Il consumo del Sud

I meccanismi di promozione culturale degli standard di vita da middle-class hanno impedito quelle che in economia sono definite “scelte razionali dei consumatori” e che dovrebbero adeguare i livelli di spesa familiare al reddito reale. In un contesto dove il costo della vita è aumentato meno della media nazionale, ma più della crescita dei redditi, oltre l’indebitamento, anche il ricorso agli introiti illeciti ha permesso di mantenere uno standard di vita dopato rispetto alle reali possibilità.

Vivere nel Sud può significare tante cose. La letteratura, da Carlo Levi a Saviano, ce ne ha illustrato le varie sfaccettature e trasformazioni, ma sempre all’interno di rigide regole, dettate dall’economia dal dopoguerra in poi. Sud, particolarmente nel caso dell’Italia, significa anche aree dove la sollecitazione dei consumi è un fenomeno strutturale, non solo per il mercato, ma anche per la politica. “Consumo ergo sum” ha scritto Don De Lillo nel suo “Rumore bianco”, volendo significare, dal suo privilegiato osservatorio statunitense, quanto la merce oggi tenda a soddisfare l’arcaica necessità di un senso del vivere. L’Italia può essere vista come una linea inclinata dal Settentrione al Sud, dove le merci della produzione industriale rotolano giù in una generale dinamica di assorbimento dell’offerta da parte delle aree depresse. Ciò non avviene solo per le merci, ma anche per opere pubbliche ed appalti – esemplare il caso dell’emergenza rifiuti campana, scatenata dalla gestione della multinazionale Impregilo – ed è leggibile nella posizione di Umberto Bossi: egli è favorevole agli interventi antirecessione nel Mezzogiono e lega il suo consenso alla realizzazione di infrastrutture e strade, promuovendo così gli interessi delle imprese settentrionali secondo un keynesismo tutto padano. Se pubblicità e marketing sono ovunque l’avanguardia del consumo, con la loro missione di creare nella gente il bisogno di merci altrimenti inessenziali, nel Sud questa manipolazione culturale a fini economici diventa anche strumento di sviluppo.

Sviluppo, evidentemente, solo formale. Il desiderio di omologazione allo standard capitalistico americano è fortissimo nei nostri territori per il suo connotato di partecipazione a quella maggioranza da cui il Mezzogiorno si è sempre sentito escluso. Così, i diritti tanto reclamati dai meridionalisti sono stati accordati sotto forma di diritti al consumo e poco altro, trascurando le necessità di trasformazione sociale e realmente economica in relazione alla quale tante voci si erano levate. Mercato e partiti hanno stretto a Sud un patto di intenti e la sollecitazione dei consumi si è fatta programma anche politico, strumento di consenso verso quelle popolazioni che oggi sembrano recitare la vecchia massima cartesiana in “consumo quindi esisto come cittadino”. La globalizzazione non ha fatto altro che potenziare questa sovrapposizione tra consumi e identità, tra accesso al mercato e democrazia. Le famiglie delle città meridionali presentano una forte propensione al consumo, maggiore di quella al risparmio, attraverso un alto ricorso all’indebitamento, con la constatazione che quest’ultimo si è elevato con il rallentamento dell’economia, allo scopo di integrare il reddito disponibile. A Napoli, come altrove, il valore reale degli stipendi è stato pesantemente intaccato dall’adozione dell’euro e dalla recessione attuale, a cui non sono seguite politiche compensative sui redditi, causando un vertiginoso ricorso al credito, sia presso le banche, sia presso le società finanziare (o gli usurai). In questa fase, la spinta al consumo non si è mai arrestata e ha anzi seguito più le esigenze delle imprese in difficoltà che quelle dei loro utenti, imponendo alla domanda di stare dietro all’offerta.

I meccanismi di promozione culturale degli standard di vita da middle-class hanno impedito quelle che in economia sono definite “scelte razionali dei consumatori” e che dovrebbero adeguare i livelli di spesa familiare al reddito reale. In un contesto dove il costo della vita è aumentato meno della media nazionale, ma più della crescita dei redditi, oltre l’indebitamento, anche il ricorso agli introiti illeciti ha permesso di mantenere uno standard di vita dopato rispetto alle reali possibilità. L’irrinunciabilità a questo standard è dettato dal prevalere, in generale, della cultura consumistica e dal desiderio di omologazione del Meridione, senza che mai nessuna voce politica si sia levata a denunciare il meccanismo di promozione culturale che accompagna lo sfruttamento della propensione al consumo dei ceti più fragili. Inutile, poi, aggiungere che in un momento di recessione, l’offerta di capitali liquidi da parte della criminalità organizzata è spesso liberata da ogni titubanza morale da parte degli operatori economici. Quindi, se irrazionalità e manipolazione la fanno da padroni, figuriamoci quanto spazio resta per l’etica.

Maurizio Braucci
Scrittore, sceneggiatore di “Gomorra”

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