La rinascita araba

Il 17 dicembre 2010, Mohamed Bou Azizi, un giovane laureato tunisino adattatosi, per vivere, come ambulante abusivo, si è dato fuoco per protestare contro la polizia, che gli aveva sequestrato la merce. Da quel momento, la fiammata della rivolta popolare si è diffusa in tutti gli Stati arabi. Due rivoluzioni si sono consumate in Egitto e Tunisia, altre sono in pieno svolgimento in Libia e Yemen. Siria, Algeria e Giordania sono in fermento, mentre in tutto il Nord Africa e nel Medio Oriente sono segnalati numerosi gruppi di giovani che manifestano contro i regimi al potere. In tutte le contestazioni, risulta molto significativo il fattore islamico, talvolta postosi direttamente alla guida della protesta. In Egitto è presente la Fratellanza Musulmana, in Tunisia il Movimento della Rinascita Islamica, in Giordania il Fronte di Azione Islamica, nello Yemen la Coalizione Nazionale per la Riforma e in Algeria il Fronte Islamico di Salvezza. In Siria risulta attivo il movimento clandestino dei Fratelli Musulmani, in Marocco il partito Giustizia e Sviluppo. La fede islamica esercita sicuramente una forte influenza nella vita quotidiana di tutta la regione, ma il motivo che ha mobilitato le piazze non è stato, però, solo quello religioso. La popolazione, stanca di essere lasciata nella povertà, ha manifestato in modo spontaneo e, nonostante le imponenti misure di sicurezza attuate dalla polizia, ha colto di sorpresa le autorità, i partiti ed i movimenti di opposizione. Anche i social network, Twitter e Facebook, e le notizie pervenute attraverso Wikileaks, sono risultati fattori significativi, ma non determinanti: in Egitto, Mubarak ha oscurato Internet (e, successivamente, anche gli sms) senza ottenere il successo atteso; la Libia, un Paese con una rete internet poco sviluppata (350.000 navigatori su una popolazione di sei milioni di abitanti) e lo Yemen, che presenta numeri ancora inferiori, ciononostante, sono risultati i Paesi maggiormente coinvolti nelle rivolte popolari.

È quindi probabile che il tam tam mediatico sia slittato dal web ad un altro canale comunicativo. Facendo leva sui desideri di cambiamento e sul sentimento di frustrazione della società civile, le televisioni satellitari in lingua araba hanno giocato un ruolo molto più importante. Hanno evidenziato le cattive politiche economiche, la disuguaglianza sociale, la corruzione e, soprattutto, hanno posto a confronto gli standard di vita nordafricani con quelli occidentali.

Non solo. Anche il ruolo delle forze armate è risultato determinante ben più di internet, soprattutto in Egitto ed in Tunisia. I militari hanno scelto di schierarsi con gli insorti, costringendo i rispettivi dittatori ad andarsene. È stato l’esercito che ha messo in sicurezza Piazza Tahrir, il luogo simbolo della rivoluzione, dalla quale il popolo ha potuto urlare il suo no al regime.

Ora, grandi interrogativi sono posti dalla mancanza di leadership. Sono concreti i timori di infiltrazioni da parte di Al Qaeda, di teocrazie islamiste, di regimi votati a politiche energetiche ricattatorie nei nostri confronti e determinati a spingere autentiche maree umane verso le nostre coste. L’”Europa Unita” appare divisa, incapace di esprimere una linea strategica adeguata alla portata storica della Primavera Araba ed impreparata a gestire l’emergenza umanitaria in atto in Italia. La diplomazia internazionale è quindi chiamata ad operare un’attenta riflessione anche perché, inevitabilmente, i cambiamenti nella geografia del Nord Africa andranno ad influenzare le tensioni nei Territori occupati da Israele e le mire espansionistiche di Teheran.

Claudio Torbinio

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