Prima dell’integrazione scolastica

Un ricordo di quanta fiducia un’insegnante fosse riuscita a trasmettere e che tipo di ambiente fosse riuscita a costruire: elementi fondamentali per la nostra vita futura, per la costruzione autonoma della nostra personalità e per un confronto sereno con i compagni di classe normodotati.

Le parti del documento che avete appena letto sembrano appartenere ai nostri giorni e riferirsi ad un alunno perfettamente “normale”, del quale capiamo solo che è di sesso maschile, come “normale” sembra essere l’insegnante che le ha scritte. Invece, quelle parole ci invitano a collocarci in un tempo diverso dal nostro, regolato da altre leggi, organizzato in strutture diverse, che garantiva (o non garantiva) risorse e servizi di altro tipo. Per capire quel documento, dobbiamo immaginare di compiere un viaggio a ritroso nel tempo. C’è un problema, però. È vero che le parole risalgono a quarant’anni fa, ma come mai sembrano così attuali? Perché, toccandole, non ci resta della polvere sulle dita? Che cosa ci dicono, ora che stiamo svelando il mistero? Quelle parole sono attuali in quanto, a loro modo, profetiche.

Sono state scritte nel 1970, e costituiscono il giudizio di fine anno relativo ad un bambino disabile, quando l’integrazione scolastica ancora non c’era. O, meglio, dimostrano che già prima del 1977 poteva esserci (o essere auspicata) l’integrazione “prima dell’integrazione”, prima, cioè, che venissero votate ed applicate le leggi che chiudevano le classi “speciali”. Solo che, in assenza di contesti “ufficiali” e strutturati, ed in assenza di soggetti che portassero avanti istanze e lotte culturali volte a favorire l’integrazione degli alunni con deficit, la sua realizzazione veniva affidata alle singole persone, alcune delle quali, come questa maestra, riuscivano ottimamente nel loro compito. Non ho potuto riportare integralmente il testo di questa pagella e di quelle degli anni precedenti e successivi, ma emerge il ritratto di un’insegnante che aveva già intuito la necessità di superare le classi differenziate e che, nel rapporto umano e di docenza con i suoi alunni, si comportava come avrebbe fatto se si fosse trovata ad insegnare in una scuola “normale”. Aveva “profeticamente” capito che un rapporto paritario sarebbe stato in futuro l’orizzonte e l’obiettivo pedagogico di riferimento e che gli alunni che aveva di fronte non erano “meno normali” degli altri. Che si trattava più che altro di riorganizzare i contesti, che era ed è a questo livello che si poteva e si può lavorare per tentare di ridurre gli handicap.

L’alunno in questione sono io. Pochi giorni fa, ho ritrovato casualmente quei fogli, imbucati in un cassetto pieno di altri documenti: per me sono stati la conferma sconvolgente di un ricordo che avevo, ma che non riuscivo a confermare nemmeno a me stesso, mancandomi le prove. Ovvero, il ricordo di quanta fiducia questa insegnante fosse riuscita a trasmettermi e che tipo di ambiente (di relazioni e di stimoli pedagogici) fosse riuscita a costruire per me e per i miei compagni: elementi fondamentali per la nostra carriera scolastica, per la nostra vita futura, per la costruzione autonoma della nostra personalità e per un confronto sereno con i compagni di classe normodotati negli anni post-‘77. È difficile spiegare la portata di quanto quella maestra ha fatto e di quanto avesse intuito anche solo seguendo la sua sensibilità di persona e di docente. Un’intuizione che nasceva dall’esperienza delle cose e delle persone, e per la quale la necessità di superare le classi differenziate si mostrava come ovvia, scontata e pressante. Un superamento che lei sapeva, però, dipendere anche dal suo impegno con quegli alunni: l’integrazione veniva vista come necessità, le cui condizioni andavano stimolate e preparate con un lavoro attento, con una cura paziente. Allora, “prima dell’integrazione”, come oggi, “durante l’integrazione”. Che non si dà per legge nemmeno quando una legge c’è e che chiama in causa noi come singoli e noi come parte di una comunità. Mi chiedo, allora, quanti altri gesti di integrazione “prima della legge” possano esserci stati, a scuola e altrove. Mi piacerebbe che mi raccontaste quelli di cui siete stati protagonisti, beneficiari o semplicemente testimoni. Scrivete, come sempre, a claudio@accaparlante.it o cercate il mio profilo su Facebook. E tanti auguri (a studenti e insegnanti) per questo nuovo (difficile) anno scolastico.

Claudio Imprudente
Presidente del Centro Documentazione Handicap di Bologna; direttore della rivista “HP- Accaparlante”;
animatore e ideatore del “Progetto Calamaio”

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