Vecchie e nuove leadership

Il governo del colonnello Gheddafi mancava di istituzioni politiche funzionanti, quali partiti politici, gruppi di opposizione, sindacati ed organizzazioni della società civile. Questa peculiarità ha lasciato il Paese privo di quelle istituzioni che avrebbero potuto guidare la transizione ad una nuova forma di Stato e di governo.

Il tipo di leadership ed il rapporto tra regimi autoritari e rispettivi eserciti sono due fattori che hanno senza dubbio influenzato le recenti rivolte nordafricane. In Libia, Paese in cui l’eccentrico colonnello Mu’Ammar Gheddafi ha governato per più di quaranta anni, le divisioni interne all’esercito, determinate da affiliazioni tribali, hanno condotto ad una situazione tale per cui alcune unità hanno disertato mentre altre sono rimaste fedeli al regime, creando uno stato di generale confusione. Ad oggi, la transizione è ancora in atto e, nonostante la creazione di un Consiglio nazionale di transizione, ad opera dei ribelli di Bengasi, non è ancora emerso un leader, né un’organizzazione dotata di un peso politico tale da poter assumere le redini del Paese. Ciò deriva dal tipo di leadership imposta da Gheddafi al Paese nel corso di quaranta anni di regime. La legittimità della leadership del colonnello dipendeva, infatti, dall’idea equivoca della missione rivoluzionaria guidata da lui e dai suoi uomini fin dal lontano 1969. Gli ufficiali, dopo aver rovesciato il regime di Re Idris, considerato corrotto ed arretrato, si erano presentati come salvatori della Patria agli occhi della gente. Il rais era subito emerso come il leader del Consiglio del Commando Rivoluzionario e, in breve, il Consiglio era diventato il suo strumento personale di governo e controllo del Paese in modo alquanto sui generis.

I successivi cambiamenti imposti dal colonnello, con la rimozione del consiglio militare, hanno rafforzato la sua leadership autoritaria. Nel frattempo, l’entusiasmo rivoluzionario degli anni ‘70 svaniva e la “società giusta”, spesso menzionata dalla “Guida della Rivoluzione”, non si materializzava. Il potere restava nelle mani della Gaddafa, la tribù del leader, e delle altre tribù fedeli al regime, i cui interessi erano legati a quelli della famiglia Gheddafi in un sistema tribale ben definito. Di recente, Gheddafi aveva cominciato ad inserire dei tecnocrati nel governo, alcuni dei quali erano stati anche invitati ad entrare nella sua cerchia familiare. È importante notare che in Libia non era presente un’intera classe privilegiata, come quella tunisina o egiziana, ma vi era solo un ristretto gruppo di parenti legati al leader a titolo personale. Le rivalità e le alleanze tra tribù sono presenti anche all’interno delle forze armate libiche e sono state usate negli anni per rafforzare il controllo di Gheddafi sull’esercito. Infatti, sebbene la carismatica leadership del colonnello sia risultata fondamentale in tutti questi anni per la sopravvivenza del regime, lo stesso non avrebbe resistito per quarant’anni senza il supporto del forte apparato di sicurezza basato sui legami tribali. Per questo motivo, oggi appare improbabile che l’esercito possa assumere lo stesso ruolo di quello egiziano o tunisino nelle rispettive rivolte. Gli eventi recenti lo dimostrano chiaramente. Le forze armate libiche non possiedono la professionalità, la disciplina ed il rispetto popolare necessario in questa fase per riempire il vuoto lasciato dalla crisi del regime e per porsi come un potere di transizione in vista della creazione di un nuovo governo.

Le defezioni di alti ufficiali evidenziano il caos imperante. Tra i disertori vi è lo stesso Ministro della Difesa Abubaker Jaber Younes. Tuttavia, qualora Gheddafi dovesse perdere il controllo della Tripolitania, non è azzardato ipotizzare che un ufficiale dell’esercito possa emergere come rappresentante di quella regione. La crisi del regime ha elevato sulla scena politica del Paese anche ex membri dell’elite tecnocratica che hanno abbandonato il colonnello per abbracciare la causa dei ribelli. Tra questi, ricordiamo l’ambasciatore libico alle Nazioni Unite Abdurrahman Shalgam e l’ex ambasciatore negli Stati Uniti Ali al-Ujali. I ribelli hanno inoltre costituito il Consiglio nazionale di transizione, il quale, guidato dall’ex Ministro della Giustizia Mustafa Mohammed Abdul Jalil, rappresenta la leadership politica e militare della rivolta. Tra gli altri membri del consiglio spiccano i nomi di giovani avvocati, come Fathi Tirbil Salwa (difensore delle famiglie delle vittime del massacro nelle carceri di Abu Salim nel 1996), professori ed attivisti dei diritti umani, quali Mahmoud Jibril e Fathi Mohammed Baja, ma anche ex ufficiali dell’esercito, come Omar al Hariri. Quest’ultimo, pur avendo partecipato al colpo di stato del 1969 al fianco del rais, era stato successivamente incarcerato per 15 anni per aver organizzato un golpe contro di lui nel 1975. Va tuttavia sottolineato che il Consiglio si caratterizza per una natura prettamente regionale ed il suo ruolo non è riconosciuto nella regione della Tripolitania. Il governo idiosincratico del colonnello Gheddafi, incentrato sulla famiglia e su una ristrettissima elite, mancava di istituzioni politiche funzionanti, quali partiti politici, gruppi di opposizione, sindacati ed organizzazioni della società civile. Questa peculiarità ha lasciato il Paese privo di quelle istituzioni che avrebbero potuto guidare la transizione ad una nuova forma di Stato e di governo, come assistiamo in Egitto ed in Tunisia. È possibile che il tipo di leadership che emergerà possa essere quello di un ex militare o di un leader tribale. In entrambi i casi, solo una figura fortemente carismatica sarà in grado di sostituirsi al colonnello. La transizione è ancora in atto ed è difficile prevedere come evolverà la battaglia tra le forze di Bengasi e l’esercito regolare. L’intervento delle forze militari straniere, guidate prima da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, ed ora sotto il controllo della NATO, e l’azione dei servizi segreti occidentali, di cui si fa cenno negli ultimi giorni, influenzeranno comunque in modo significativo l’evoluzione in atto.

Karim Mezran
Direttore del Centro Studi Americani a Roma
Professore di Middle East studies presso il Bologna Center
della John Hopkins University

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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