La neuropatia di Charcot Marie Tooth

Gli anni della giovinezza sono difficili per tutti, in particolare per chi non si riconosce nei propri coetanei e non trova intorno a sé qualcuno che insegni a “vivere il limite come conquista di un’espressione più alta”.

Che cos’è la sindrome di Charcot Marie Tooth?
Pochi la conoscono e molti non sanno di avere un familiare che ne è affetto. Ancor più grave, alcuni ignorano di essere essi stessi portatori della malattia. La Charcot Marie Tooth è una patologia neurologica ereditaria e periferica. Può manifestarsi negli effetti a qualsiasi età, dalla nascita fino all’età avanzata, colpendo ed indebolendo gli arti e compromettendo il funzionamento di altri organi. La scienza medica usa il termine “progressione lenta” per indicare che questa malattia avanza giorno dopo giorno e ci vogliono diversi anni prima che la persona che ne è affetta perda la propria autonomia. Il deficit è motorio e manuale ed impedisce di condurre una vita normale, anche se non tutti finiscono su una sedia a rotelle. Paradossalmente, entrare in un cinema risulta più facile per un paraplegico che per un disabile motorio che cammina ancora sulle sue gambe. Anche sul piano psicologico, risulta meno faticoso accettare una vita in carrozzina dalla nascita, o dopo un trauma, piuttosto che consumarsi nel timore di poterci finire. Le patologie del sistema nervoso periferico colpiscono il nervo danneggiando la mielina, lo strumento di conduzione della trasmissione nervosa. Avviene lo stesso nella Sclerosi Multipla. In alcune forme, viene colpito il nucleo stesso del nervo, ma la sintomatologia permane la medesima. I primi ad essere colpiti sono i muscoli degli arti. A poco a poco, si atrofizzano. Ciò causa l’accorciamento dei tendini e la deformazione delle ossa dei piedi e delle mani. Le dita si chiudono perché non possiedono più forza ed i talloni si torcono, determinando, in molti casi, che la persona affetta cammini toccando il suolo solo con alcuni punti del piede. Sorgono problemi legati a callosità ed ulcere, rendendo difficile l’adattamento alle scarpe, anche quelle ortopediche. Inizialmente, il paziente presenta una camminata instabile, poi comincia a cadere frequentemente. Scalini, salite e barriere ambientali ed architettoniche diventano insuperabili. La manualità è in molti casi compromessa: la presa risulta difficile, la persona non riesce più a stringere posate e bicchieri e deve utilizzare una bacchetta per digitare alla tastiera. Diventano ostacoli quasi insormontabili i semplici movimenti per uscire di casa, le barriere culturali, l’accesso al luogo di lavoro. I giovani cercano di nascondere i deficit che inesorabilmente si presentano: l’atrofia muscolare, la deformazione dei piedi, l’incapacità di eseguire attività comuni ai propri coetanei, come ballare, correre, praticare uno sport. Tengono le mani sempre in tasca per la vergogna. Trovano scuse per non manifestare la propria diversità e ciò li porta lentamente alla solitudine, all’emarginazione, alla paura di coltivare amicizie ed amori. Il malessere esistenziale solitamente sfocia in gravi forme depressive che conducono il giovane a rinchiudersi nel proprio mondo di frustrazioni e di dipendenze. Dipendenza da sostanze, dalla famiglia, dal computer, dalla televisione, dalla propria paura di vivere. Il rischio è proprio quello di non voler più vivere! Come inizialmente accennato, tali patologie possono manifestarsi a qualunque età. Affrontare una simile “spada di Damocle” non è mai facile. Un bambino incontra i problemi di un’infanzia vissuta ai margini, senza che venga attivato un progetto d’integrazione o d’assistenza. Trascorre ore seduto su una panchina ad osservare gli amici correre e giocare. Se qualcuno gli chiede di unirsi al gioco, risponde “No, grazie, non mi piace giocare. Lasciatemi in pace”. I genitori faticano ad accettare un handicap così oscuro e non ancora manifestatosi in tutta la sua devastazione. Un adulto è costretto a rivedere ogni scelta della sua vita, ogni progetto faticosamente raggiunto. Deve cambiare casa, lavoro, vestiti, hobby, fino a cambiare partner o a rimanere solo per i problemi di relazione che immancabilmente sorgono per incomprensione o non accettazione del nuovo stato, da parte sia della stessa persona colpita, sia del partner. A tutto ciò si aggiunge l’alone di mistero scientifico che circonda le neuropatie. Medici e specialisti sono incapaci di fornire risposte e cure a sintomi apparentemente inspiegabili, soprattutto nei primi stadi della malattia. Se la persona non è sottoposta a terapie psico – farmacologiche per curare la neuropatia travisata per malattia psicosomatica, comincia un calvario di viaggi della speranza, spesso anche all’estero, alla ricerca di geni della medicina o santoni d’ogni religione, con un dispendio di denaro ed energie del tutto inutile, oltre che irrecuperabile. L’aspetto professionale costituisce uno dei problemi più seri per i portatori di questa patologia: uno studente deve decidere il proprio percorso formativo in funzione di un deficit progressivo, una persona che accede al mondo del lavoro necessita di un collocamento adatto alle sue disabilità, spesso anche manuali, e un adulto, su cui può gravare anche la responsabilità di un’intera famiglia, può trovarsi improvvisamente nella condizione di non poter più svolgere il proprio lavoro. La sindrome di CMT è classificata dal Ministero della Salute tra le malattie rare: ciò è dovuto a statistiche d’incidenza vecchie e superate, ma, in ogni caso, resta una sindrome ancora sconosciuta. In realtà, si tratta del disordine più comunemente ereditato del sistema periferico e colpisce più di una persona ogni 2.000. Una vera e propria epidemia! Nel corso degli ultimi anni, la ricerca genetica ha permesso di identificare diversi difetti cromosomici. Ciò favorirà diagnosi più precise e produrrà statistiche più corrette. La speranza è che venga avviata anche una campagna preventiva, basata essenzialmente su una genitorialità consapevole ed informata. L’associazione ACMT-RETE nasce nel giugno del 2001 per opera di un gruppo di persone affette dalla patologia e dei loro familiari. Nel settembre dello stesso anno si tiene il primo congresso di ACMT-RETE, che vede la partecipazione inattesa di oltre un centinaio di persone fra malati e loro familiari. L’associazione ACMT-RETE per la malattia di Charcot Marie Tooth si prefigge i seguenti scopi:
• promuovere progetti d’informazione al fine di accrescere le competenze e le conoscenze relative al trattamento della malattia di CMT e sindromi similari;
• favorire la nascita di centri pubblici per la diagnosi ed il trattamento in grado di lavorare in collaborazione fra loro;
• sviluppare l’incontro ed il confronto fra le persone affette dalla malattia ed i loro familiari attraverso mezzi di comunicazione e momenti di socializzazione ed informazione;
• costituire un punto d’informazione sulle leggi a favore dei disabili e sul collocamento mirato, lavorando in collaborazione con altre realtà associative ed Enti Pubblici.
Il desiderio comune è che l’associazione diventi un luogo in cui trovare un aiuto a favore della persona, oltre che le informazioni sulla malattia. Le difficoltà legate agli spostamenti che caratterizzano i malati di neuropatie periferiche e la necessità di disporre di uno strumento di divulgazione delle informazioni facilmente accessibile in ogni parte d’Italia ed in tempo reale ci hanno portato alla scelta di utilizzare per i contatti un sito internet (http://www.acmt-rete.it). Abbiamo cominciato a predisporre una “lotta” sul piano medico sanitario contattando centri medici specialistici e conoscitori della patologia e stipulando diverse convenzioni. Abbiamo creato una delle più utili pagine web di consulenza medica gratuita, chiamata “MEDCENTER”, nella quale specialisti di neurologia, fisiatria ed ortopedia e psicologi rispondono a chiunque abbia bisogno di un parere e fissano appuntamenti, anch’essi gratuiti. Abbiamo aperto una casella mailbox dedicata ed un punto di ascolto telefonico. Sul nostro sito è nato un forum in cui i nostri amici e soci si incontrano e traggono giovamento morale ed indicazioni terapeutiche. Uno degli aspetti più significativi del nostro intervento è l’attenzione rivolta alle fasce d’età più giovani, dal periodo adolescenziale – 14/15 anni – fino ai 30. Questo perché riteniamo che in questo periodo si possa aiutare la persona affetta a maturare una personalità equilibrata in rapporto al proprio corpo e nella consapevolezza dei limiti che la vita porta a ciascuno. Gli anni della giovinezza sono difficili per tutti, in particolare per chi non si riconosce nei propri coetanei e non trova intorno a sé qualcuno che insegni a “vivere il limite come conquista di un’espressione più alta”. Sono gli anni in cui ogni essere umano definisce e costruisce gli ambiti della sua esistenza con progetti lavorativi e familiari. Se vengono a mancare gli stessi presupposti per poter realizzare questi obiettivi naturali, diventa facile non trovare più motivi anche per continuare a vivere. Su tutto quanto è stato descritto deve estendersi la “riduzione del danno”. Risulta necessario che essa parta direttamente dalle famiglie coinvolte, le quali devono lavorare in piena sintonia con il malato promuovendo un’azione sinergica di trattamento dei problemi legati al danno neurologico. Vanno quindi promosse ginnastica e mobilizzazione dolce e costante nel tempo, favorendo esercizi ginnici non competitivi quali nuoto e ciclismo. Si deve comprendere che il danno non è muscolare, ma neurologico. Di conseguenza, ingrossare i muscoli con lo sforzo arreca solo danno e va invece praticato un tipo di ginnastica dolce. L’utilizzo di scarpe e plantari idonei favorisce la deambulazione. Tali strumenti vanno indossati senza vergogna, come tutti gli ausili ortopedici che si rivelino utili (stampelle, bastoni, girelli, molle di Codevilla). Quando il danno raggiunge livelli pesanti, si deve ricorrere alla correzione chirurgica. La famiglia deve inoltre impostare uno stile di vita generale a dimensione umana, una dieta basata su cibi freschi e diversificati, l’esenzione completa dalle sostanze e dall’abuso di farmaci. Troppe volte abbiamo sentito la classica frase “Non ci sono trattamenti farmacologici”. Questa ci lasciava in una situazione di depressione generalizzata dovuta al fatto di non poter fare nulla per contrastare questa malattia che ci stava distruggendo il fisico, la psiche, la nostra socialità. Abbiamo invertito la rotta ed abbiamo deciso di lottare per la riduzione del danno e della progressività. Lavorare su se stessi e per se stessi. Questa impostazione ha tratto origine nei nostri congressi. Abbiamo quindi cominciato ad alternare un congresso su base prettamente medico – scientifica a congressi di insegnamento e sviluppo dell’auto mutuo aiuto. Utilizzando nostri associati volontari formatisi tramite corsi, psicologi e formatori esterni, in sei anni abbiamo realizzato tre congressi con questa impostazione. Ciò non ci impedisce però di continuare a credere nella ricerca ed a lottare spronando il mondo scientifico affinché individui una terapia che debelli definitivamente questa grave patologia.

Fiorenzo Pavanati
Presidente ACMT-RETE

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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