Non c’è giustizia senza vita

Nel 2009 le esecuzioni sono state 5.679, a fronte delle almeno 5.735 del 2008 e delle 5.851 del 2007. È confortante, inoltre, la diminuzione dei Paesi che hanno fatto ricorso alle esecuzioni capitali, passati dai 26 degli anni scorsi ai 18 del 2009, i Paesi mantenitori della pena di morte sono oggi scesi a 43; erano 48 nel 2008 e, andando ancora più indietro, 54 nel 2005.

Si è celebrata il 30 novembre scorso la nona edizione della Giornata internazionale delle “Città per la vita, città contro la pena di morte”, promossa in 1300 località di 85 Paesi del mondo dalla Comunità di Sant’Egidio. La data ricorda l’abolizione della pena capitale nel Granducato di Toscana, il primo tra i Paesi europei a farlo, nel 1786. Cresce ogni anno la mobilitazione e il consenso alle campagne abolizioniste, come conferma il voto dell’11 novembre nella terza commissione dell’Assemblea generale dell’Onu: la risoluzione a favore di una moratoria universale della pena di morte ha ottenuto il voto favorevole di 107 Paesi, a fronte di 38 contrari e 36 astenuti. Nonostante si registrino piccoli passi in avanti, la strada è però ancora lunga. Per accorgersene, basta scorrere i dati diffusi dall’associazione “Nessuno tocchi Caino”: nel 2009, le esecuzioni di cui si è a conoscenza sono state 5.679, contro le 5.735 del 2008 e le 5.851 del 2007. È confortante, inoltre, la diminuzione dei Paesi che ne hanno fatto ricorso, passati dai 26 degli anni scorsi ai 18 del 2009. I Paesi mantenitori della pena di morte sono oggi scesi a 43. Erano 48 nel 2008 e, andando ancora più indietro, 54 nel 2005. A guidare la macabra classifica è sempre la Cina, in cui ha avuto luogo l’88% delle esecuzioni dell’anno scorso: circa 5.000. 402 è il totale di quelle effettuate in Iran e 77 in Iraq. Seguono l’Arabia Saudita con 69, gli Stati Uniti con 52 e lo Yemen con 30. Ancora una volta, l’Asia si conferma il continente dove si pratica la quasi totalità delle esecuzioni nel mondo.

Le Americhe, invece, sarebbero praticamente libere dalla pena capitale, se non fosse per gli Stati Uniti. Lo stesso vale per l’Europa, dove è rimasto un unico Stato a farvi ricorso: la Bielorussia. In una recente intervista ad un giornale tedesco, il presidente Lukashenko non ha escluso che presto la pena di morte possa essere sostituita dal carcere a vita. Intanto, però, nel marzo scorso, due uomini sono stati giustiziati per omicidio. La Russia, in realtà, continua a contemplarla nel proprio ordinamento, ma è allo stesso tempo impegnata ad abolirla in quanto membro del Consiglio d’Europa e dal 1996 rispetta una moratoria legale delle esecuzioni. La recente condanna a morte per impiccagione di un giovane in Giappone apre una finestra su un aspetto particolarmente doloroso: la pena capitale non risparmia i minorenni, nonostante ciò sia in aperto contrasto con numerose Convenzioni internazionali. Nel 2009, almeno 8 persone di età inferiore a diciott’anni al momento del reato sono state giustiziate in Iran (5) e in Arabia Saudita (3), mentre condanne a morte nei confronti di minorenni sono state emesse, ma non eseguite, negli Emirati Arabi Uniti, a Myanmar, in Nigeria e in Sudan. In diversi Paesi, inoltre, la pena di morte continua ad essere considerata un segreto di stato, per cui è difficile ottenere dati certi. Gli stessi parenti dei condannati, in taluni casi, vengono informati solo ad esecuzione avvenuta. Particolare scalpore ha suscitato nei mesi scorsi il caso della giovane iraniana Sakineh, riconosciuta colpevole di omicidio ed adulterio e destinata ad essere lapidata, se gli appelli giunti da ogni parte del mondo non riceveranno ascolto. Sospeso ad un filo è anche il destino di Asia Bibi, la donna pakistana condannata all’impiccagione per blasfemia e a favore della quale si è alzata anche la voce di Benedetto XVI. Negli stessi giorni, rimbalzava sui media internazionali la notizia della condanna a morte di Tarek Aziz, ex vice del dittatore iracheno Saddam Hussein.

Nonostante l’assicurazione dell’attuale presidente Jalal Talabani circa la volontà di non firmare l’ordine di esecuzione, non cala l’apprensione dei familiari. Particolarmente fluida è la situazione degli Stati Uniti. Da una parte, si registra una diminuzione delle condanne, che nel 2009 si sono fermate a 106, il numero più basso da quando, nel 1976, è stata reintrodotta la pena capitale. Dall’altra, va segnalato un lieve aumento delle esecuzioni rispetto ai due anni precedenti. Nel registro delle condanne calano vistosamente il Texas e la Virginia, mentre cresce sensibilmente la California. Complessivamente, i detenuti nei bracci della morte americani continuano ad essere oltre 3.200, comprese 53 donne. Alle iniziative promosse a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio, è intervenuto Ron Carlson, il fratello di Deborah, la vittima dell’omicidio commesso nel 1983 da Karla Tucker, giustiziata poi nel 1998. L’uomo ha compiuto un cammino interiore, dal desiderio di vendetta al perdono, e oggi è un deciso sostenitore dell’abolizione della pena capitale. “Non c’è giustizia senza vita” è lo slogan diffuso dall’associazione, come ribadisce il suo portavoce, Mario Marazziti: “La pena capitale abbassa la società intera al livello di chi uccide. Anche di fronte a chi ha compiuto crimini orrendi, abbiamo il dovere di essere migliori, proprio per dire che è sbagliato, sempre, uccidere”.

Ernesto Diaco
Vice responsabile Servizio nazionale CEI – Conferenza Episcopale Italiana – per il Progetto Culturale

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