente, l’impossibilità di votare. “Certo, non poter votare mi dispiace – osserva – soprattutto se penso alle recenti proteste universitarie”. Miao Miao, al pari di Rafael Kola e Axenia Raulet, abita in provincia di Prato, una delle realtà più multietniche d’Italia. Per l’Istat, in questa zona l’incidenza della popolazione straniera su quella residente è del 12,7%. Solo Brescia registra una percentuale più alta, con il 12,9%. Ma non è tutto: a Prato, i nati da genitori immigrati costituiscono il 29,4% del totale delle nascite. La città sarà dunque sempre più crocevia di storie di ragazzi stranieri di seconda generazione, che parlano perfettamente l’Italiano, frequentano scuole italiane e stanno maturando il desiderio di concorrere alle decisioni del Paese in cui vivono. “Sono in Italia da 6 anni e, appena potrò, chiederò la cittadinanza italiana.

Lo farò per i diritti che comporta, non tanto per un particolare sentimento patriottico – spiega Axenia Raulet, 18 anni, studentessa al liceo linguistico e conduttrice di Radiogas – …anche per votare. È soprattutto rispetto ai grandi temi che sento la privazione di non potere esprimere con il voto le mie idee. Dieci anni per avere la cittadinanza sono lunghi”. La legge 91 del 1992 prevede due strade per i figli di immigrati che intendono ottenere la cittadinanza. I nati in Italia, con residenza ininterrotta fino ai 18 anni, possono richiederla entro un anno dal compimento della maggiore età. I figli di immigrati non nati in Italia devono invece seguire lo stesso percorso dei loro genitori: risiedere legalmente per almeno dieci anni nel nostro Paese (quattro per chi proviene da uno Stato della Comunità Europea) e dimostrare che il reddito del nucleo familiare è adeguato, oppure sposarsi con un Italiano. Quanto ai tempi, il termine per la definizione del procedimento è di 730 giorni dalla data di presentazione della domanda di cittadinanza (per il percorso basato sulla residenza). Questa, in breve, la burocrazia. Altra cosa sono le aspirazioni ed i sentimenti di questi ragazzi, che non si cristallizzano in un’unica posizione. Ad esempio, per Axenia, il voto non è una diritto che va di pari passo con il sentirsi Italiana. “Non mi sento né Italiana, né Moldava. E di certo non tradisco la mia personalità cercando a tutti i costi di comportarmi come si pensa debbano comportarsi gli Italiani – spiega – La Moldavia è un po’ come una nonna, rappresenta la tradizione, un bagaglio di valori che conosco senza per questo accettarli sempre. L’Italia è come un’amica con cui confrontarsi, stare bene insieme, ma che puoi sempre lasciare”.

Diversa è invece la posizione di Rafael Kola, 19 anni, che studia per diventare parrucchiere. “I miei genitori hanno già ottenuto la cittadinanza – racconta – Siamo una famiglia italiana. Io mi sento Italiano e spero di avere presto anche il documento che lo riconosca a livello ufficiale”. Nel frattempo, anche Rafael, arrivato nel nostro Paese a 4 anni, non può votare. “Un po’ mi dispiace – dice – Tanto più che siamo una famiglia che lavora molto e ben integrata. A scuola ho un bel rapporto con tutti i miei compagni e non mi sono mai sentito emarginato. In Albania ci torno ogni tanto, ma ho solo qualche conoscente. Sono cresciuto in Italia e anche il mio futuro è qui, dove sogno solo di trovare una casa e un lavoro tranquillo”.

Melania Mannelli
Scienze della Comunicazione Pubblica e Sociale – Università di Bologna

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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