AIDS e infanzia

Uno degli aspetti meno conosciuti della pandemia dell’HIV è quello che interessa i bambini. Dell’impatto sui milioni di orfani creati dalla si è detto, ma pochi sono consapevoli che la malattia crea anche intere nuove generazioni di bambini sieropositivi e quindi, se non vengono predisposte iniziative appropriate, futuri malati di AIDS.

L’HIV-AIDS è una delle pandemie più terribili perché non provoca solo milioni di morti, ma mina alle fondamenta le possibilità di sviluppo dei Paesi, decimando la popolazione più produttiva e lasciando milioni di bambini orfani. In particolare, è l’Africa Sub Sahariana ad essere gravemente colpita da questa pandemia: in alcuni Paesi, oltre un quarto della popolazione è sieropositiva ed in tutto il continente milioni di persone hanno contratto la malattia. Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per la lotta all’AIDS (UNAIDS), nel 2008, in tutto il mondo, le persone contagiate dall’HIV risultano essere 33,4 milioni, in aumento rispetto al 2001, anno in cui si registravano 29,5 milioni di casi, ma in calo rispetto al 2006 (39,5 milioni). Le donne sono 15,7 milioni, i bambini (0-14 anni), 2,1 milioni.

Nel 2008 vi sono stati 2 milioni di decessi nel mondo a causa di Aids e malattie collegate. Dall’inizio dell’infezione, in tutto il mondo sono stati registrati circa 60 milioni di casi e 25 milioni di persone sono decedute. Il numero di nuovi casi registrati in un anno è diminuito, passando dai 3 milioni del 2001 ai 2,7 milioni del 2008. La situazione resta drammatica: nella sola Africa Sub Sahariana si contano 22,4 milioni di persone che convivono con l’HIV. Esse rappresentano circa il 67% dei sieropositivi su scala mondiale. Un dato ancor più significativo: il 72% delle vittime di Aids, nel 2008, viveva in questa regione. Lasciano orfani 14 milioni di bambini. UNAIDS stima che nel 2008 siano stati 1,8 milioni i nuovi casi di contagio da HIV/Aids nell’Africa Sub Sahariana. Il tasso di donne affette da HIV è in aumento in tutte le regioni africane. Le donne rappresentano circa la metà delle persone con Hiv/Aids, ma, nel territorio considerato, il tasso tocca il 60%, superiore a qualsiasi altra area. Gli interventi dei Governi, delle Agenzie delle Nazioni Unite e delle ONG (organizzazioni non profit) nella regione Sub Sahariana hanno prodotto, negli ultimi anni, risultati positivi: il trattamento di HIV-Aids attraverso la somministrazione di antiretrovirali alle persone sieropositive o con Aids conclamato sta aumentando (44%, rispetto al 2% nel 2003). Ma oltre 12 milioni di persone sono tuttora senza cure.

Nella maggior parte degli stati africani si è arrivati ad una stabilizzazione del tasso di infezioni da Hiv, che tuttavia rimane la principale causa di mortalità nell’Africa Sub Sahariana. In particolare, il Sudafrica è la nazione con la più alta incidenza di infezioni da Hiv al mondo (5,7 milioni di persone). La diminuzione dei contagi registrata in Uganda negli scorsi anni sembra essere giunta ad una stabilizzazione. Risulta però preoccupante la ripresa dei comportamenti sessuali a rischio. Anche nella Repubblica Democratica del Congo si registra un incremento dell’incidenza delle infezioni da Hiv, in particolar modo nelle aree rurali. Si calcolano più di un 1 milione di sieropositivi nel Paese e 700.000 orfani da AIDS, mentre l’accesso al trattamento antiretrovirale è ancora molto limitato. Le persone sieropositive o con Aids conclamato sotto terapia antiretrovirale sono circa 2.000. Bambini ed AIDS Uno degli aspetti meno conosciuti della pandemia è quello che interessa i bambini. Dell’impatto sui milioni di orfani si è detto, ma pochi sono consapevoli che la malattia crea anche intere generazioni di bambini sieropositivi. Quindi, se non verranno predisposte iniziative appropriate, questi diventeranno futuri malati di AIDS.

Nel 2008 circa 1,4 milioni di bambini sono stati partoriti da donne sieropositive. Circa 430.000 sono stati contagiati durante la gravidanza o l’allattamento. Se non vi sono interventi preventivi, infatti, la percentuale di rischio che il bambino contragga l’HIV durante la gravidanza, al momento del parto o attraverso l’allattamento al seno, varia tra il 25 ed il 45%. Per ridurre questo fenomeno, secondo UNAIDS e Organizzazione Mondiale della Sanità, sono importantissimi i programmi di prevenzione del contagio madre-figlio (PMTCT: Prevention of Mother-To-Child Transmission), come quello di Cesvi denominato “Fermiamo l’Aids sul nascere”, che utilizza proprio il protocollo suggerito dall’OMS nel 2001. I protocolli, in continua evoluzione grazie alle nuove conoscenze scientifiche, possono ridurre la percentuale di rischio sotto il 2%. Nei Paesi ad alto reddito, dove sono disponibili interventi di prevenzione, si è arrivati all’eliminazione virtuale della trasmissione madre-figlio. Anche nell’Africa Sub Sahariana, e in tutti i Paesi a basso reddito, si sono compiuti passi significativi, ma resta ancora molta strada da fare. Nei Paesi a basso reddito, la percentuale di donne incinte che effettua il test per l’HIV è passata dal 7% del 2005 al 21% del 2008. Questo significa che nei Paesi a basso e medio reddito un numero maggiore di donne è consapevole del proprio stato di salute. Può, di conseguenza, intraprendere le cure necessarie.

Nel 2008, le donne incinte sieropositive dei Paesi a basso e medio reddito che hanno ricevuto i farmaci antiretrovirali per prevenire la trasmissione sono state il 45%, rispetto al 15% del 2005. Nonostante questi progressi, la situazione permane drammatica. Ogni anno centinaia di migliaia di bambini contraggono l’HIV, prevalentemente attraverso la trasmissione verticale madre-figlio. Il 91% dei nuovi contagi avviene nell’Africa Sub Sahariana. Senza appropriate cure e trattamenti, più della metà dei bambini sieropositivi muore prima del compimento del secondo anno di vita. Va necessariamente sostenuto lo sviluppo di farmaci antiretrovirali ad uso pediatrico. Il progetto “Fermiamo l’Aids sul nascere”, avviato da Cesvi nel 2001 nel piccolo ospedale Saint Albert in Zimbabwe, prevede diverse attività: una terapia farmacologica per ridurre la trasmissione del virus dalle mamme sieropositive ai neonati, accompagnata da un programma di prevenzione ed assistenza alimentare e psicologica alle mamme; la creazione di strutture di accoglienza e di lotta all’esclusione sociale per gli orfani dell’Aids; il supporto e l’assistenza medica per i malati di Aids (accesso alle cure con farmaci anti retrovirali); la promozione di campagne educative e di prevenzione con il coinvolgimento della popolazione e delle istituzioni locali. Negli ultimi otto anni, Cesvi ha compiuto passi da gigante in Zimbabwe: oltre 40.000 donne sono state sottoposte al test Hiv e sono state seguite con sostegno psicologico durante gravidanza, parto e allattamento; 2.000 bambini risultano fuori pericolo di contagio; sono stati formati 1.400 operatori sanitari e centinaia di migliaia di persone sono state sensibilizzate sul tema dell’Aids e sulle modalità di prevenzione. L’intervento di Cesvi ha interessato ospedali e cliniche rurali dello Zimbabwe. Successivamente, ha operato anche in Sudafrica, Repubblica Democratica del Congo e Uganda. Secondo gli ultimi dati, nello Zimbabwe, grazie anche all’intervento di Cesvi degli ultimi 6 anni nel distretto di Centenary, dove si trova il St. Albert, la percentuale di sieroprevalenza è scesa dal 23 al 13% ed è stato salvato l’81% dei bambini nati da mamme sieropositive. Sempre nello Zimbabwe, a queste attività si è aggiunto un altro intervento per la lotta all’Hiv/Aids: è stato ristrutturato un edificio divenuto la “Casa del Sorriso”, un centro di accoglienza per ragazzi abbandonati o orfani a causa dell’Aids.

Ragazzi dimenticati da tutti, continuamente a rischio di droga e piccola delinquenza. La Casa costituisce per loro una possibilità concreta di salvezza dalla strada e di riscatto: un luogo dove accedere a cibo, cure mediche, servizi igienici e dove frequentare corsi di formazione ed imparare un lavoro. Il primo bambino dello Zimbabwe nato sano da una mamma sieropositiva che ha scelto di sottoporsi al programma di Cesvi si chiama Takunda (in lingua shona “Abbiamo vinto”). Oggi ha nove anni ed è un bambino sano, simbolo di un’Africa che non si rassegna ai pregiudizi e che si organizza, si mobilita e sconfigge la malattia. A lui Cesvi ha dedicato il “Premio Takunda”, che premia le migliori iniziative di solidarietà mondiale. Per i bambini: rafforzare i sistemi sanitari L’obiettivo di tutte le organizzazioni impegnate contro l’AIDS dei bambini, da realizzare entro il 2015, è quello di garantire ad ogni donna l’accesso ai servizi per la prevenzione della trasmissione dall’HIV ai propri figli ed ad ogni bambino la possibilità di iniziare la propria vita libero dall’HIV.

Oggi, la nuova sfida per Cesvi e per tutte le organizzazioni che in Africa lottano contro la pandemia, è quella di prendersi cura delle mamme affinché possano crescere i propri figli ed accompagnarli nell’infanzia e nell’adolescenza. Assicurare loro una vita più lunga possibile per impedire che si creino nuovi orfani. Ecco perché i progetti di lotta all’Aids nell’Africa Australe non riguardano solo la prevenzione del contagio madre-figlio, ma anche la prevenzione della diffusione del virus, la cura dei soggetti già affetti ed il supporto sociale ai malati e agli orfani. In Uganda, in particolare, l’attenzione si è concentrata sull’attività di sensibilizzazione alla prevenzione e di testing volontario della popolazione. Grazie a Cesvi, nel 2007, tale attività ha coinvolto circa 100.000 persone. Nella Repubblica Democratica del Congo, Cesvi ha sviluppato servizi integrati per la prevenzione, la diagnosi ed il trattamento dell’Hiv-Aids, delle malattie collegate – malaria e tubercolosi – e delle problematiche sanitarie della salute materno-infantile.

Nel 2008, grazie ai progetti Cesvi, si sono sottoposte allo screening volontario oltre 10.000 persone e sono stati effettuati 77 incontri di sensibilizzazione, con una partecipazione di oltre 6.000 persone. Gli interventi per la salute materno-infantile e per la lotta ad HIV-AIDS nelle madri e nei bambini stanno diventando una grande opportunità di crescita e di rafforzamento dei sistemi sanitari di molti Paesi africani. L’obiettivo è quello di affrontare tutte le malattie più diffuse e debellare la mortalità infantile, la malnutrizione ed altre pandemie (come la malaria). C’è una cosa che ripugna a tutti: veder nascere un bambino malato, privato della possibilità di crescere in modo sano e della possibilità di vivere una vita dignitosa. Oggi vi sono le risorse scientifiche ed economiche per offrire a tutti i bambini, anche in Africa, una vita piena di opportunità. La lotta all’AIDS passa attraverso la prevenzione, il PMTCT e la diffusione di medicine ad uso pediatrico. Ma passa, soprattutto, attraverso il rafforzamento dei sistemi sanitari africani.

Stefano Piziali
Responsabile policy del Cesvi – cooperazione, emergenza e riabilitazione ai Paesi in via di sviluppo

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