La Musicoterapia

La musica è sempre stata considerata un elemento capace di influenzare gli stati d’animo, le emozioni, il benessere psicofisico. Il coinvolgimento della musica nella qualità della vita è innegabile. Nelle società primitive, caratterizzava i rituali, come quelli di caccia e di iniziazione. Nella religione, il suono dalle campane tibetane ed il canto gregoriano arricchivano lo spirito dei fedeli. Ancora oggi si discute se le sinfonie di Mozart possano sviluppare una maggiore intelligenza in chi le ascolta. Secondo il neurologo Robert Zatorre, della Mc Gill University di Montreal, la musica è in grado di attivare nel cervello dell’uomo i centri del piacere, gli stessi sensibili ad altri elementi meno astratti, quali cibo, stupefacenti, sesso. A differenza di questi ultimi, la particolarità della musica è però quella di non possedere valore biologico, ma di essere in grado – proprio come una sostanza chimica – di interagire con alcune funzionalità neurologiche del corpo umano. Queste attività “fisiche” della musica sono ben definibili ed identificabili, in quanto alterano in modo percepibile la frequenza cardiaca ed il tono muscolare. L’utilizzo della musica come strumento di comunicazione non-verbale può intervenire anche a livello educativo, riabilitativo e, addirittura, terapeutico, in una grande varietà di condizioni patologiche. Nervosismo, ansia, angoscia, difficoltà di ordine psicosomatico, quali cefalee, stanchezze muscolari e forme asmatiche, possono trarne giovamento. Il medico francese Alfred Tomatis ha studiato gli effetti terapeutici del canto. Le ricerche hanno relazionato l’udito con le dinamiche del corpo e della mente, identificando “l’orecchio” quale “organo primario di consapevolezza”. Nell’infanzia, soprattutto, la musica sembra svolgere un ruolo significativo di stimolo allo sviluppo cerebrale. Aiuta a sviluppare il linguaggio ed a coordinare i movimenti. Secondo uno studio dell’Università di Sheffield, imparare a suonare uno strumento può aiutare un bambino dislessico a superare parte del proprio disturbo. Alcuni ricercatori dell’Università di Liverpool ipotizzano che il linguaggio musicale praticato da piccoli possa rendere il cervello adulto più elastico e capace di adattarsi meglio alle diverse situazioni, dimostrando una maggiore resistenza allo stress ed una più apprezzabile capacità professionale. Nell’atto di esprimere le proprie emozioni, gli studiosi hanno potuto notare che il cervello di chi si dedica alla musica attiva delle reti neuronali supplementari, le quali interessano alcune regioni cerebrali, come la corteccia orbito-frontale, che risulta coinvolta anche nell’elaborazione delle emozioni sociali. A questo punto, dobbiamo chiederci se il cambiamento tecnologico che sta avvenendo in tutti campi, la digitalizzazione (trasformazione in numeri) delle immagini, dei documenti e dei suoni, permetta ancora di mantenere il forte potere biologico dei suoni e della musica. Se ciò non avvenisse, e fosse comprovato scientificamente, il sistema analogico di riproduzione potrebbe riacquisire una nuova importanza. Sarà per questo che la Recording Industry Association of America ha annunciato che le vendite dei dischi in vinile sono in continua crescita? Non ci è dato saperlo, ma la Capital Records ed altre aziende discografiche hanno ristampato su vinile la quasi totalità del repertorio in loro possesso.

Di Massimiliano Fanni Canelles

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