Tecnologie robotiche

Una delle sfide dello sviluppo tecnologico è quella di contribuire al miglioramento della qualità della vita intesa nella sua accezione più estesa. Chi opera nel settore della riabilitazione cognitivo comportamentale è quotidianamente impegnato con soggetti i cui disturbi sono diversi e spesso non semplici da trattare. Sulla base di queste preliminari considerazioni, obiettivo del contribuito è presentare le potenzialità delle tecnologie robotiche intese come ausili riabilitativi al fine di favorire nei soggetti affetti da sindrome autistica quelle abilità cognitive e comportamentali che risultano essere danneggiate.

Negli ultimi anni, in ambito riabilitativo, alle tradizionali tecniche ed agli strumenti terapeutici si sono affiancati approcci che sfruttano le potenzialità delle tecnologie, in particolare degli artefatti robotici di vario genere e complessità funzionale (esempi sono i robot della Lego, Sony Aibo e altri agenti costruiti per essere impiegati a scopo riabilitativo). Sebbene le tecnologie informatiche siano parte integrante delle odierne procedure di riabilitazione cognitiva, che interessano principalmente l’area della logopedia, l’introduzione delle tecnologie robotiche è recente e risale, orientativamente, agli anni ‘90. Dal punto di vista educativo, le tecnologie, comprese quelle robotiche, sono state sempre considerate degli oggetti con cui pensare, delle impalcature cognitive in grado di supportare gli studenti nel realizzare processi di pensiero costruttivi e creativi.

L’uso di oggetti fisici dotati di potenza computazionale, in grado, cioè, di elaborare l’informazione proveniente dall’esterno per poi esprimere dei comportamenti all’interno dell’ambiente, permette ai soggetti di creare dei legami concettuali tra il comportamento del sistema artificiale e le operazioni di pensiero che per loro natura implicano un alto grado di astrazione. In aggiunta, l’evoluzione degli attuali agenti robotici è tale da permettere loro di esibire comportamenti connotati da un alto grado di realismo, aumentando così il livello di interazione con gli utenti. Grazie a queste potenzialità, diverse sono le ricerche che sperimentano l’utilizzo di agenti robotici nel settore della riabilitazione di soggetti affetti da disturbi come l’autismo ed il ritardo mentale. In questa occasione, rivolgeremo l’attenzione solo all’autismo, un disturbo congenito che in alcuni casi può essere di origine genetica, in altri può derivare da lesioni cerebrali subite nella fase prenatale. Secondo l’American Psychiatric Association (1994), i soggetti affetti da autismo manifestano gravi deficit nell’interazione sociale e nell’acquisizione del linguaggio. Manifestano altresì la propensione a compiere azioni ripetitive e si caratterizzano per la limitata gamma di stimoli capaci di attirare la loro attenzione.

Altri contegni tipici dei soggetti autistici sono l’incapacità di sostenere un contatto visivo prolungato, sincronizzare le espressioni emotive con quelle di altre persone e impegnarsi nell’attenzione visiva congiunta. È evidente, pertanto, che a livello riabilitativo i soggetti autistici necessitano di un ambiente educativo e sociale che promuova, in modo sistematico, l’interazione con i propri pari e gli adulti. Il problema è come arricchire questi ambienti al fine di stimolare l’attenzione dei soggetti. Un gruppo di studiosi ha deciso di sfruttare le potenzialità delle tecnologie robotiche per fini riabilitativi, creando delle situazioni in cui i soggetti sono stimolati all’interazione. L’obiettivo di usare gli artefatti robotici per scopi terapeutici e riabilitativi è quello di supportare e potenziare lo sviluppo e la maturazione cognitiva di soggetti con deficit relazionali come la sindrome dell’autismo. Ciò è stato possibile grazie allo sviluppo delle tecnologie robotiche, le quali permettono un alto livello di interazione e collaborazione con gli utenti, poiché riescono ad adattarsi agli stimoli che percepiscono dall’ambiente all’interno del quale operano. I soggetti autistici, pertanto, sono stimolati ad impegnarsi attivamente poiché gli agenti robotici riescono ad attrarre il loro interesse stabilendo così delle interazioni che li aiutano ad uscire dal loro isolamento. In questi meccanismi di interazione sono coinvolti processi come l’attenzione e la capacità di rispondere, ricorrendo all’imitazione, ad alcune delle azioni che il robot realizza mentre opera all’interno dell’ambiente. Kerstin Dautenhahn, professore presso l’Università di Hertfordshire, è stata la prima ricercatrice a sperimentare un simile approccio riabilitativo nell’ambito del progetto AURORA (Autonomous mobile Robot as a Remedial tool for Autistic children – http://www.aurora-project.com/).

È importante fare riferimento a questo progetto per vari motivi. Tra questi, ricordiamo gli approcci che i ricercatori hanno identificato per investigare l’interazione tra bambino autistico e robot: 1) il bambino osserva il movimento di un robot e, in modo occasionale, inizia ad interagire con l’artefatto toccandolo. In questa fase l’attenzione ha un ruolo importante. 2) Il bambino, con il supporto dello sperimentatore, è incoraggiato ad interagire con il robot. In questa circostanza, il robot imita i movimenti del bambino. 3) Il bambino, lasciato solo con il robot, inizia a giocare, mentre lo sperimentatore manovra il robot. I risultati di queste ricerche sono alquanto soddisfacenti. Si è notato, infatti, che i bambini autistici migliorano i tempi di attenzione, per cui sono in grado di focalizzare ed orientare lo sguardo verso l’oggetto che stanno osservando. A conferma di ciò, vi è anche un incremento delle azioni finalizzate con contestuale riduzione di quelle ripetitive. L’azione finalizzata manifesta una programmazione a livello cognitivo dei comportamenti da eseguire orientandone il movimento verso l’oggetto di interesse. Queste abilità implicano anche la trasformazione ed il miglioramento delle interazioni ,prima tra bambino e artefatto robotico e poi all’interno del contesto sociale. In definitiva, le tecnologie robotiche possono costituire un valido strumento riabilitativo, ovviamente non lasciato al caso, ma inserite all’interno di un percorso strutturato con il supporto delle figure professionali impegnate nella fase di riabilitazione.

Tiziano Agostini
Professore Ordinario, Direttore Dipartimento Psicologia Università di Trieste

Rocco Servidio
Docente Università della Calabria

Rispondi