Crisi istituzionale o morale?

La libertà è diventata ciò che permette di fare spudoratamente i propri interessi calpestando qualsivoglia ostacolo si frapponga a questo obiettivo. L’uguaglianza è stata sacrificata nel gioco dei privilegi di caste e castine che si sono create in cambio di trenta voti, quelli che una volta erano denari. La fratellanza è divenuta il pericolo di dover condividere con gli altri, specialmente se considerati “differenti”, ciò che si può possedere più degli altri per il proprio godimento.

“L’uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono”. Questa frase di Protagora, filosofo greco del V secolo a.c., è sicuramente il primo esempio noto di quel progetto umanistico che troverà poi la sua massima espressione nel ‘400 e di cui progressivamente, in epoca recente, abbiamo seppellito insegnamenti e valenze. Oggi, nel contesto di una generalizzata, nonché profonda, crisi globale della società occidentale, ritengo che questa affermazione, seppur vecchia di circa 2.500 anni, ritorni attuale e possa condurci ad una seria analisi e riflessione. Troppo spesso, infatti, tendiamo a spersonalizzare le realtà che ci circondano e condizionano giornalmente, attribuendo loro una valenza autonoma, una sorta di oggettività trascendente dalla volontà umana. Si parla della “politica”, delle “istituzioni”, della “società”, dell’“economia”, come fossero entità a sé, importate da un altro pianeta, trovate nel fondo di una miniera o regalateci da un Demiurgo. Pur essendo completamente digiuno di ogni principio della psicologia sociale, ho l’impressione che ciò derivi da un progressivo rifiuto nelle masse del concetto di responsabilità, in quanto assimilabile ad una fatica improba, ad un impegno oneroso o alla rinuncia di quei godimenti materiali ed immediati che sono divenuti l’obiettivo unico e primario dei più. Certamente, sono passati i tempi in cui tutti i cittadini si incontravano giornalmente sull’Acropoli per decidere collettivamente la conduzione della res publica. Senza fare la storia della trasformazione delle società umane, è palese come determinate contingenze evolutive abbiano creato nuove strutture di governo ed imposto il sistema della delega in tutti i meccanismi che reggono la comunità umana.

Ma tra questo logico principio di funzionalità gestionale e la totale rinuncia all’assunzione di qualsivoglia onere di responsabilità, almeno morale, nel contesto della società in cui operiamo, la distanza è divenuta eccessiva ed irrimediabilmente distruttiva. Negli ultimi cento anni, ma specialmente nei recenti 50, o anche meno, l’esasperata ricerca di un seppure giustamente preteso miglioramento delle condizioni di vita delle masse, ha in realtà solo parzialmente soddisfatto concretamente queste ultime. Gran parte del “progresso” è divenuto illusione ed inebriamento. Di fatto, le ha allontanate da ogni concreto potere di determinazione, il quale è stato invece carpito dai pochi, una nuova casta politica ed economica che pretende ora di condizionare ogni aspetto socio etico politico della vita contemporanea. A molti risulta forse spiacevole che si faccia notare come il solo benessere materiale non sia un’evoluzione della cultura societaria, ma troppo spesso porti, invece, ad una sorta di oblio che condiziona negativamente la capacità di mantenere quelle prerogative di autonomia cerebrale indispensabili per conservare il giusto equilibrio sul quale si dovrebbe basare ogni azione umana. Quanto sopra significa che si sono sorpassati i limiti che regolano il rapporto tra spirito o, meglio, coscienza individuale autonoma e materia. È avvenuto, pertanto, che gli inarrestabili meccanismi economici di un incontrollato sviluppo all’insegna del solo lucro (di pochi) abbiano creato quel circolo vizioso, quel cane che non può mollare la coda che si sta ferocemente mordendo, tale da condizionare completamente il comportamento sociale e morale della grande massa. Ormai, questa vive nella disperata ricerca di un piacere materiale fuor di misura, che sembra essere diventato il solo diritto inalienabile della condizione umana. Tradizioni, principi morali, ideali, si sono sacrificati sull’altare della liretta, prima, e dell’euro, poi.Pecunia necessaria per cambiare automobile frequentemente, andare in ferie nei paradisi corallini, uscire spesso a cena, vestirsi alla moda, avere un cellulare per ogni componente della famiglia, fosse anche per il nonno sordo ed arteriosclerotico.

Più di 200 anni or sono, cadute di teste a iosa e migliaia di morti lasciati sui campi di battaglia hanno portato a proclamare quel trinomio che ha costituito la base per il passaggio alla cosiddetta epoca moderna. Oggi, i più hanno cancellato questo ricordo dalla loro mente, dai loro riflessi condizionati, da quei meccanismi automatici che regolano nell’uomo il sistema binario del rapporto tra azione e reazione. La libertà è diventata ciò che permette di fare spudoratamente i propri interessi, calpestando qualsivoglia ostacolo si frapponga a questo obiettivo. L’uguaglianza è stata sacrificata nel gioco dei privilegi di caste e castine che si sono create in cambio di trenta voti, quelli che una volta erano denari. La fratellanza è divenuta il pericolo di dover condividere con gli altri, specialmente se considerati “differenti”, ciò che si può possedere più degli altri per il proprio godimento. E, forse, la caduta di quelle grandi ideologie nate a cavallo tra il 1800 ed il 1900, tragica fine tanto osannata dai falsi mentori della libertà, ha dato la mazzata finale, ha rotto quegli argini che, seppur nei loro difetti, contenevano e “moralizzavano” le masse, impedendo quella odierna corsa verso un benessere sic et nunc, impostasi quasi come una nuova morale. Impegnati così in questa strada parallela a quella del rifiuto di ogni responsabilità morale, ci si è dimenticati della res publica, del fatto che le istituzioni siamo noi, che la politica siamo noi, che l’economia siamo noi, che, come detto all’inizio, “L’uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono”. E così, ci si è scordato anche qualche banalissimo detto popolare.

Tra questi, mi sembra che uno affermi come ogni popolo abbia i governanti, o politici, che si merita. E non può essere che in tal guisa dal momento che i nostri amministratori non sono verdi con le orecchie lunghe e le antennine sulla fronte, ma nascono, crescono e vivono tra noi. Non essendo, pertanto, sbarcati da un UFO, sono stati scelti “tra la popolazione” e sono, di fatto, nient’altro che l’espressione della cultura e della morale contingente. Non mi sembra sia necessaria un’ulteriore rappresentazione esemplificativa di questa situazione. Basta ascoltare qualche telegiornale, leggere la cronaca di vario tipo e, magari, anche qualche rivista di gossip per rendersi conto del decadimento generale di valori fondamentali che pervade questi nostri rappresentanti. Che, tra l’altro, dovrebbero essere i garanti delle istituzioni che ci garantiscono nei nostri diritti. Si è innescato, quindi, un meccanismo perverso di tipo involutivo, da cui viene ora difficile uscire in modo indolore. Pretendiamo soluzioni di ogni tipo da coloro che, uguali nella degenerazione collettiva, abbiamo lasciato impossessarsi di un potere di cui abbiamo rifiutato per comodo la responsabilità. Per uscire da questo circolo vizioso bisogna ripartire dall’inizio, ricostruire l’uomo quale elemento primo indivisibile della Società tutta, atomo che si aggrega poi in molecole le quali, debitamente unite e coordinate, formano la materia. Ora, la crisi attuale, o meglio, al contrario, ogni possibile progetto futuro parte proprio dall’uomo di oggi. Reclamare l’esigenza di un nuovo “umanesimo” potrebbe, forse, sembrare una dichiarazione eccessivamente enfatica, se ci riferiamo solo alla nota primordiale affermazione di Protagora cui, comunque, va riconosciuta valenza perenne ed universale. Potremmo limitarci a quel concetto attuale di una “life-stance” intesa come concezione di una società basata sulla ragione, sul buon senso, sulla solidarietà e sul rispetto dei diritti umani. Comportamenti che non si determinano fondamentalmente con leggi e decreti, ma che devono essere intimamente presenti in quella coscienza singola che anima tutte le azioni individuali.

Anche perché, se leggi e decreti servissero, non sarebbe certo il caso che venissero approvate da quella classe politica dei cui limiti abbiamo appena fatto menzione. Necessita che l’uomo sia riportato al recepimento dei principi fondamentali del vivere civile, che magari riscopra il valore immenso di quell’indicazione kantiana “sopra di me il cielo stellato dentro di me la legge morale”. Ma è opera ardua perché bisogna, in realtà, convincere che si deve assolutamente “stare oggi peggio per poi stare meglio domani”. Ed è quasi impensabile dover convincere questa realtà umana, legata al solo benessere materiale, come già sopra indicato, a rinunciare a gran parte del tenore di vita. Tenore di vita che tutti pretendono di mantenere senza minimante accettare l’idea che era, in realtà, non solo superiore alle nostre possibilità, ma deleterio, in quanto distruttore di ogni regola e principio morale. Ci vuole una presa di coscienza ed un’intima consapevolezza che può pervadere solo una popolazione che senta la necessità di ripristinare gli antichi valori fondanti dell’era moderna. Solo in queste condizioni si potrà fare quel passo indietro che ci serve per farne poi mille in avanti, sicuri e che portino veramente ad una meta. Quest’opera non si può realizzare solo con le dichiarazioni di pochi saggi o lungimiranti osservatori della realtà, perché ogni invito rimarrebbe inascoltato, in quanto non immediatamente e materialmente gratificante. Allora bisogna agire con l’espansione di cerchi concentrici. È necessario, cioè, ampliare e consolidare progressivamente ogni “gruppo d’opinione” possibile. Per fare ciò, una delle strade che indico, tra le tante percorribili naturalmente, è quella di avvalersi di nuovi untori, che spargano un virus positivo tale da “contaminare”, un poco alla volta, una massa sempre più numerosa di cittadini. Bisogna creare, attraverso il contatto, o l’esempio comportamentale, una pandemia di ragionevolezza, buon senso, solidarietà, rispetto reciproco, capacità di un minimo sacrificio. Bisogna che le forze rinnovatrici si attivino e che agiscano nel concreto, seppur nei rischi di iniziali insuccessi, tutte quelle associazioni, istituzioni e corporazioni di svariata natura (e, soprattutto, a carattere laico e non partitico), che operano, anche da secoli, sull’uomo per perfezionarlo, per riportarlo alla ricerca di quella legge etica potenzialmente immanente in ognuno di noi, per toglierlo dal condizionamento di quei pregiudizi che inibiscono ogni capacità di valutazione obiettiva. Ci sono diverse e svariate realtà in tal senso. Bisogna che vengano contattate, coinvolte e, ove necessario, sdoganate da isolamenti pregiudiziali, affinché “ungano” positivamente un’umanità allo sbando, a beneficio finale della collettività. Non sarà facile, ma bisogna tentare.

Dario Paoletti
Massone della GLDI, Gran Loggia d’Italia

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