Ricorrere alla magistratura

Franco Bomprezzi

L’inclusione scolastica piena e corretta non è una concessione dall’alto, ma è uno di quei diritti non negoziabili ed essenziali che fanno parte ormai in modo indiscutibile della nostra cultura legislativa e pedagogica.

La legge 67/2006 è ancora scarsamente conosciuta e, di conseguenza, poco utilizzata nel nostro Paese. Eppure, è di fondamentale rilievo giuridico e pratico. Riporto, per la loro chiarezza, il secondo ed il terzo comma dell’art. 2: “2. Si ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga. 3. Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone”.

Ecco perché Ledha, la Lega per i diritti delle persone con disabilità, ha deciso di avvalersi di questa legge per tutelare il diritto alla piena inclusione scolastica degli alunni con disabilità. È stato infatti presentato, nei giorni scorsi, il ricorso antidiscriminatorio per contestare l’adeguata assegnazione delle ore di sostegno a livello regionale, in Lombardia. Per la prima volta a livello collettivo, 30 genitori di 17 ragazzi con disabilità hanno depositato un ricorso, riferito all’anno scolastico 2010 – 2011, per ricordare che “il diritto del disabile al sostegno scolastico si configura nel nostro ordinamento come diritto fondamentale della persona, non comprimibile e non soggetto ad adeguamenti con altri interessi, quali quello di bilancio”. “Nel ricorso, depositato il 10 novembre – spiega l’Avvocato Gaetano De Luca, del Servizio Legale LEDHA – si sostiene che il numero di cattedre predisposte per il sostegno (nonostante i recentissimi aumenti) è ancora assolutamente insufficiente per garantire un adeguato supporto che consenta agli alunni con disabilità di frequentare la scuola alla pari degli altri. In altre parole, si sostiene che tale sistema non è sufficiente per rispettare il principio di uguaglianza sostanziale su cui si basa la tutela antidiscriminatoria”.

Al tribunale di Milano viene dunque chiesto di “accertare e dichiarare il carattere discriminatorio del comportamento tenuto dall’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia nell’aver previsto una dotazione di organico di insegnanti di sostegno inferiore a quella necessaria per soddisfare il fabbisogno e di aver attribuito agli alunni in questione un numero di ore di sostegno scolastico inferiore a quello necessario”. Fin qui le notizie relative ad un’iniziativa per certi versi clamorosa, ma che, in effetti, è semplicemente un atto dovuto da parte di una realtà associativa come Ledha, nata oltre trent’anni fa proprio per tutelare i diritti, ancor prima che per rivendicare il soddisfacimento dei bisogni. È infatti sempre più evidente che l’inclusione scolastica piena e corretta non è una concessione dall’alto, ma è uno di quei diritti non negoziabili ed essenziali che fanno parte ormai in modo indiscutibile della nostra cultura legislativa e pedagogica. È evidente come non si metta in discussione l’operato delle singole persone, funzionari pubblici chiamati molto spesso a fare i conti con una burocrazia difficile da organizzare, con risorse economiche decisamente ridotte, e con tagli di organico decisi a livello nazionale, anche se talvolta mascherati e camuffati da riorganizzazione e razionalizzazione. Ma se non si pone la questione dell’inclusione scolastica dal punto di vista oggettivo e ineludibile della discriminazione, non si rende neppure percepibile all’opinione pubblica la gravità della situazione. La prassi quotidiana, infatti, intessuta di piccole e grandi rinunce, di estenuanti mediazioni, di trattative svolte a livello personale e familiare, ancor prima che vi sia una dimensione di tutela associativa, vanifica giorno dopo giorno la qualità dell’inclusione scolastica, parcellizzata ad una questione di numero di ore, servizi minimi di trasporto e di assistenza, competenze che rimbalzano fra istituzioni pubbliche che dovrebbero lavorare fianco a fianco, nell’interesse dei cittadini, e spesso non lo fanno.

Non è un caso se ultimamente si assiste ad un fenomeno, in parte spontaneo, in parte suggerito e pilotato, di riscoperta di scuole “speciali”, separate, ritenute più idonee a garantire quanto meno “serenità” e “attenzione” agli alunni con disabilità. Si tratta, evidentemente, di un fenomeno originato dalla stanchezza, dalla delusione, dalla paura che possano verificarsi, all’interno di una scuola pubblica inadeguata, ulteriori e più gravi danni al processo di formazione di una giovane persona con disabilità. Ma si tratta pur sempre di cedimenti alla discriminazione di fatto. È importante, dunque, ripensare le ragioni profonde, e il grande valore di civiltà educativa, dell’inclusione scolastica, non tenendo solo conto dei diritti delle persone con disabilità, ma anche della crescita culturale, sociale ed umana della scuola nel suo complesso, favorita e non danneggiata dalla presenza di alunni disabili.

Franco Bomprezzi
Portavoce Ledha – Lega dei diritti delle persone con disabilità
giornalista, scrittore, Cavaliere della Repubblica Italiana

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