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Le forze politiche con un profilo programmatico ed ideale distinguibile sono rimaste quelle degli estremisti o dei localizzati, dei dipietristi o dei leghisti, che fra di loro non hanno nulla in comune, se non la capacità di leggere l’intera realtà alla luce di un’istanza monocroma.

L’elemento più deplorevole, nella politica a cui assistiamo, è il divorzio fra idee e parole, fra proposte ed azioni, fra contenuti e schieramenti. Tutti parlano e quasi nessuno dice qualcosa. I poli si spaccano, i capi bisticciano, ma anche i più maniacali cultori del pettegolume politicante fanno fatica a distinguere le differenze programmatiche. Se le danno di santa ragione, ma poi, chiamati ad illustrare la loro piattaforma, dicono tutti le stesse cose: la pressione fiscale deve diminuire e l’evasione deve essere contrastata, la scuola deve essere migliore, i cittadini più sicuri, la giustizia rapida ed efficace, il merito deve essere premiato ed i deboli assistiti. Tutte cose, ovviamente, giuste, e per ciò stesso, totali scempiaggini. Le lotte politiche sono feroci, ma gli scontri fra i due poli sono concentrati sulla legittimità dell’altro, e quelle interne ai poli puntano sulle diverse, possibili alleanze. Lo scontro generale, quindi, prescinde dai contenuti perché contesta non le idee, ma la natura dell’avversario. Lo scontro interno considera le idee delle distrazioni. Il vero tema consiste nella scelta di quali accordi stringere per poter andare al potere.

Un potere fine a se stesso, privo di sostanza, inteso non come mezzo per fare, ma come fine cui tendere. Per ciò stesso illusorio. Il vero guaio del potere italiano consiste nel non esistere, sebbene una masnada di sciamannati se lo contendano.Siccome non è possibile che tutti gli stupidi, tutti i falliti nelle arti e nelle professioni, si siano dedicati alla politica, dalla seconda metà degli anni novanta in poi, è evidente che la ragione dello sconfortante spettacolo risiede altrove. Credo sia questa: viviamo la battaglia politica come guerra ideologica, ma non abbiamo più le ideologie (scarseggiando anche le idee), e il bipolarismo, che ruota attorno al solo Silvio Berlusconi, è divenuto forma e contenitore di una contrapposizione di cui neanche si ricordano le ragioni. Forza Italia non fu affatto un partito di plastica, ma il falso bipolarismo è divenuto la plastificazione di una politica fuori dalla realtà, non a caso incapace di dare ordine e rappresentanza agli interessi specifici. I quali interessi vengono vissuti, dalla pubblicistica superficiale, come una specie di corruzione della politica alta, nobile, dedita ad indefinibili “interessi generali”, mentre, al contrario, costituiscono un forte e necessario ancoraggio alla realtà. Prendiamo un caso specifico, quello dei cosiddetti precari della scuola. Va bene che ci sia chi rappresenti i loro interessi, il loro desiderio di vedersi arruolare in pianta stabile ed avere un posto sicuro, ma a patto che ci sia chi sappia dare voce ad interessi diversi, come quello degli scolari di avere una scuola di qualità e quello dei cittadini di non pagare troppe tasse. I diversi interessi vanno messi sulla bilancia elettorale (senza mai dimenticare il diritto scritto, naturalmente) e chi prevale vince.

Capita, invece, che ciascuna forza politica pretende di rappresentarli tutti, cancellando i contenuti reali dalla dialettica e garantendo rappresentanza solo alle miserie egoistiche che spingono l’intero sistema-Italia a perdere posizioni di competitività e rispettabilità. Le forze politiche con un profilo programmatico ed ideale distinguibile sono rimaste quelle degli estremisti o dei localizzati, dei dipietristi o dei leghisti, che fra di loro non hanno nulla in comune, se non la capacità di leggere l’intera realtà alla luce di un’istanza monocroma. Giusta o sbagliata, fondata o campata per aria, non è questo che m’interessa qui discutere. I partiti che, invece, pretendono d’incarnare aspirazioni collettive, che non si esauriscono in un tema o in una suggestione, hanno smarrito l’identità. Però hanno conservato la struttura. Gli ex missini hanno tutti (o quasi) ripudiato le cose per cui marciarono a braccio teso, ma conservato il network dei loro legami militanti, come le rappresentanze locali. Gli ex comunisti disconoscono anche solo d’essere stati tali, ma il loro partito attraversa la storia per forza d’inerzia, con sezioni che, al loro esterno, hanno l’alone sovrapposto dei tanti simboli cambiati in poco tempo. Le persone e le strutture sono sempre le stesse, mentre le idee cambiano. Se dovessi descrivere il peggio della politica, non potrei che usare quella definizione, che è poi la biografia di tanti che calcano la scena. Attenzione, però, a non costruirsi alibi troppo facili: non è solo il mondo politico ad essere immobile, lo è anche gran parte della società, lo sono i corpi intermedi, mentre i brividi di mobilità e vitalità corrono sotto il livello dell’epidermide, oramai non più traspirante. Tosto o appresso arriverà il momento di chiudere le scene del divorzio, consegnando ai figli le macerie prodotte da genitori egoisti, ma anche la responsabilità di non rassegnarsi a somigliar loro.

Davide Giacalone
Politico, giornalista e scrittore italiano

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