La pena capitale è un residuo del passato

Oggi l’attenzione per i diritti umani è incomparabilmente più alta che in ogni altra epoca del passato. Il numero di persone impegnate e coinvolte in organizzazioni, istituzioni e programmi che hanno tra le loro principali finalità l’abolizione della pena capitale è certamente il più alto che si sia mai registrato, in Italia, in Europa o nel mondo intero.

Tanti aspetti possono caratterizzare un secolo da un punto di vista storico. All’alba del XXI secolo, Tzvetan Todorov ebbe modo di definire quello appena trascorso il secolo delle tenebre, in quanto caratterizzato dal “manifestarsi di un male nuovo, di un regime politico inedito, il totalitarismo, che, al suo apogeo, ha dominato su buona parte del mondo”. Anche se molti analisti di politica internazionale concordano nel ritenere che, nel XXI secolo, l’Asia assurgerà a centro del mondo, mentre Europa ed America scivoleranno nella periferia, risulta impossibile indicare quale sarà l’avvenimento che più di altri qualificherà questo secolo. Tuttavia, sbilanciandoci – ed è un chiaro auspicio – potremmo dire che esso sarà contrassegnato dalla liberazione dalla pena di morte. Nell’ultimo decennio, infatti, il mondo è stato testimone di una grandissima accelerazione nel processo di abolizione della pena capitale. L’attenzione per i diritti umani è oggi incomparabilmente più alta che in ogni altra epoca del passato. Il numero di persone impegnate e coinvolte in organizzazioni, istituzioni e programmi che prevedono, tra le proprie principali finalità, l’abolizione della pena capitale è certamente il più alto che si sia mai registrato, in Italia, in Europa e nel mondo intero. In tal senso, sono stati intrapresi passi importanti affinché diventino realtà le risoluzioni per una moratoria sulle esecuzioni approvate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2007 e nel 2008. Negli ultimi vent’anni, numerosi Paesi hanno abolito la pena capitale per tutti i reati. Diversi l’hanno decretato nel 2009: New Mexico (USA), Kazakhstan, Burundi, Togo. È così salito a 95 il numero dei Paesi che hanno eliminato la pena capitale dal loro codice penale (nel 2004 erano 79) e a 144 il numero dei Paesi che non la praticano, legalmente o di fatto, da oltre 10 anni. Con l’abolizione della pena capitale in Gabon, approvata definitivamente agli inizi del 2010, il mondo si sta avvicinando ad un numero importante: tra pochi anni, saranno 100 le Nazioni che rifiutano l’uso di una pratica così crudele e disumana. Nel 2009, nell’intero continente americano, gli Stati Uniti d’America (USA) sono stati l’unico Paese ad eseguire condanne a morte. Nell’Africa Sub-Sahariana, soltanto due Stati hanno messo a morte dei condannati: Botswana e Sudan.

In Asia, non ci sono state esecuzioni in Afghanistan, Indonesia, Mongolia e Pakistan: per queste Nazioni, si tratta del primo anno senza condanne capitali da molto tempo. Sempre nel 2009, per la prima volta nel corso della storia moderna, nell’intera Europa e in tutti gli Stati dell’ex Unione Sovietica non sono state registrate esecuzioni. Secondo i dati di Amnesty International, nel 2009 le esecuzioni e le condanne a morte sono drasticamente diminuite rispetto agli anni immediatamente precedenti. Nel 2009 ci sono state 714 esecuzioni in 18 Paesi (su 58 che ancora mantengono formalmente la pena capitale nei loro ordinamenti). Ovviamente, il dato non include le numerose esecuzioni che si ritiene siano avvenute in Nazioni che ancora si rifiutano di divulgare dati e statistiche sull’uso della pena di morte. Alla data del 31 dicembre 2009, almeno 17.118 persone risultavano rinchiuse nei bracci della morte di tutto il mondo. Si tratta di un dato minimo, ma è quello più affidabile e costituisce il risultato delle ricerche condotte da Amnesty International. Nei Paesi dove continuano ad essere emesse condanne a morte, la commutazione e le concessione della grazia diventano sempre più frequenti. In Kenya, in quella che è stata definita la più grande commutazione di massa, nell’agosto del 2009 il governo ha annunciato che più di 4.000 condannati a morte avrebbero visto la loro sentenza commutata in ergastolo. Il Kenya non esegue condanne a morte dal 1987. Negli ultimi due anni, si sono avute commutazioni e concessioni di grazia in Arabia Saudita, Corea del Sud, Dominica, Ghana, Iran, Libia, Malaysia, Marocco/Sahara Occidentale, Mongolia, Nigeria, Qatar, Saint Vincent e Grenadine, Sierra Leone, Taiwan, Uganda, USA e Zambia. Il 2010 si è aperto con importantissimi fatti in Asia. Il 12 gennaio 2010, il Consiglio della Shura dell’Arabia Saudita ha approvato un emendamento al codice penale che rende più difficile l’esecuzione delle sentenze capitali. E, soprattutto, il 14 gennaio 2010, con uno storico discorso in Parlamento, il Presidente della Mongolia, Tsakhiagiin Elbegdorj, ha solennemente proclamato l’introduzione di una moratoria ufficiale delle esecuzioni, decretando la commutazione automatica di tutte le sentenze capitali in 30 anni di reclusione. Ha inoltre manifestato apertamente la sua intenzione di giungere quanto prima all’abolizione totale ed incondizionata dell’istituto.

Il Parlamento del Kyrgyzstan, il 18 febbraio 2010, ha ratificato il II Protocollo sull’abolizione della pena di morte. La legge che in Kirghizistan ha sostituito la pena capitale con l’ergastolo risale a giugno 2007. Arriviamo ai giorni nostri con importanti notizie provenienti dall’Africa e dal continente americano: sono almeno 167 i prigionieri nel braccio della morte in Uganda che il 14 settembre 2010 hanno ricevuto la commutazione della pena in ergastolo e, recentemente, il 14 ottobre 2010, il parlamento della Guyana ha abolito la pena di morte obbligatoria per chi commette omicidio. La Comunità di Sant’Egidio spera e ritiene che il trend globale verso l’abolizione della pena capitale continuerà a crescere, come testimonia la recente approvazione, avvenuta l’11 novembre scorso nella Terza Commissione dell’Assemblea Generale dell’Onu, a New York, della nuova Risoluzione per una Moratoria Universale delle esecuzioni, con 107 voti a favore, 38 contrari e 36 astensioni. La pena di morte diventa più piccola: è dimostrato non solo dal voto in più a favore della moratoria rispetto alle risoluzioni precedenti, ma, soprattutto, dagli otto voti in meno contrari. È il frutto di un lavoro intenso, svoltosi anche nel Palazzo di Vetro. La crescita del numero dei co-sponsor ha reso il testo della nuova Risoluzione “più universale”. La Comunità di Sant’Egidio ha lavorato direttamente sui due Paesi, Mongolia e Maldive, passati dal fronte contrario al fronte abolizionista. È una prova che il cambiamento si afferma anche in Asia e nelle Nazioni a tradizione musulmana. È inoltre opportuno sottolineare l’intenso impegno della Comunità di Sant’Egidio svolto nel percorso di accompagnamento legislativo e nel rapporto con le opinioni pubbliche e i Ministri della Giustizia in Tanzania, Gabon, Togo, Guatemala e altri venti Paesi africani, latino americani ed asiatici. Risulta quindi possibile rendere prassi di giustizia la storica Risoluzione approvata nel 2007, che fissa l’abolizione della pena capitale come un nuovo standard nel rispetto dei diritti umani nel mondo. La nuova Risoluzione è, ancora una volta, il frutto di una grande sinergia, istituzionale e a livello di organizzazioni, della società civile. L’Europa ha dimostrato che può rivestire un ruolo significativo: una prova generale di politica estera unitaria ha visto impegnati in egual misura tutti gli Stati membri, con, in prima fila, la Missione Italiana all’ONU. Un ruolo esercitato con discrezione e in collaborazione con la “task force” internazionale formata da dieci Paesi, dall’Argentina alla Nuova Zelanda, dal Burundi a Timor Est, a riprova di una mutata sensibilità del mondo. Il lavoro delle organizzazioni internazionali raccolte nella World Coalition Against the Death Penalty ha fatto il resto.

La comunità internazionale sta diventando sempre più consapevole della necessità di abolire l’istituto, non solo nel contesto delle Nazioni Unite. Occorre continuare a sostenere tanti avvenimenti che attestano gli importanti progressi registrati nella prima decade del nuovo secolo: si pensi, in particolar modo, al consistente calo delle esecuzioni in Cina e al mutato clima negli Stati Uniti e nell’India, pervenuti ai minimi storici nel numero di esecuzioni. Un processo, quindi, che continua, e che vede sempre più necessaria una giustizia capace di rispettare sempre la vita, che non abbassi mai lo Stato e la Società civile al livello di chi uccide. È un nuovo standard morale e di rispetto dei diritti umani che si afferma nella coscienza del mondo, lentamente, ma stabilmente. Dalla seconda metà degli anni ’90, la battaglia contro la pena capitale è diventata uno dei terreni di impegno globale ed una priorità della Comunità di Sant’Egidio. Essa ha intensificato la promozione di attività di sensibilizzazione sulla pena di morte in diverse parti del mondo, attraverso incontri cittadini, dibattiti pubblici ed assemblee in istituti scolastici, parrocchie e sedi di Associazioni e ONG. La Comunità di Sant’Egidio ha raccolto oltre 5 milioni di firme, in 153 Paesi del mondo, per rivolgere un appello volto ad una Moratoria universale. Tutte le firme, consegnate al Presidente dell’Assemblea Generale dell’Onu a novembre 2007 (alla vigilia dell’approvazione della prima Risoluzione), hanno contribuito a sostenere, attraverso il peso delle società civili, l’approvazione della prima Risoluzione per la Moratoria universale del 2007.

La Comunità di Sant’Egidio ha iniziato il suo impegno con la vicinanza concreta ai condannati a morte, attraverso visite, corrispondenza, difesa legale, l’umanizzazione della condizione di vita carceraria. È diventata, negli anni, una protagonista globale della battaglia per una moratoria universale e per l’abolizione della pena capitale nel mondo. Nel 2002, ha lanciato la Giornata Internazionale delle Città contro la Pena di Morte, che si celebra il 30 novembre di ogni anno, nell’anniversario della prima abolizione da parte di uno Stato della pena capitale, il Granducato di Toscana, il 30 novembre 1786. Il 30 novembre 2010, più di 64 capitali e oltre 1.300 città di 85 diversi Paesi nel mondo hanno dato vita, nell’ambito della nona edizione della Giornata Mondiale Cities for Life, a prese di posizione ufficiali dei Municipi e dei Consigli cittadini, attraverso mobilitazioni, marce, sit in, spettacoli ed assemblee pubbliche, tenutesi anche nelle scuole e nelle Università. È stata la più grande mobilitazione contemporanea planetaria volta ad indicare una forma più alta e civile di giustizia, capace di rinunciare definitivamente alla pena capitale. Alla Giornata Internazionale hanno partecipato anche città di Paesi mantenitori della pena capitale. La loro partecipazione rappresenta un’opportunità importante. Si sono così aperte occasioni di coinvolgimento di strati più larghi della società civile anche in aree in cui la pena di morte è praticata, rafforzando l’iniziativa di attivisti ed organizzazioni locali all’interno di una rete internazionale. Concludendo, potremmo dire che l’approvazione, in quattro anni, di tre Risoluzioni per una Moratoria Universale della pena capitale all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite conferma una tendenza del mondo verso una nuova soglia, più alta, di rispetto dei diritti umani. La pena capitale è un residuo del passato, come a lungo lo sono stati la schiavitù e la tortura, poi rifiutati dalla coscienza universale. Tuttavia, la strada verso la sua eliminazione resta lunga e difficile e necessita di un’azione decisa e a lungo termine. L’obiettivo è l’implementazione delle Risoluzioni tese all’abolizione totale e definitiva di questa misura punitiva.

Antonio Salvati
Membro del coordinamento “No alla pena di morte” della Comunità di Sant’Egidio

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