Politica e società

C’è un reale problema di educazione, che diventa sempre più rara. Credo sia da questo che dovremo ripartire. Se, anziché imitarlo, tutti insieme ci impegneremo a biasimare chi urla, chi insulta, chi offende gratuitamente, vedrete che questi saranno sempre meno. Cambierà la società. E pure la politica, che ne è espressione.

Quand’ero bambino, mio padre seguiva sempre il programma televisivo Tribuna politica. Ricordo ancora bene un conduttore, con l’aspetto del buon padre di famiglia ed un doppio mento pronunciato, che interrogava i politici sui loro programmi e sulle prospettive del Paese. Gli intervistati erano tutti persone che si esprimevano in buon italiano ed usavano toni pacati. A me sembrava un programma assai noioso, ma papà lo seguiva con attenzione e poi discuteva con la mamma di quello che si era detto. Era convinto che fosse compito di un buon cittadino informarsi sulla situazione politica e, al momento delle elezioni, esprimere un voto consapevole. Quando frequentavo le scuole superiori, ed il 1968 era già passato da un decennio, ricordo che, nelle assemblee d’istituto, ci si confrontava sempre sui temi politici d’attualità. Di più, si discuteva appassionatamente dei problemi del mondo e delle possibili soluzioni. Ricordo interminabili assemblee sulla condizione dei dissidenti a Cuba, o sulla situazione politica del Nicaragua.

Non credo che in quei Paesi sia giunta l’eco delle nostre discussioni. Almeno, però, ci si esercitava al dialogo, al confronto, anche allo scontro acceso, ma leale, sempre animati dalla convinzione che, svolgendo attività politica, si potesse contribuire al progresso della società, ed anche alla soluzione di problemi vicini ed annosi: la lentezza dei lavori pubblici ed il loro costo esagerato, la carenza di una politica culturale delle amministrazioni, ecc. Ora, tutto questo sembra non esserci più. I confronti tra politici, in televisione, si risolvono spesso in risse verbali, dalle quali solo gli esperti possono comprendere qualcosa. Nelle assemblee scolastiche si parla di problemi contingenti, piuttosto che della situazione politica locale, nazionale o internazionale. Più che il disinteresse nei confronti della politica, mi sembra che, oggi, il problema sia quello della sfiducia della società civile nella propria possibilità di incidere sulla politica stessa. A tanto si aggiunge che l’odierno modo di esprimersi di taluni esponenti della politica, alzando la voce e proponendo attacchi personali, piuttosto che un confronto sui programmi, incrementa il senso di estraneità di chi possiede un’educazione diversa. Senso di estraneità che è acuito dalla legislazione vigente, la quale neppure consente agli elettori di scegliersi direttamente i propri rappresentanti, ed è considerata un porcellum pure da chi l’ha proposta e votata. La leggenda racconta che, tra le stranezze dell’imperatore romano Caligola, vi fosse quella di nominare senatore il proprio cavallo.

Ora, il cavallo no, ma i leaders della maggioranza e dell’opposizione possono far eleggere dal popolo i propri amici e, comunque, chi più gli aggrada, e non necessariamente delle persone che abbiano talento per la gestione della cosa pubblica. Anche nel caso che i leaders, per senso di responsabilità, non profittino della facoltà, il fatto che possano farlo incrementa il distacco tra gli elettori e la classe politica, da cui si sentono sempre meno rappresentati. La frustrazione degli elettori e la loro sfiducia di poter incidere realmente sul futuro del Paese sono perciò comprensibili. Resta da domandarsi cosa si può (o si deve) fare per cambiare questa situazione. Mi torna in mente un anziano avvocato casertano, Federico De Pandis, impegnato nella tutela dei diritti dell’uomo ed a suo tempo dirigente del partito repubblicano a Caserta, il quale, più o meno al tempo di mani pulite, mi domandò se ero interessato a fare politica. Risposi d’impulso che non mi sembrava proprio il caso. Non me la sentivo di gareggiare in un agone che non conosco a sufficienza. L’amico avvocato, ritenendo di interpretare anche qualche mio pensiero inespresso, commentò che se in tanti ci tiriamo indietro per il timore di sporcarci le mani, alla fine, la politica la farà solo chi è ben disposto a sporcarsele. Ho continuato a non fare politica, specie in considerazione della mia professione, ma l’argomento dell’anziano avvocato mi torna spesso in mente. Non basta, allora, lamentarsi, e, semmai, isolarsi. Occorre rimboccarsi le maniche ed impegnarsi perché cambi qualcosa. Il problema non è solo nella politica, la quale, seppur talora deformata, offre comunque l’immagine della società che la genera. Non si esprimono con toni aggressivi solo i politici, ma anche gli utenti della strada, i condomini degli edifici, e tanti altri. C’è un reale problema di educazione, che diventa sempre più rara. Credo sia da questo che dovremo ripartire. Se, anziché imitarlo, tutti insieme ci impegneremo a biasimare chi urla, insulta, offende gratuitamente, vedrete che questi saranno sempre meno. Cambierà la società. E pure la politica, che ne è espressione.

Paolo Di Marzio
Magistrato

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