L’industria musicale in Italia

Internet non rappresenta di per sé una strada di accesso garantito al successo commerciale. L’abisso che separa la popolarità dall’anonimato, uno spazio nel quale le case discografiche svolgono il loro lavoro essenziale, non è mai stato grande come oggi.

Nel 2010, a livello mondiale, il mercato della musica digitale, o liquida, ha fatturato 4,6 miliardi di dollari. La crescita si è attestata sul 6% rispetto all’anno precedente. Oltre 400 piattaforme digitali hanno messo a disposizione 13 milioni di canzoni. Complessivamente, il mercato digitale rappresenta poco meno del 30% dell’intero mercato della musica registrata. In Italia, sempre nel 2010, si sono sfiorati i 24 milioni di euro di ricavi, con un ulteriore incremento del 10% rispetto all’anno precedente. I download sono stati oltre 11 milioni. Sono questi i numeri della rivoluzione che ha accompagnato l’industria musicale negli ultimi anni, trasformandone la connotazione e rivoluzionandone i modelli di business. Il passaggio dal supporto, vinile, musicassetta, compact disc, alla musica liquida, non è stato una rivoluzione di prodotto, come si poteva inizialmente qualificare, guardando al formato mp3 ed alla compressione. Si è trattato, soprattutto, di una rivoluzione sociale, un cambiamento di costume, più che di consumo. Tutta la musica ovunque, in qualsiasi istante, su qualsiasi device, identifica un cambiamento epocale nel modo di produrre, promuovere e distribuire i contenuti musicali. L’innovazione tecnologica ha sicuramente giocato un ruolo essenziale nello sviluppo di modelli di business sempre più vicini al consumatore.

Dal punto di vista dell’industria musicale, ciò ha prodotto l’”ubiquità”, la disaggregazione del prodotto, un processo di licenza dei cataloghi sempre più liberale e l’eliminazione dei DRM. Dal punto di vista dell’industria tecnologica, invece, ha generato le piattaforme per il download, Apple in testa, lo streaming video, oggi, forse, la più diffusa modalità di accesso alla musica, la cui killer application è YouTube, lo streaming audio, con Spotify, e tantissime altre piattaforme innovative. La rivoluzione non ha però riguardato solo le modalità di fruizione. L’innovazione digitale ha modificato anche i meccanismi promozionali, ha disintermediato l’informazione. I social network sono entrati prepotentemente nella promozione discografica e la partecipazione dei fan ai meccanismi di comunicazione e marketing è cresciuta. Applicazioni come ILike di Facebook, o lo stesso Twitter, sono diventate strumenti essenziali per coinvolgere i fan nell’informazione. Discografici ed artisti rendono i consumatori sempre più partecipi in campagne virali o, addirittura, nei processi creativi. Remix e mash up sono diventati fenomeni di massa, grazie a sistemi di licenza innovativi. Spesso, i fan partecipano anche alla realizzazione di videoclip, realizzati, a volte, con il proprio telefonino e condivisi su YouTube. In questo contesto, gli investimenti nel lancio di nuovi artisti sono rimasti un elemento costante dell’industria musicale. A livello mondiale, l’industria discografica investe ogni anno circa 5 miliardi di dollari, più o meno il 30% del fatturato, nello sviluppo e nel marketing dei suoi artisti: un livello di spesa eccezionale rispetto a quanto destinato, proporzionalmente, a ricerca e sviluppo in altri settori industriali.

Gli investimenti iniziali effettuati dalle case discografiche rappresentano anche uno dei pilastri su cui gli artisti possono sviluppare una carriera di lunga durata, promuovere un proprio “marchio” identificativo e guadagnarsi da vivere attingendo ad altre, numerose, fonti di ricavo, come le registrazioni dal vivo, il merchandising e le sponsorizzazioni. L’integrazione tra un sistema culturale ed un modello industriale costituisce un elemento determinante nel settore. I soli elementi visibili, per contrasto, riguardano il processo di distribuzione del prodotto musicale, la messa in commercio di un CD pronto per la vendita o la consegna all’utente finale di un brano sotto forma di streaming o download. Queste operazioni rappresentano, tuttavia, solo una piccola frazione della spesa complessiva sostenuta per offrire al pubblico la musica registrata. Ne consegue che l’era digitale non ha ridotto sostanzialmente i costi di esercizio delle case discografiche. La frammentazione nella distribuzione su molteplici canali, fisici e digitali, ha, in molti casi, generato costi supplementari, soprattutto quando si tratta di rifornire centinaia di formati e centinaia di partner commerciali diversi sulle piattaforme on-line e mobile. Non va dimenticato che gli investimenti non riguardano solo fenomeni del pop o del rock. Molti soldi vengono investiti anche nella ricerca di nuovi talenti della musica classica e del jazz. A qualche anno dall’avvento della rivoluzione digitale, è ormai chiaro che internet non rappresenta di per sé una strada di accesso garantito al successo commerciale. MySpace conta oggi, tra i suoi utenti registrati, più di 2,5 milioni di artisti hip hop, 1,8 milioni di gruppi rock, 720.000 artisti pop e 470.000 gruppi punk. L’abisso che separa la popolarità dall’anonimato, uno spazio nel quale le case discografiche svolgono il loro essenziale lavoro, non è mai stato così grande come oggi. In ogni caso, ritornando al tema della sostenibilità del sistema musica di fronte all’innovazione digitale, va evidenziato che i modelli sono ancora fragili e la monetizzazione, la possibilità di ricavare revenue dalle diverse utilizzazioni, è un concetto non facilmente traducibile in realtà.

La filosofia del tutto gratis che ha accompagnato il consolidamento di internet non ha aiutato a promuovere modelli sostenibili e diverse imprese innovative hanno dovuto abbandonare il mercato. Se pensiamo – sono dati di NPD Group per gli Stati Uniti, ma valgono anche per l’Italia – che il 60% dei consumatori utilizza come principale applicazione musicale YouTube, i cui ricavi si misurano in centesimi e ci vogliono quindi miliardi di click per raggiungere un milione di euro, possiamo facilmente immaginare come la rivoluzione sia tutt’altro che compiuta.

Enzo Mazza
Presidente FIMI– Confindustria, Federazione Industria Musicale Italiana

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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