Le macchine parlanti

Inizialmente, l’impedimento alla diffusione della musica era costituito dalla dimensione e dal prezzo dei fonografi. L’immissione sul mercato di macchine più agili, e abbordabili, causò un’impennata delle vendite, e il fonografo si rivelò determinante.

Il fonografo era un piccolo giocattolo per la media borghesia bianca e, nell’America del 1890, rigidamente segregata, nessuno fu sfiorato dall’idea che questo mass medium potesse penetrare nelle classi inferiori del sistema sociale. Nessuno, tranne le case discografiche, costrette a trovare soluzioni alternative per sopravvivere. Un dollaro è un dollaro e molti tra i primi imprenditori del settore capirono che i loro clienti bianchi avrebbero speso dei soldi per essere intrattenuti da artisti neri attraverso i juke box e che almeno qualche nero avrebbe pagato per ascoltare la “loro propria” musica. Mamie Smith, si diceva. Secondo molti, Crazy Blues rappresenta la prima registrazione di una voce africana-americana della storia. Non è così. Dall’invenzione del primo fonografo – grazie al genio di Thomas A. Edison – al 1920, l’anno dell’esordio discografico della Smith, molti, anche se non numerosi, furono gli artisti di colore ad avere l’opportunità di una registrazione, nonostante la chiusura, quando non l’aperta ostilità, delle case discografiche: queste iniziarono a produrre centinaia di registrazioni in molte lingue (dal cinese al cecoslovacco), ma ignorarono a lungo la musica dei neri e le loro espressioni artistiche. Il primo africano-americano ad essere registrato – anche se l’attribuzione non può essere definitiva e certa – fu George W. Johnson, un musicista di strada che ebbe un paio di grandi successi e divenne uno dei musicisti più noti del suo tempo.

Quando la tecnologia permise il passaggio dai cilindri di cera ai dischi, altri neri si affacciarono alla ribalta dell’industria discografica. Provenivano per la maggior parte dal circuito del vaudeville e dei tent show, come l’Unique Quartette e lo Standard Quartette. Al mondo del minstrels show, invece, apparteneva Louis “Bebe” Vasnier, molto popolare a New Orleans, dov’era nato, e in tutta la Louisiana. Ma il passaggio decisivo si ebbe all’inizio del secolo, quando l’avanzamento tecnologico riguardò la manifattura dei fonografi. La Victor iniziò nel 1902 la produzione di macchine parlanti (vennero proprio chiamate talking machines) il cui costo era decisamente più abbordabile. Talmente abbordabile che, nell’arco dei dieci-venti anni successivi, esse si diffusero anche tra gli strati meno abbienti; in quasi ogni misera baracca nelle piantagioni del Mississippi c’era una macchina parlante Victrola e qualche disco a 78 giri. Ciò provocò, evidentemente, la nascita di un nuovo mercato, la cui esistenza, però, venne riconosciuta con molta, molta lentezza. Gli africani-americani, cioè, possedevano l’hardware, sul quale girava solo software bianco. Scrive Brooks: Sebbene le etichette discografiche bianche fossero favorevoli a registrare artisti neri, cercavano quelli che ritenevano in grado di attirare il pubblico bianco. Curiosamente, il pensiero prevalente era che i neri non rappresentassero un mercato degno di attenzione, così che certi generi musicali, reputati di nessun interesse per la maggioranza bianca, furono ignorati(…). Nel 1915 il violinista Clarence Cameron White scrisse alla Victor, sollecitando la compagnia a registrare i musicisti classici di colore. La compagnia rifiutò, sostenendo che il pubblico nero non avrebbe sostenuto i propri musicisti, e che i bianchi cercavano soltanto l’eccellenza (sottintendendo che gli artisti di colore non fossero bravi abbastanza). L’anno dopo, il ‘Chicago Defender’, un giornale per lettori africano-americani, promosse una campagna per capire quanti neri possedessero un fonografo, affinché l’informazione convincesse le compagnie discografiche ad assecondare i loro desideri. Ma non se ne cavò nulla. In verità, all’appello del ‘Chicago Defender’ non ci fu nessun seguito, né mai il giornale tornò sull’argomento.

L’unica copia disponibile alla consultazione nell’archivio digitale del magazine è danneggiata, proprio in corrispondenza dell’articolo, quindi non è dato sapere cosa esattamente contenesse, al di là di quanto citato (e poi ripreso) da altri studiosi. La sensazione è che non fosse un appello, quanto un’inserzione pubblicitaria. Qualunque cosa fosse, non si hanno dati precisi, o anche generici, sulla diffusione delle macchine parlanti tra la popolazione di colore; secondo molte testimonianze e rimemorazioni, non era difficile trovare uno di quegli apparecchi nelle case dei neri. Allo sviluppo di un software indirizzato esplicitamente al nascituro mercato dei neri contribuì in misura determinante la Victor, che oltre a produrre fonografi dominava il settore della produzione discografica. Nel suo catalogo aveva già trovato posto l’eccellente Bert Williams, uno degli artisti di colore più noti a Broadway, ma l’evento che cambiò il corso delle cose fu il successo del primo (anche in questo l’attribuzione è problematica) disco di jazz, pubblicato dalla Victor nel 1917. Le due facce incise dalla Original Dixieland Jazz Band, sebbene di scarso valore artistico, resero evidente la presenza di un cospicuo numero di uomini e donne di colore pronti a spendere il proprio denaro per ascoltare, in casa propria, qualcuno che suonasse la “loro” musica. Facile a dirsi, molto meno a farsi. Le strategie delle case discografiche pensate da bianchi non erano in grado di capire, comprendere e orientarsi in una musica considerata volgare e squallida. C’era bisogno di persone che conoscessero quel mondo e quella musica. E che, possibilmente, avessero la pelle scura.

Estratto dall’opera Il Blues. Piccola Biblioteca Einaudi Mappe, 2009, Giulio Einaudi Editore S.p.a., Torino, pagg. 113 – 115

Vincenzo Martorella
Critico musicale e storico della musica
Docente universitario, direttore artistico di festival jazz e blues

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

Rispondi