L’importanza della terapia

Fernando Aiuti

Una buona notizie viene dalla terapia antivirale. Oggi, grazie alla scoperta di tanti nuovi farmaci con diverso meccanismo d’azione, somministrati in cocktail, si è riusciti a ridurre gli effetti collaterali, a migliorare la tollerabilità e a prolungare l’efficienza nel tempo. Milioni di persone sono in trattamento e, grazie ai farmaci, godono di una qualità di vita discreta.

Nel mondo ci sono circa 34 milioni di persone affette da infezione da HIV. I bambini sono 3 milioni. Milioni di persone sono morte dall’inizio dell’epidemia. L’infezione continua a diffondersi nell’Africa subequatoriale, in India e nel Sud Est asiatico, ma con minore intensità rispetto agli anni ‘90. La diffusione dell’infezione è rimasta elevata in Sud Africa, Mozambico, Lesotho, Botswana, Nigeria. Nel 2008, si stima che si siano infettate 2,7 milioni di persone in tutto il mondo, mentre ci sono stati 2 milioni di morti per AIDS. Risulta purtroppo in aumentato la tubercolosi nelle persone con infezione da HIV (1,37 milioni di persone le vittime di questa infezione). Il 67% dei bambini con infezione da HIV vive nell’Africa subequatoriale. La diminuzione della diffusione è in gran parte dovuta alla terapia antivirale.

Questa misura riesce a bloccare la progressione dell’infezione da HIV in AIDS, con conseguente riduzione dei morti, ma riesce anche a ridurre il contagio provocato dalle persone infette da HIV. Risultano determinanti anche le campagne di prevenzione, iniziate e sostenute con continuità in tutto il mondo, specialmente nei Paesi a rischio. Anche la trasmissione materno-infantile dell’infezione sta diminuendo, grazie alla terapia praticata durante la gravidanza, alle misure adottate in occasione del parto e con l’introduzione dell’allattamento artificiale. Un altro dato positivo è fornito dal numero di pazienti trattati con terapia antivirale: oggi, in Africa, sono almeno 5 milioni, contro il milione di 5 anni or sono. Buone notizie giungono anche dalla ricerca. Si è riscontrato che esiste una piccola percentuale di persone (0.5% della popolazione infetta) nella quale è stata verificata una situazione clinica normale ed immunologica. Significa che questi soggetti non si sono ammalati dopo 25 anni dal contagio e continuano a vivere senza sottoporsi a terapia. Si tratta di persone dotate di un patrimonio genetico che le rende resistenti al virus HIV.

Dallo studio della loro specificità si potranno trarre informazioni utili per lo sviluppo di nuovi farmaci e vaccini. Un’altra buona notizia proviene dalla terapia antivirale. Grazie alla scoperta di nuovi farmaci con diverso meccanismo d’azione, somministrati in cocktail, siamo riusciti a ridurre gli effetti collaterali, a migliorare la tollerabilità ed a prolungare l’azione nel tempo. Milioni di persone sono sottoposte a terapia e, grazie ai nuovi farmaci, godono di una qualità di vita discreta. Le eccezioni negative arrivano dai soggetti nei quali l’infezione da HIV è associata ad altre infezioni, quali l’epatite C, o a complicanze tumorali. In Italia, questa doppia infezione è molto diffusa, specie nei pazienti tossicodipendenti od ex tossicodipendenti, e richiede spesso un doppio trattamento antivirale per contrastare le due infezioni in atto. In questi casi, i rischi futuri sono costituiti dall’insorgenza di tumori e dalle complicanze cardiovascolari e renali, legate in parte all’infezione cronica ed in parte agli effetti collaterali dei farmaci.

Fondamentale risulta essere la tempestività nella terapia antiretrovirale. Questa va iniziata quando le difese cominciano a diminuire e la replicazione virale si presenta molto elevata. Si è infatti rilevato che il numero dei linfociti CD4 (la popolazione di cellule colpita selettivamente dal virus HIV) e la viremia costituiscono due parametri irrinunciabili per la valutazione relativa all’inizio della terapia ed al follow-up dei pazienti. Durante il trattamento, può insorgere il problema delle resistenze ai farmaci. Esso è dovuto in gran parte all’assunzione incostante o alle sospensioni programmate dai medici per eventi avversi o complicanze varie. Nessuna vacanza terapeutica può essere permessa se si vuole vivere bene e a lungo. E il vaccino contro l’AIDS, a che punto è? Recenti dati fanno ritenere che un vaccino preventivo può essere programmato.

È stato dimostrato con un vaccino contro la proteina virale gp120, giunto alla fase sperimentale III, che sembra offrire una protezione efficace nel 31% dei vaccinati. Si tratta di un successo limitato, ma la performance può esser migliorata in futuro. La strategia sarà quella di costruire vaccini con diverse componenti del virus, usare immunogeni e adiuvanti più potenti e tentare la strategia vaccinica per uso locale, bloccando la penetrazione del virus nelle mucose genitali. I primi risultati sono incoraggianti e dimostrano che queste strategie vanno condotte con studi interdisciplinari, coinvolgimento dei vari Paesi ed utilizzo dei fondi internazionali. Non ci sono speranze, invece, per le ricerche condotte con l’impiego di vaccini contenenti un solo antigene. Un vaccino contro il TAT del virus HIV è stato sperimentato, a cura dell’Istituto Superiore della Sanità, da dieci anni sulle scimmie, mentre è iniziata da oltre 7 anni la fase I sull’uomo. Dopo il clamore iniziale, e dopo gli annunci ottimistici che avevano fatto sperare nel successo, ora non si sente più parlare di questo vaccino. Sembra che da due anni sia stata intrapresa la sperimentazione della fase II, con enormi ritardi ed investimenti importanti. Ma dopo l’annuncio dell’inizio della vaccinazione sui volontari, risalente a giugno 2008, nulla si è più saputo su una sperimentazione che si sarebbe dovuta concludere in poco più di un anno. Meglio trovare la strada della collaborazione internazionale, unire le forze e non sprecare i pochi fondi per la ricerca scientifica che oggi sono a disposizione.

Fernando Aiuti
Professore Emerito Università degli Studi di Roma La Sapienza

 

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