Storia di un successo

Non è un caso che il successo riconosciuto da “Science” sia frutto della ricerca Telethon. La terapia genica, infatti, vede nelle malattie dovute al difetto in un singolo gene il terreno ideale per la sua messa a punto e validazione. Anche le malattie a più ampia diffusione ne beneficeranno, ma sono necessari ancora molti anni.

Alla fine del 2009, la rivista Science ha inserito “il ritorno della terapia genica” tra le dieci scoperte scientifiche più importanti dell’anno. Non è un caso che i tre esempi riportati portino tutti, più o meno direttamente, la firma della Fondazione Telethon, da vent’anni impegnata per trovare una cura alla distrofia muscolare e alle altre malattie genetiche rare. Negli ultimi anni, la terapia genica, tecnologia innovativa e complessa, era stata messa fortemente in discussione dalla comunità scientifica internazionale, perché ritenuta troppo rischiosa e poco efficace. Nel 2002, però, i ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (HSR-TIGET) di Milano sono riusciti, per la prima volta al mondo, a curare definitivamente una malattia genetica con la terapia genica. Come riportato proprio sulle pagine di Science, i ricercatori Telethon guidati da Alessandro Aiuti e Maria Grazia Roncarolo sono riusciti a curare con questa tecnica due bambini affetti da una rara immunodeficienza di origine genetica, l’ADA-SCID. Questa malattia è dovuta al deficit di un enzima, l’adenosina deaminasi (ADA), fondamentale per la maturazione ed il funzionamento dei linfociti: i bambini affetti sono molto suscettibili a qualsiasi tipo di infezione e possono andare incontro a conseguenze anche fatali anche per un semplice raffreddore. Un tempo venivano chiamati “bambini bolla”, perché, per evitare contatti con l’esterno, erano costretti a vivere isolati in bolle di plastica o in camere sterili. L’unico trattamento risolutivo era il trapianto di midollo osseo, possibile solo in presenza di un donatore compatibile.

L’alternativa è la somministrazione periodica dell’enzima prodotto artificialmente che, però, non è risolutiva e, nel tempo, può perdere efficacia. La procedura impiegata dai ricercatori Telethon prevede, innanzitutto, il prelievo dal paziente delle cellule da trattare (quelle staminali ematopoietiche); quindi, la correzione in laboratorio, grazie alla terapia genica, per questo motivo definita ex vivo. Per introdurre in queste cellule il gene ADA corretto è stato utilizzato un vettore virale ottenuto a partire da un retrovirus di origine murina, modificato in modo da renderlo innocuo, ma ancora capace di entrare nelle cellule dell’ospite ed inserirvi il proprio patrimonio genetico. In questo modo, la correzione è permanente, ma presenta anche dei rischi per una possibile interferenza del vettore con l’espressione genica della cellula. Questo pericolo impone agli scienziati una scelta oculata del gene terapeutico, che deve essere privo di potenziali proprietà oncogene. Altra intuizione vincente dei ricercatori dell’HSR-TIGET è stata quella di “fare spazio” nel midollo osseo dei pazienti con una blanda chemioterapia, idonea a favorire l’attecchimento delle cellule staminali corrette con la terapia genica. Nel gennaio del 2009, Roncarolo e Aiuti hanno descritto sul New England Journal of Medicine come il protocollo di terapia genica messo a punto all’HSR-TIGET sia efficace e sicuro anche sulla lunga distanza: ad oggi, sono tredici i bambini curati.

Essi hanno beneficiato della possibilità di crescere e condurre una vita sociale normale. Il prossimo passo sarà quello di rendere questa terapia accessibile a tutti i pazienti che ne facciano richiesta: la prima tappa di questo percorso è già stata raggiunta con la designazione di farmaco orfano da parte dell’Agenzia Europea del Farmaco (EMEA) e della Food and Drug Administration (FDA), gli enti regolatori, rispettivamente, europeo ed americano. Il protocollo per l’ADA-SCID è il frutto di una strategia d’avanguardia e di investimenti lungimiranti, che hanno messo a sistema le competenze multidisciplinari di ricercatori e clinici, oggi trasferibili ad altre patologie. Tra queste, c’è la leucodistrofia metacromatica, grave malattia neurodegenerativa causata dal deficit di un enzima, l’arilsulfatasi A (ARSA), responsabile del metabolismo di particolari lipidi chiamati sulfatidi. Nei pazienti, la carenza di ARSA provoca un accumulo di queste sostanze nel sistema nervoso centrale, non solo nei neuroni, ma anche nelle cellule gliali deputate alla produzione della mielina. Con il tempo, il rivestimento isolante dei neuroni viene a mancare, con conseguenze devastanti a livello cognitivo e motorio.

Al momento, non esistono cure, ma i ricercatori dell’HSR-TIGET hanno avviato, nell’aprile scorso, un trial clinico per testare se la terapia genica possa ripristinare l’enzima mancante. La novità è l’utilizzo di un nuovo tipo di vettore, derivato dal virus HIV: a dimostrare per la prima volta al mondo la possibilità di “addomesticare” il virus responsabile dell’AIDS per veicolare materiale genetico era stato nel 1996 l’attuale direttore dell’istituto Telethon milanese, Luigi Naldini. Rispetto ai vettori retrovirali già utilizzati nel caso dell’ADA-SCID, quelli derivati dall’HIV (detti lentivirali) si sono dimostrati non solo più efficienti, ma anche più sicuri, in quanto più “neutrali” nei confronti dei geni adiacenti. Anche nel caso della leucodistrofia metacromatica l’approccio è una terapia genica ex vivo, ma con una particolarità in più: la correzione non verrà fatta direttamente sulle cellule danneggiate dalla malattia, ma sulle cellule staminali ematopoietiche che poi si differenzieranno in cellule gliali. Come già dimostrato dal gruppo di Naldini nel modello animale della malattia, una volta reintrodotte nel sangue, le cellule staminali corrette migrano in parte nel cervello e danno origine a cellule gliali contenenti l’enzima ARSA funzionante. Queste cellule hanno un duplice effetto positivo: da una parte riducono l’infiammazione dovuta al processo neurodegenerativo, dall’altra diventano veri e propri serbatoi di enzima funzionante per le cellule circostanti. I ricercatori dell’HSR-TIGET stanno utilizzando lo stesso tipo di vettori per sperimentare l’efficacia della terapia genica anche contro la sindrome di Wiskott-Aldrich, rara immunodeficienza dovuta a difetti in un gene (WAS) coinvolto nel funzionamento del citoscheletro.

La terapia genica potrebbe quindi rappresentare una valida alternativa per tutti quei pazienti privi di un donatore di midollo compatibile. E non è tutto: i vettori lentivirali potrebbero essere applicati per la terapia genica di altre malattie genetiche, come la talassemia beta, alcune malattie metaboliche e l’emofilia B. Ci sono poi particolari tessuti in cui la terapia genica si può applicare in vivo, cioè direttamente sul paziente: uno di questi è la retina, come hanno dimostrato i ricercatori dell’Istituto Telethon di Genetica e Medicina di Napoli (TIGEM). In collaborazione con il dipartimento di Oftalmologia della Seconda Università di Napoli e il Children’s Hospital di Philadelphia, infatti, il centro di ricerca napoletano diretto da Andrea Ballabio ha avviato, nel 2007, uno studio clinico per testare l’efficacia della terapia genica contro una forma ereditaria di cecità, l’amaurosi congenita di Leber. I ricercatori hanno trasferito in 12 pazienti (di cui 5 italiani) la versione corretta di RPE65, uno dei geni responsabili di questa malattia oculare. Per farlo, hanno utilizzato un vettore virale appartenente alla famiglia degli adeno-associati (AAV), che presentano un duplice vantaggio: non si integrano nel genoma della cellula ospite, se non con bassissima frequenza e permettono l’espressione a lungo termine da parte delle cellule infettate, purché non siano in replicazione attiva (in primis tessuto nervoso, ma anche muscolo o fegato). Come descritto sulle pagine del New England Journal of Medicine nel 2008 e di The Lancet nel 2009, la terapia genica è risultata non solo sicura, ma anche capace di ripristinare parte delle capacità visive, soprattutto se somministrata precocemente. Un risultato che potrà fare da apripista alla terapia genica di svariate malattie genetiche dell’occhio, da sempre tra i principali settori di ricerca del TIGEM. Obiettivo dei ricercatori è infatti replicare questo approccio terapeutico anche per le altre forme di amaurosi e di retinite pigmentosa in generale.

Tra le altre malattie ereditarie della retina di loro interesse, c’è la sindrome di Stargardt, la forma più comune di degenerazione ereditaria della macula, che porta progressivamente alla cecità. È causata da mutazioni di ABCA4, un gene piuttosto grosso che – nella prospettiva di una possibile terapia genica – poneva notevoli problemi perché non esistevano vettori sufficientemente capienti per veicolarlo. Ma dal 2008, il team di Alberto Auricchio del TIGEM sta lavorando ad un particolare tipo di vettore AAV che sia in grado di trasportare anche geni di grosse dimensioni, per utilizzarlo in futuro per la terapia genica di questa patologia. Non è quindi un caso che il successo riconosciuto da Science sia frutto della ricerca Telethon. La terapia genica, infatti, vede nelle malattie dovute al difetto in un singolo gene il terreno ideale per la sua messa a punto e validazione. Anche le malattie a più ampia diffusione ne beneficeranno, ma sono necessari ancora molti anni. Telethon ha comunque generato un paradosso: nello scenario italiano che trascura la ricerca scientifica, una piccola organizzazione induce gli scienziati a concentrarsi su malattie rarissime e, attraverso una solida macchina costruita sul modello delle migliori prassi internazionali, permette all’eccellenza di esprimersi fino a raccogliere il plauso internazionale. Una macchina che impiega al meglio i fondi raccolti grazie alla generosità di milioni di Italiani e al mezzo apparentemente più lontano dalla scienza: la televisione.

Francesca Pasinelli
Direttore generale Telethon
Lucia Monaco
Direttore Ufficio Scientifico Telethon

Rispondi