Distrofia muscolare e Telethon

Nello scorso mese di marzo ha preso il via, presso l’Istituto San Raffaele di Milano, il primo studio clinico al mondo finalizzato a testare una terapia a base di particolari cellule staminali su bambini affetti da distrofia muscolare di Duchenne.

La distrofia muscolare è indissolubilmente legata alla storia di Telethon: proprio per iniziativa dell’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare è infatti nata, nel 1990, la prima maratona sulle reti Rai, sul modello di quella ideata da Jerry Lewis nel 1966. Dopo oltre vent’anni di maratone televisive e finanziamenti a favore della ricerca scientifica, il bilancio sui risultati raggiunti e su quelli futuri è più che positivo. Nello scorso mese di marzo ha preso il via, presso l’Istituto San Raffaele di Milano, il primo studio clinico al mondo finalizzato a testare una terapia a base di particolari cellule staminali su bambini affetti da distrofia muscolare di Duchenne. Dovuta all’assenza di una proteina chiamata distrofina, questa malattia genetica conduce, con il tempo, alla degenerazione dei muscoli di gambe e braccia e, successivamente, alla compromissione del cuore e dei muscoli dell’apparato respiratorio. Coordinato da Giulio Cossu, il trial vede la partecipazione di una squadra di oltre 50 persone e prevede l’iniezione nel sangue dei pazienti di cellule staminali prelevate da un fratello sano. La speranza è quella di replicare quanto osservato negli animali distrofici: la colonizzazione dei muscoli scheletrici, con un buon ripristino di forza e capacità contrattile. In attesa dei risultati sui primi tre pazienti trattati, è bene sottolineare che non devono essere attesi miracoli, ma piccoli passi concatenati: in fondo, il primo trapiantato di cuore è sopravvissuto solo 18 giorni, ma oggi il trattamento consente una vita pressoché normale a chi vi si sottopone.

Un’altra strategia terapeutica promettente è l’exon skipping, una tecnica che sfrutta la capacità di piccole molecole di mascherare il difetto genetico responsabile della malattia, permettendo così la produzione di una distrofina più corta, ma ancora capace di funzionare. Si potrebbe così trasformare la forma di Duchenne in quella molto meno grave di Becker, che garantisce un’aspettativa di vita normale (e non di 40 anni al massimo) e la possibilità di camminare anche in età adulta. Nel mondo, sono diversi gli studi clinici che mirano a testare farmaci basati su questo principio, detti “antisenso”. Tra questi, si è recentemente concluso quello finanziato dall’azienda farmaceutica olandese Prosensa, i cui risultati sono in corso di analisi: a coordinare la sezione italiana c’è Alessandra Ferlini, dell’Università di Ferrara, la quale studia parallelamente, grazie a fondi Telethon, come migliorare il trasporto dei farmaci antisenso tramite nanosfere di materiale inerte, visibili solo al microscopio elettronico. Incoraggiati dai risultati in laboratorio, i ricercatori ferraresi proveranno ad ottimizzare la somministrazione per via orale e non intravenosa, come avviene negli studi in corso. Anche Irene Bozzoni, della Sapienza di Roma, è alla ricerca del mezzo di trasporto migliore per l’exon skipping: la sua idea consiste nell’inoculare queste piccole molecole tramite un virus innocuo, che permetta di raggiungere meglio tutti gli organi interessati dalla malattia e ridurre al minimo le somministrazioni. Il Dna terapeutico verrebbe così mantenuto nelle cellule del paziente per anni: la sperimentazione sull’uomo è prevista entro due anni, grazie alla collaborazione della ditta olandese Amt. Sempre a Roma, presso il Consiglio nazionale delle ricerche, Elisabetta Mattei e Claudio Passananti stanno lavorando ad un altro approccio terapeutico, che sfrutta la capacità di una proteina, chiamata utrofina, di fare le veci della distrofina, se presente in quantità adeguate.

I ricercatori Telethon stanno studiando come aumentare la quantità di utrofina nei muscoli distrofici grazie ad un gene sintetico, “Jazz”, che nel modello animale si è dimostrato efficace e privo di effetti tossici: risultati incoraggianti in vista di un trasferimento all’uomo di questa tecnologia, peraltro già brevettata. Qualsiasi sia l’approccio terapeutico, condizione essenziale per partecipare alla sperimentazione clinica è che i muscoli dei pazienti non siano del tutto compromessi dalla malattia. Pierlorenzo Puri, ricercatore dell’Istituto Telethon Dulbecco (Dti) presso la Fondazione Santa Lucia di Roma, sta mettendo a punto una terapia farmacologica capace di stimolare particolari cellule staminali presenti nei muscoli a produrre nuovo tessuto muscolare, contrastando così la progressione della malattia. All’Università di Milano, invece, Emilio Clementi sta provando a migliorare la performance dei muscoli distrofici tramite farmaci antinfiammatori dimostratisi efficaci grazie alla loro capacità di rilasciare una particolare sostanza chimica, il nitrossido. Pur non curando la malattia, si potrebbe rallentarne il decorso ed aumentare così la probabilità di successo di altri approcci. All’Istituto veneto di medicina molecolare di Padova, anche Marco Sandri, del Dti, lavora per salvare i muscoli dalla degenerazione sfruttando un approccio ancora diverso: modulare, grazie alla dieta o a particolari farmaci, il meccanismo dell’autofagia, che permette alle cellule muscolari di ripulirsi dalle sostanze tossiche che si accumulano, come avviene anche nel corso dell’invecchiamento o di altre malattie degenerative meno rare. Non bisogna, infine, dimenticare l’esperienza maturata dai ricercatori Telethon Enrico Bertini, dell’Ospedale Bambin Gesù, ed Eugenio Mercuri, del Policlinico Gemelli di Roma, nell’ambito del Treat-Nmd, la rete europea per le malattie neuromuscolari (www.treat-nmd.eu), i quali hanno messo a punto strumenti accurati e specifici per allestire e condurre studi clinici che coinvolgano bambini affetti da distrofia di Duchenne.

Anna Maria Zaccheddu
Responsabile comunicazione scientifica Telethon

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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