Diritti di cittadinanza

Da troppo tempo, ormai, le decisioni sulla scuola vengono assunte nella Legge Finanziaria, in commi sottocommi e codicilli. Questi “taglieggiare” le risorse finanziarie consolida l’idea della scuola come spreco e si umilia pesantemente il valore professionale delle persone che ci lavorano.

Premessa
Nella babele lessicale e/o terminologica, unita ad una certa dose di ipocrisia con cui, nel tempo, si definiscono minorazioni, deficit, handicap, si finisce spesso per dimenticare che, in ogni caso, si parla di persone. Di conseguenza, in omaggio ad un linguaggio condivisibile e condiviso, ho preferito adottare la definizione generale del titolo per motivare una lettura finalizzata a ri-costruire il percorso/processo dell’integrazione scolastica dell’“handicap”, nella dimensione individuale e collettiva, anche attraverso l’analisi della produzione legislativa rapportata al contesto storico-culturale.

Prima di affrontare una necessaria, ma defatigante ricostruzione normativa, mi sembra utile recuperare un’analisi storico – culturale dei cambiamenti di contesto, se è vero, com’è vero, che le domande del presente interrogano il passato, anche quello relativamente più remoto, per consentirci di diventare capaci di progettare il futuro. L’attenzione per i diversi tipi di minorazione/handicap nasce con l’età moderna: Girolamo Cardano (1501-1576) sostiene l’educabilità dei sordi, Luis Vives (1492 -1540), pur convinto dell’inferiorità intellettuale delle donne, é altresì convinto della possibilità di intervenire sui malati di mente. Ma è soprattutto Jan Amos Komensky – Comenio (1592-1670), il quale, con il suo omnes omnia docere, continua, ancor oggi, a “parlare” alle sfide contemporanee dell’educazione. La concretezza degli interventi in quel periodo storico si scontra con gli imperscrutabili disegni della Provvidenza, attirando le accuse di superbia verso ogni intervento finalizzato a modificare ciò che il Creatore ha stabilito.

Nel XIX secolo, abbiamo le esperienze di Itard, gli studi di Séguin (1812 -1880) sugli idioti, passando poi per le esperienze di vari altri autori: Montessori, Decroly, Don G.B. Cottolengo, Don G. Bosco e Don G. Calabria. E perché non ricordare anche J. Dewey, filosofo e pedagogista statunitense (Burlington 1859 – New York 1952), e mio credo pedagogico. Io credo che ogni educazione derivi dalla partecipazione dell’individuo alla coscienza sociale della specie (J. Dewey – Democrazia e educazione, trad. it. E. Enriques Agnoletti e P. Paduano, La Nuova Italia, Milano, 2000). Se allarghiamo il contesto storico all’intero “sistema scolastico”, ci potremmo perfino accorgere che, se l’Italia sta per compiere 150 anni, la scuola pubblica li ha già compiuti… La scuola, di fatto e di diritto, nasce con la Legge Casati n. 3725 del 13 novembre 1859. Viene poi aggiornata, a vicende risorgimentali “compiute”, con una serie di altre fonti: la Legge Coppino del 15 luglio 1877, la Legge Orlando (1904), che, con notevole anticipazione, prolunga l’obbligo scolastico fino ai 12 anni(!), la Legge Daneo – Credaro (1911), per approdare, infine, alla Riforma Gentile (1923), la quale prevede cinque anni di scuola elementare uguale per tutti, frequentata da tutti gli aventi diritto, con iscrizione in base all’anno di nascita.

La scuola elementare ha scansione 3+2, e viene preceduta da un grado preparatorio di tre anni (scuola materna). Il grado successivo è chiamato scuola media inferiore e prevede diversi sbocchi: la scuola media superiore è di tre anni per il liceo classico, di quattro per il liceo scientifico, di tre o quattro anni per i corsi superiori dell’istituto tecnico, dell’istituto magistrale e dei conservatori. Le scuole medie acquisiscono un sistema a “doppio canale”: da un lato, un canale che consente, o meglio, impegna, il giovane al proseguimento degli studi alle scuole superiori per ottenere un titolo valido (per accedere a questo canale lo studente deve superare uno specifico esame di cultura generale); dall’altro, un canale che immette direttamente lo studente, al termine dei tre anni, nel mondo del lavoro, senza consentire un proseguimento degli studi. Anche se solo in linea di principio, l’obbligo scolastico viene innalzato fino al 14° anno d’età. Nel 1928, con il Testo Unico n. 577, viene istituita la scuola di avviamento professionale. Si prevedono scuole speciali per minorati della vista, dell’udito e psicofisici, oltre all’allontanamento dalla scuola degli alunni che abbiano compiuto atti permanenti di indisciplina. Nel 1939, viene presentata la Carta della Scuola di Bottai. Consiste in un’idea di riforma complessiva del sistema scolastico, in cui si intende superare il disegno élitario gentiliano con una scuola di massa, distinta e gerarchizzata al suo interno, votata alle esigenze dell’economia e del regime. Anche a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale, la Riforma Bottai rimane sulla carta, ad eccezione della Legge 1 luglio 1940, n.899, che crea la scuola media triennale, unifica i corsi inferiori di licei, istituti tecnici ed istituti magistrali e lascia permanere il secondo canale costituito dalla scuola di avviamento professionale. Questo è il quadro sintetico che la Repubblica Italiana trova nella ridefinizione del nuovo patto sociale dopo i disastri delle due guerre mondiali e i vent’anni di dittatura.

Da quel 1948, bisogna arrivare agli anni ’60 – ‘70 per cominciare a registrare le prime vere riforme repubblicane, coerenti con gli artt. 3, 34, 38 della Costituzione:
• 1962 istituzione della Scuola Media Unica, Legge 31 dicembre 1962, n.1859;
• 1968 istituzione della Scuola Materna Statale, Legge 18 marzo 1968, n. 444;
• 1969 liberalizzazione degli accessi all’Università e modifica dell’esame di maturità;
• 1971 nuove norme in favore di mutilati ed invalidi civili, Legge 30 marzo 1971, n. 118, art. 28. Provvedimenti per la frequenza scolastica e norme sull’ordinamento della scuola elementare, Legge 24 settembre 1971, n. 820;
• 1973/74 Legge Delega 30 luglio 1973, n. 477 e successivi Decreti delegati, fra i quali, D.P.R. 31 maggio 1974, n. 416 Partecipazione tecnica e sociale alla vita della scuola, D.P.R. idem, n. 419 Sperimentazione e ricerca educativa, aggiornamento culturale e professionale ed istituzione dei relativi istituti;
• 1975 D.P.R. 31 ottobre 1975, n. 970 Norme in materia di scuole aventi particolari finalità, art. 8 Titolo di specializzazione;
• 1977 Legge 4 agosto 1977, n. 517 Norme sulla valutazione degli alunni, nonché altre norme di modifica dell’ordinamento scolastico. In particolare, gli artt. 2, 7 e 10 introducono il principio dell’integrazione mediante assegnazione di insegnanti di sostegno alle classi che accolgono alunni portatori di handicap. D.M. 3 giugno 1977 Programma dei corsi per il titolo di specializzazione polivalente.
Anche quale conseguenza della “storica“ sentenza della Corte Costituzionale n. 215/87, la quale afferma il pieno diritto degli alunni handicappati a frequentare ogni ordine di scuola, ivi compresa la scuola secondaria di secondo grado, gli anni ’80 sono caratterizzati da una serie imponente di interventi su immissioni in ruolo, norme sul reclutamento, titolo d’accesso, fino a culminare, negli anni ’90 e seguenti, nell’entrata in vigore delle seguenti fonti normative:
• 1990 Riforma degli ordinamenti didattici universitari, Legge 19 novembre 1990, n. 341;
• 1991 Ratifica ed esecuzione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo, stipulata a New York il 20 novembre 1989 ed armonizzata con Legge 27 maggio 1991, n. 176;
• 1992 Legge quadro per l’assistenza, l’interazione sociale e i diritti delle persone handicappate, legge 5 febbraio 1991, n. 104;
• 1997 Legge 27 dicembre 1997, n. 449 Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica, art. 40, comma 3, Personale della scuola;
• 1998 Legge 15 marzo 1997, n. 59 Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione;
• 1999 Regolamento dell’Autonomia scolastica, ai sensi dell’art. 21, L.59/1997. D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275;
• 2000 Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, Legge 11 novembre 2000, n. 328;
• 2001 Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

Quest’ultima fonte inaugura la tormentata stagione della legislazione regionale concorrente, la quale, da un lato vede una proliferazione legislativa nazionale, primaria e secondaria, a “fasi alterne” e “discontinue” per il succedersi dei quattro Governi di centro sinistra della XIII^ Legislatura, dei due Governi di centro destra della XIV^, del Governo “lampo” del centro sinistra della XV^, fino all’attuale XVI^ Legislatura, che si accompagna ad una continua proclamazione mediatica – ritorno del voto, grembiulini, ”maestro unico”, merito(?) – utile a distrarre, forse, da una singolare “pedagogia contabile della mannaia”, che taglia risorse umane e finanziarie ai due attori istituzionali prioritari del diritto allo studio, scuole ed EE.LL, e pretende di promuovere la qualità con una diminuzione costante e sistematica di quantità di tempo, mezzi, professionalità. Sull’altro versante, avvia un contenzioso giurisdizionale tra le autonomie, diverse, ma di pari rilevanza costituzionale, che costituiscono la Repubblica (non si contano più i ricorsi davanti alla Corte Costituzionale contro le decisioni politico istituzionali delle Regioni). Ancora, produce un ricorso frequente, ancorché legittimo, all’associazionismo familiare, volto alla difesa/tutela/esigibilità del diritto allo studio.

È sufficiente citare una sentenza della Corte Costituzionale per tutte, l’ultima in ordine temporale, la 22 – 26 febbraio 2010, n. 80 “Istruzione pubblica – Insegnanti di sostegno per disabili – Riduzione del numero dei posti e conseguentemente delle ore di insegnamento settimanali – Abolizione della deroga prevista dalla normativa precedente per le forme di disabilità particolarmente gravi.”: è significativa, al di là dei contenuti specifici, che pur rilevano, in quanto “mette sotto la lente dell’illegittimità costituzionale” la Legge Finanziaria(!), Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato –art. 2, commi 413 e 414. Da troppo tempo, ormai, le decisioni sulla scuola vengono assunte nella Legge Finanziaria, in commi, sottocommi e codicilli, i quali, oltre a “taglieggiare” le risorse finanziarie ben prima della finalmente accertata crisi globale, e che oggi non può fare da scudo all’espropriazione di futuro che si sta compiendo in tutti i settori fondanti la cittadinanza – Scuola, Formazione, Università, Ricerca, Cultura – consolidano l’idea della scuola quale spreco, umiliando il valore professionale delle persone che ci lavorano.

Tutto questo, nel merito, lascia irrisolti i temi di fondo di una scuola inclusiva, per tutti e per ciascuno. I più rilevanti di essi, nel breve periodo, sono sicuramente:
• la formazione iniziale e in servizio del personale della scuola, dopo l’”ubriacatura“ normativa già indicata e la regolarità dei concorsi pubblici per il reclutamento, che vede oggi l’incredibile situazione di stallo della formazione universitaria;
• l’adozione dei criteri dell’International classification of impairments, disabilities and handicaps – ICIDH, ICD-10, integrata dalle procedure e dalla metodologia di intervento dell’‘ICF International Classification of Functioning, OMS, che privilegia l’interazione fra la capacità di funzionamento di una persona e il contesto sociale, culturale e personale in cui vive;
• il coordinamento, nella sede istituzionale propria, delle due norme più innovative in merito: la LQ 104/’92 e la LQ 328/2000, redatte concettualmente dal punto di vista della persona, nelle sue dimensioni personale, sociale, sanitaria, scolastica, lavorativa, relazionale e, pertanto, in quanto cittadino, che le recenti Linee Guida per l’integrazione degli alunni con disabilità – Prot. n. 4274 del 4 agosto 2009, riassumono con pregevole, ancorché normativamente inascoltata, sintesi nazionale ed internazionale. Per finire… Il tempo del “cambiamento senza riforme”, o meglio, il tempo e la capacità di innovazione delle comunità professionali della scuola, della sanità, del sociale, nonostante le “riforme ottriate” in corso, continuano, come dimostrano le relazioni interistituzionali intrattenute nel territorio reale tra le diverse autonomie che abitano il panorama istituzionale della Repubblica Italiana. Una citazione per tutte: Bologna, Accordo di programma provinciale per l’integrazione scolastica e formativa dei bambini e alunni disabili – 2008 – 2013 – 12 giugno 2008 B. U. Regione Emilia-Romagna 8 luglio 2008, n° 115. www.provincia.bologna.it – www.emiliaromagnasociale.it

Rosanna Facchini
Pedagogista, già ispettrice tecnica del MIUR (Ministero Istruzione Università Ricerca)

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