Il dialogo interreligioso

Se il passato non è stato un tempo felice per il dialogo, il presente o il passato prossimo appaiono più importanti ed interessanti sotto il profilo della comprensione reciproca. Negli ultimi cinquant’anni, infatti, caduta ogni velleità colonialistica anche di tipo culturale, è cominciato un altro approccio al mondo orientale, in particolare all’Induismo e al Buddhismo.

1. Breve introduzione: la difficoltà dell’incontro.
Parlare e dialogare con gli “altri da noi”, gli appartenenti ad altre culture e ad altre religioni e, in particolare, riuscire a capirsi, è sempre difficile. È un’impresa ardua nella misura in cui noi siamo irresistibilmente e irremovibilmente “etnocentrici” e vediamo il mondo a partire dalla nostra cultura, dalla nostra Weltanschauung. Per essere coerenti minimamente con noi stessi e con gli altri, dovremmo partire dal presupposto di A. Giddens e cioè riconoscere profondamente che “anche noi siamo altri per noi”. Ma questo principio non è mai stato fatto valere nella storia, né passata, né presente. Ciò risulta in modo particolare se si considerano i rapporti tra Cristianesimo e religioni orientali come l’Induismo e il Buddhismo. Si direbbe che noi siamo “da una parte”, loro “dall’altra”, al punto che – come sosteneva Kipling – sembra ancora oggi che “Oriente e Occidente non si incontreranno mai”. Giustamente, l’antropologia post-moderna ha capito che, se si intende fare un vero discorso sugli altri, occorre “immedesimarsi” con il modo di pensare e di vivere degli altri. E l’immedesimazione, l’Einfuehlung di cui parlava Husserl, è difficile. Con autori come Markus, Fischer, Crapanzano, Tyler, Rabinow, James Clifford e molti altri ancora, come Affergan e Kilani, l’antropologia è giunta a riconoscere questo atteggiamento e a sconfessare ogni discorso sugli altri a partire da noi. Il discorso resta “auto-referenziale”: si parla di noi anche quando si crede di parlare e di riportare oggettivamente il modo di pensare degli altri. Come proposta seria per evitare questo pericolo si è giunti, al contrario, a proporre una vera fenomenologia immedesimativa ed “empatica” in rapporto all’altro, basata, soprattutto, sul fatto che la situazione migliore sarebbe data dall’“ascoltare” semplicemente l’altro da noi. Ma quando arriveremo, noi Occidentali, a questa situazione ottimale in cui saremo in grado di ascoltare empaticamente? Non ci siamo mai resi conto degli altri in quanto altri. Non abbiamo mai capito che l’altro è diverso, estraneo, è il mondo che non mi appartiene e che faremo sempre fatica a capire. Su questo sfondo si può comprendere come abbiamo “aggredito” culturalmente e “religiosamente” gli altri. Mi riferisco, in modo particolare, proprio al modo in cui l’Occidente ha trattato l’Induismo e il Buddhismo. Qualche anno fa ho scritto un libro dal titolo L’Oriente e noi , nel quale ho cercato di studiare le relazioni tra Oriente ed Occidente negli ultimi due secoli. Ho dimostrato ampiamente come l’Occidente abbia letteralmente imposto i suoi schemi culturali e religiosi all’Oriente fino al punto da “fare violenza” alle religioni dell’Induismo e del Buddhismo, sovrapponendo gli schemi cristiani a quelli propri delle altre religioni e vedendo quelle religioni soltanto attraverso il filtro che consentiva il Cristianesimo. La tesi principale esposta nel mio libro consiste nell’osservare il predominio esercitato dall’Occidente: le stesse denominazioni “religioni del mondo” o “Induismo” nascono nel contesto cristiano e servono esclusivamente a perpetuare la riproduzione della visione “eurocentrica” del mondo. Si tratta della promozione dell’universalismo cristiano sotto altre vesti, dimenticando le differenze, enormi, tra un mondo detto “religioso” e altri mondi “religiosi”. Lo stesso concetto di “religione” è stato sfruttato come fosse tutto occidentale ed appartenesse in proprio alla religione cristiana. La Masuzawa ritiene addirittura possibile che il paradigma “eurocentrico” sia servito al paradigma “cristocentrico” per riportare tutto il mondo indirettamente sotto l’idea cristiana universale. Mette insieme Cristiani, non Cristiani e visione secolare. Naturalmente, gli studi religiosi quale disciplina particolare si sono sviluppati in un contesto post-illuministico, capitalistico e cristiano, e di questo si deve tener conto. Ma il dominio imposto dall’Occidente e dal Cristianesimo è incontestabile. In questo senso, alcuni studi si sono spinti fino a richiamarsi a quello che Foucault definisce “i regimi del potere”. Si cercò, per esempio, attraverso l’idea delle “religioni del mondo” di avallare una religiosità “essenziale”, “omogenea”, “umana”, “universale”; ciò che in realtà non esiste e non è mai esistito. Il male endemico sarebbe il concetto stesso di religione, estrapolato dal contesto e posto unicamente a servizio del Cristianesimo. Si sarebbe creato il mito della “omogeneità” della religione, della sua “testualizzazione” (la religione sarebbe legata a testi sacri presenti in tutte le confessioni). A sua volta, la religione avrebbe confermato la “razionalità” del Cristianesimo ed avrebbe rinvigorito il concetto della “universalità” del mondo religioso cristiano. Dovremmo dunque concludere, alla fine di questa breve introduzione, che, se guardiamo agli ultimi due secoli, ed in particolare agli studiosi occidentali che hanno studiato il mondo orientale, non vantiamo un buon esempio di dialogo con le religioni orientali. A questo fatto basterebbe aggiungere il paradosso per cui, nel passato, abbiamo coltivato la presunzione di conoscere meglio le religioni dell’Oriente di quanto gli orientali stessi conoscessero il loro mondo.

2. Le nuove prospettive del Cristianesimo che incontra le religioni orientali.
Se il passato non è stato un tempo felice per il dialogo, il presente o il passato prossimo appaiono più importanti ed interessanti sotto il profilo della comprensione reciproca. Negli ultimi cinquant’anni, infatti, caduta ogni velleità colonialista anche di tipo culturale, è cominciato un altro approccio al mondo orientale, in particolare all’Induismo e al Buddhismo. Il Cristianesimo e l’Occidente non hanno imposto il loro dominio culturale e religioso, così le culture, con le rispettive religioni, si sono potute incontrare su un terreno di parità, ricerca di comprensione reciproca, dialogo vero. Naturalmente, sono molti gli studi prodotti in questi ultimi cinquant’anni e non mi è certo possibile presentarne qui una rassegna. Posso solo elencare alcuni temi particolarmente significativi per un incontro pratico. Le religioni indù e buddhista si presentano oggi nella loro peculiarità e, soprattutto, per la capacità di proporre ancora oggi “esperienza religiosa” forse in modo più moderno ed attraente rispetto alla visione cristiana. Voglio qui mettere a tema alcuni argomenti che possono farci apprezzare l’Oriente religioso in rapporto al Cristianesimo. Per necessità illustro solo temi generali e, soprattutto, temi che hanno un impatto pratico nella vita delle religioni.

L’esperienza religiosa personale
L’esperienza religiosa è presente nell’Induismo e nel Buddhismo con una grande forza spirituale che fa concorrenza – se così si può dire – al mondo cristiano. L’Indù è legato al culto delle divinità, ad esempio, Vishnu, Shiva, Ganesha, Krishna, considera il dio in forma personale e privata e si dedica al suo dio (istadevata) con pietà e grande dedizione. Di questa dedizione e devozione fanno parte le feste, i pellegrinaggi, l’adorazione del dio nel suo tempio e anche l’altarino che il buon Indù si costruisce a casa propria, quasi per avere un continuo colloquio con il suo dio. Questo breve abbozzo di pietà è rappresentato soprattutto da coloro che vivono il movimento bhakti, la religione della pietà e della devozione. A questa forma religiosa si possono avvicinare alcune forme di Cristianesimo. R. Otto, a questo livello, ha svolto un buon lavoro, ponendo a confronto, in un libro degli anni ’30, “la religione della grazia nell’Induismo e il Cristianesimo” (Gnadenreligion Indiens und das Christentum). Negli ultimi anni, sono molto numerosi i libri che studiano questo rapporto religioso tra le due religioni. Cito, tra gli altri autori, R. Pannikar, Monchanin e Dom Le Saux, il quale si è dedicato in particolare al rapporto tra la Trinità cristiana e l’advaita vedanta di Sankara. Occorrerebbe ricordare molti altri autori. Vanno menzionati, per i loro studi di confronto tra Induismo e Cristianesimo, il gesuita F. X. Clooney e Jacob Neusner.

La concezione di Dio e del divino
La concezione di Dio e del divino, costruisce pur essendo diversa da quella cristiana, ostituisce un tema interessante che andrebbe meditato a lungo. Mentre nel Buddhismo Dio appare l’orizzonte intangibile dalla ragione umana dell’assoluto innominabile ed indicibile, nell’Induismo la figura del divino appare sotto una duplice forma: una quasi umana in cui il dio è adorabile, a portata di mano, possiede un volto ed un nome, anche se questa divinità non è il supremo e l’assoluto. Abbiamo poi una seconda concezione dell’assoluto, quella in cui non si può più neppure parlare di Dio, ma soltanto dell’innominabile assoluto, dell’Atman-Brahman.
A quale di queste due figure tanto diverse appartiene il Dio dei Cristiani? Nel Cristianesimo, il Dio “incarnato” e il Dio “assoluto” si uniscono e fanno capo ad un’unica concezione del divino. Ma come combinare il Dio fatto uomo e l’assoluto ineffabile? Su questo si veda uno studio importante di F. X. Clooney: Hindu God, Christian God: How Reason Breaks Down the Boundaries between Religions, Oxford University Press, Oxford 2001. Si veda anche il mio saggio Aldo N. Terrin, L’assoluto e il Dio fenomenico nell’Induismo e nel Buddhismo, in “Hermeneutica”, Morcelliana, Brescia 1994, 247-277.

La concezione della “non violenza” (ahimsa)
Nell’Induismo e nel Buddhismo, a conferma di un’esperienza religiosa profonda, vi è un atteggiamento di non violenza e rispetto verso ogni vivente e senziente, che per noi Cristiani sembra toccare aspetti quasi paradossali. Eppure, si tratta di un aspetto fondamentale. Il rispetto assoluto di ogni forma di vita è un programma di vita, un modo di essere che crea una visione diversa dalla nostra cristiana. Noi siamo essenzialmente “antropocentrici”: crediamo che tutto sia in funzione dell’uomo. Pensiamo che la natura sia qualcosa di diverso e secondario rispetto alla persona umana. Con il principio dell’ahimsa e della non violenza, l’Oriente mette in qualche modo in crisi la nostra visione del rapporto uomo-natura. L’uomo fa parte della natura, è un essere naturale, non è al di sopra della natura. Qui ci sono molte implicazioni antropologiche che ancora non sono state approfondite e che l’Oriente dell’Induismo e del Buddhismo può aiutarci ad approfondire. Per altre riflessioni si veda Aldo N. Terrin, Violenza e non violenza nelle religioni, in “Credereoggi” 93(1996), 5-18.

La negazione dell’io e l’ascesi
Vorrei dire un’ultima parola su ciò che è più peculiare dell’Oriente religioso e cioè la negazione dell’io e la pratica dell’ascesi. Il senso religioso profondo si manifesta concretamente in questi due atteggiamenti fondamentali che riguardano la “rinuncia di sé” e la capacità di condurre un’esistenza all’insegna della mortificazione e dell’ascesi.
La rinuncia al proprio io è una condizione indispensabile per la religione indù e lo è ancora di più per il mondo buddhista. Chi è legato al proprio io non può neppure dirsi religioso; non può scoprire l’Atman, il sé profondo, il divino stesso dentro ciascun uomo. Nel mondo buddhista, l’io non esiste neppure, la persona è solo un insieme di cinque componenti e perciò il voler essere legati al proprio io è la più grande menzogna che possa essere detta e vissuta. Sono forme esperienziali forti che meritano di essere approfondite anche all’interno del Cristianesimo: anche il Cristianesimo porta dentro un’esigenza ascetica forte ed ineliminabile, anche se questa istanza è stata via via addolcita nel mondo cristiano occidentale.
Queste sono solo alcune riflessioni che stanno alla base del dialogo Cristianesimo-religioni orientali. Naturalmente, meritano approfondimenti ben più importanti di quanto abbia potuto fare io in questo breve spazio. Oggi, le religioni devono crescere insieme poiché hanno molto in comune.

Aldo Natale Terrin
Professore Ordinario di Storia delle Religioni e Antropologia Culturale
Università Cattolica di Milano e Università di Urbino

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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