Una politica energetica miope

Antonio Di Pietro

Il governo sta sacrificando nell’immediato la sua legge di riavvio del nucleare allo scopo di ripresentarla subito dopo, evitando le consultazioni. Si vuol far credere agli Italiani che il 12 ed il 13 giugno non vale la pena andare a votare perché le leggi sul nucleare e sull’acqua saranno cambiate. È falso.

Nel 1987, il popolo italiano bocciò la strategia nucleare del governo con un referendum abrogativo indetto dopo il disastro di Chernobyl. All’epoca non esisteva ancora una vera alternativa basata sulle energie rinnovabili. C’erano molte idee ed alcune sperimentazioni, ma nessuno avrebbe potuto sostenere ciò che alcuni giorni fa ha dichiarato Angela Merkel: la Germania, un grande Paese industriale, ha la possibilità, nei prossimi vent’anni, di abbandonare completamente il nucleare e produrre da fonti rinnovabili il 70% dell’energia necessaria al suo sviluppo. L’affermazione fornisce la misura delle scoperte scientifiche e delle innovazioni tecnologiche realizzate in questi anni. Sta nascendo una nuova era dell’energia, che possiamo già definire quarta rivoluzione industriale del pianeta. I Paesi che assumeranno le redini di questa nuova strategia energetica si porranno alla guida di cambiamenti di portata mondiale, i quali influenzeranno la geopolitica e la ripartizione internazionale del lavoro e delle produzioni. Il disastro nucleare di Fukushima, di cui non conosciamo ancora, e – temo – non conceremo mai, le dimensioni effettive, ha fatto luce sull’accozzaglia di interessate menzogne costruite intorno alla scelta nucleare del governo italiano. Lo ha quindi obbligato a rivolgere l’attenzione alle energie rinnovabili, in relazione alle quali, ancora pochi giorni fa, lo stesso Ministro Romani ironizzava e sosteneva che non rappresentavano un vero investimento produttivo, ma un costo ed un aggravio per la bolletta energetica degli Italiani. La situazione è ben diversa. Vediamo alcuni dati relativi alla produzione di energia elettrica. L’Italia ne produce circa 300.000 GWh l’anno. Il 70% è generata da fonti fossili tradizionali, il 17% da fonti idroelettriche, il 3% dall’eolico e lo 0,3% dal fotovoltaico. Come si nota, il contributo delle fonti rinnovabili di nuova generazione è del tutto marginale. Romani sostiene che, a causa di un eccesso di incentivi, l’Italia si stava trovando alla vigilia di un boom di richieste, immotivate e fraudolente, che avrebbero moltiplicato per cinque la potenza istallata, con particolare riferimento al fotovoltaico. Il Ministro sembra ignorare le direttive europee che obbligano l’Italia a ridurre in modo consistente la produzione di energia elettrica da fonti fossili ed a rimpiazzarla con fonti rinnovabili, pena pesantissime sanzioni. Gli Italiani le stanno già pagando ed il costo sarebbe molto superiore al peso degli incentivi a favore delle energie rinnovabili. Romani ignora, o finge di ignorare, anche la vera dimensione della produzione italiana di energia da fonti rinnovabili. È così modesta che, anche se il numero di richieste citate fosse vero, il fotovoltaico italiano, dopo il balzo da lui tanto temuto, coprirebbe meno dell’1,5% della produzione nazionale di energia elettrica. Ci attestiamo a circa dieci volte in meno rispetto alla Germania, la quale non è il Paese del sole come l’Italia. Seguendo questa impostazione, il governo ha bloccato gli investimenti in nuovi impianti ed ha ridotto gli incentivi a valori inferiori a quelli di altri Paesi europei, come la Germania. L’Italia si candida così a rimanere il fanalino di coda dell’Europa in un comparto caratterizzato da elevata tecnologia, bassi costi di investimento ed elevata occupazione.

Non è un caso se, in tutta l’Europa, nel periodo più pesante della crisi l’unico settore in crescita per ricchezza prodotta ed occupazione sia stato proprio quello delle energie rinnovabili. Per tutti questi motivi, l’Italia dei Valori concepisce la politica ambientale come uno dei pilastri di una nuova politica di sviluppo. La tutela del territorio, la valorizzazione dei beni ambientali e paesaggistici, l’agricoltura biologica, le fonti energetiche rinnovabili, la gestione pubblica dell’acqua, le tecnologie per lo sviluppo sostenibile, rappresentano una scelta strategica di sviluppo che elevano compatibilità e sostenibilità ambientale ad esempio di qualità della politica economica. La green economy è la nuova frontiera dello sviluppo e riguarda industria, agricoltura, edilizia, energia, turismo ed infrastrutture: in una parola, una nuova politica economica. Prospetta una crescita della ricchezza nazionale e dell’occupazione, l’innovazione del sistema industriale, l’uso razionale dell’energia, la limitazione del consumo di territorio ed il riciclo dei materiali di scarto. Lo sviluppo economico non deve produrre danni ambientali da risarcire a valle della loro manifestazione, ma deve perseguire il miglioramento della qualità ambientale e la tutela dei beni fondamentali, aria, acqua e terra. Deve riconciliare la qualità della vita con la quantità della ricchezza prodotta, ciò che costituisce il tema centrale dello sviluppo sostenibile. Combattiamo perciò le scelte del governo Berlusconi, per il quale il consumo delle risorse fondamentali, la degradazione del territorio, gli abusi edilizi, gli scempi paesaggistici e naturali, l’inquinamento dell’aria e del suolo costituiscono le condizioni stesse della politica economica, energetica, industriale ed infrastrutturale.

Il nostro no alla privatizzazione dell’acqua tende proprio ad affermare che si tratta di un bene primario fondamentale, una risorsa scarsa e preziosa che deve essere sottratta all’accaparramento di pochi e non deve essere mercificata. Il governo pensa di fare dell’acqua un nuovo terreno di sfruttamento e speculazione, utilizzando un bene presente nel territorio che non espone coloro i quali desiderino renderlo un affare sicuro, sottratto alla competizione del mercato aperto. Il no alla scelta nucleare del governo, espresso attraverso la richiesta di un referendum abrogativo ben prima che si verificasse la tragedia di Fukushima, nasce dalla consapevolezza dei rischi per l’ambiente, per la sicurezza e per la salute che questa tecnologia obsoleta, costosissima ed intrinsecamente pericolosa avoca a sé. Non si sa dove stoccare le scorie, né come riciclarle, in condizioni di sicurezza e di convenienza economica, per renderle nuovo combustibile. I rilasci radioattivi delle centrali sono inevitabili e colpiscono gravemente la popolazione residente in prossimità degli impianti. Il costo delle centrali è spaventosamente alto e rende il prezzo del kw nucleare non conveniente in termini economici. Il sistema degli appalti e delle edificazioni si presta ad abusi ed alla creazione di un vero e proprio apparato di potere economico assistito e protetto. Un sistema Bertolaso elevato ad una dimensione incommensurabile. La scelta nucleare impatta in modo imponente sul bilancio dello Stato e consuma una tale quantità di risorse finanziarie da non lasciare spazio alle energie rinnovabili ed alla green economy.

Come accennato, le energie rinnovabili coprono meno del 2% della potenza erogata in Italia e dovremmo salire al 20% entro il 2020. L’opzione nucleare rende l’obiettivo irraggiungibile ed il governo mette già in conto di dover pagare le penali imposte dalla UE per il mancato rispetto delle direttive comunitarie. Con astuzia e raggiri legislativi, il governo sta tentando anche di impedire lo svolgimento del referendum. Sta sacrificando nell’immediato la sua legge di riavvio del nucleare allo scopo di ripresentarla subito dopo, evitando le consultazioni. Si vuol far credere agli Italiani che il 12 ed il 13 giugno non vale la pena andare a votare perché le leggi sul nucleare e sull’acqua saranno cambiate. È falso. È una truffa perché, come ha dichiarato lo stesso Berlusconi, il giorno dopo aver sabotato i referendum tornerà a proporre nucleare e privatizzazione dell’acqua. Venisse accolto dalla Cassazione e dalla Consulta, il raggiro abolirebbe di fatto l’istituto del referendum abrogativo e consentirebbe al governo di mantenere i patti con le lobby e procedere con la costruzione delle centrali nucleari su tutto il territorio nazionale. Per questo penso occorra fare di tutto perché il referendum abbia luogo il 12 ed il 13 giugno. Sono certo sarà così, perché non può essere perpetrato e tollerato un furto di Democrazia di queste proporzioni. Noi, in ogni caso, andremo a votare. Desidero concludere ricordando ciò che talvolta si è portati a sottovalutare: una componente fondamentale della green economy é costituita dalle politiche e dalle tecnologie dello smaltimento dei rifiuti in condizioni di sicurezza e di tutela della salute umana e dell’ambiente. Occorre una mobilitazione popolare finalizzata ad una nuova politica dell’ambiente e dell’energia e noi dell’IdV desideriamo garantirne un respiro nazionale e generale. L’appoggio convinto al referendum per bocciare la privatizzazione dell’acqua e la promozione di quello contro il ritorno del nucleare costituiscono il nostro contributo per restituire ai cittadini, al popolo italiano, la sovranità sulle scelte fondamentali dalle quali dipende la qualità della vita e dello sviluppo, la salute, la sicurezza e la difesa dei valori inestimabili del nostro territorio.

Antonio Di Pietro
Deputato, già Ministro dei Lavori Pubblici e delle Infrastrutture

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